La partecipazione di Altaforte al Salone del Libro ha sollevato molte polemiche, tra rinunce di scrittori e intellettuali. L’editore Polacchi si è proclamato “fascista”, additando l’antifascismo come “vero male di questo Paese”. Martedì scorso Regione Piemonte e Comune di Torino hanno presentato un esposto contro Polacchi e la procura ha aperto l’ inchiesta per apologia di fascismo. Così la casa editrice Altaforte, vicina a CasaPound, è stata esclusa dalla 32esima edizione, revocata quindi l’ammissione di Altaforte al Salone del Libro.
Piergiorgio Desantis
“Era l’ostinazione di una ricerca: stare con gli altri, scuoterli, vedere se si poteva fare qualche cosa insieme. Si organizzò la commemorazione di Piero Gobetti all’Università: un piccolo gruppo, pochi minuti e qualche breve parola. Soprattutto quelli che erano stanchi e non volevano rischiare, dicevano che queste cose erano ragazzate inutili e, peggio, che servivano a Mussolini per trovare pretesti alla sua azione poliziesca”.
C’è bisogno, in questi casi, di scomodare anche i ricordi del “ragazzo rosso” Giancarlo Pajetta quando, oggi, emergono stretti legami tra membri del governo in carica e organizzazioni dichiaratamente fasciste. È la prima volta, dalla fine del secondo dopoguerra, che si manifestano, anzi si sbandierano convergenze tra un ministro dell’Interno della Repubblica italiana e elementi che si richiamano al nero ventennio (nemmeno Mario Scelba era arrivato a tanto).
È salutare che ci sia stata una reazione popolare (vedi le continue contestazioni a Salvini che necessita di un’ampia scorta della digos per girare e fare comizi), istituzionale (Presidenza della Regione Piemonte, sindaco di Torino) e anche tra gli intellettuali che ha impedito lo sdoganamento definitivo del neofascismo. Per chi scrive, non era cosa affatto scontata che si riuscisse a evitare l’utilizzo come vetrina del Salone del Libro per fare proseliti da parte della casa editrice di Casa Pound (ricordiamoci che il tentativo di ricostituzione del partito fascista è un reato).
Tuttavia, per chi si pone a sinistra, è anche urgente domandarsi perché siamo arrivati a questo punto e il perché dello sfondamento della destra tra le file dei lavoratori (occupati, sottoccupati, precari e disoccupati) italiani. Riprendere quindi le battaglie per il salario, per i diritti civili e lavorativi sono il migliore antidoto per tutti i fascismi di ieri, di oggi e di domani.
Alex Marsaglia
La polemica dell’edizione di quest’anno del Salone del Libro si è concentrata sul fascismo. I legami tra Casapound e l’attuale Ministro dell’Interno non sono difficili da trovare ed è assolutamente comprensibile e doveroso che intellettuali, reduci dell’olocausto e chiunque si senta coerentemente antifascista boicotti una fiera che ospita i fascisti dichiarati.
Il problema vero resta sempre sul piano egemonico. Se i fascisti si radicano nella società il problema è perché riescano ad attrarre tanto consenso, boicottarli diventa una battaglia difensiva e di retroguardia che dovrebbe essere solo una strategia emergenziale. Se abbiamo un boom di gadget, calendari e prodotti fascisti evidentemente non deve sorprenderci se le case editrici fasciste riusciranno a radicarsi nel mercato del libro.
Il problema è quindi a livello di consenso. Si dice che con il populismo il fascismo sia stato sdoganato come un’ideologia legittima esattamente come le altre, anche se per la Costituzione della Repubblica non è così. Giusto che tutti se ne accorgano in occasione di una fiera del libro, sarebbe bello che ciò accadesse anche quando tra quindici giorni mi verrà presentata davanti una scheda elettorale con fiamme tricolori. Se ciò è possibile però non è dovuto al populismo, ma ai problemi che questo Paese ha avuto nell’affrontare costituzionalmente il postfascismo. Infatti, dobbiamo riconoscere che il neofascismo è stato bellamente accettato per oltre mezzo secolo ed è abbastanza ipocrita indignarsi perché abbiamo i fascisti come vicini di casa nella società dopo che è stato lasciato passare un vulnus costituzionale così grave.
Dunque, ben venga il boicottaggio di Altaforte, ma si continuerà a perdere anche a boicottaggio riuscito se non si riusciranno a sconfiggere le ragioni sociali del radicamento dei fascisti nella società. Come sappiamo queste ragioni purtroppo si alimentano da una crisi economica che è lungi dall’essere passata. E il trovarsi con il fascismo sdoganato in politica non è di certo colpa del populismo odierno, ma semmai della democrazia costruita per approssimazioni costituzionali nel secondo dopoguerra. C’è un’intera saggistica sulla problematica postfascista che andrebbe riletta prima di indignarsi, perché l’indignazione dovrebbe essere già passata da un pezzo dopo aver dovuto sopportare le stragi neofasciste in difesa dello Stato e del capitale. Ah, a proposito di stragi neofasciste, vi consolerà sapere che alla fiera del libercolo di Torino potrete trovare le pubblicazioni di Edizioni di AR di Franco Freda, lo stragista neofascista di Piazza Fontana per l’appunto. Chissà non salti fuori una bella apologia dello stragismo neofascista, in modo da far risultare quelli di Casapound dei dilettanti del fascismoD
Jacopo Vannucchi
La vicenda del salone di Torino è purtroppo emblematica dello stato di salute dell’antifascismo in Italia, e come teoria e come pratica.
Sotto entrambi gli aspetti, si è naturalmente contenti della sollevazione contro la presenza di CasaPound e dell’esito. Tuttavia è difficile evitare l’impressione di essersi occupati di una pagliuzza, seppur fastidiosa.
Dal punto di vista teorico, indicare il pericolo fascista in CasaPound è corretto, ma è scorretto concentrare l’attenzione solo su di essa. Vale la pena ricordare che la casa editrice Altaforte è la stessa con cui è stato pubblicato il libro-intervista dell’attuale Ministro dell’Interno? Vale la pena ricordare che è il Ministro dell’Interno ad aver accostato l’anagrafe antifascista all’anagrafe canina e ad usare il Viminale come una centrale politica secondo un costume tipico dell’ordine pre-democratico? Addirittura nel fronte anti-Altaforte è stata arruolata la sindaca di Torino. Benissimo, ne siamo contenti, ma essa appartiene a un partito che per programma vuole sciogliere i partiti politici (gli altri, ovviamente) e sostituire la democrazia dei partiti con consultazioni plebiscitarie – e ha dedicato a ciò un Ministero senza portafoglio, non proprio una bagattella da imbecilli al bar.
CasaPound è un gruppetto che ha racimolato alle ultime elezioni lo 0,9%. È un aumento molto consistente rispetto allo 0,1% del 2013, e ha punte territoriali preoccupanti – ad esempio, il 4,5% a Vallerano, il paese del neofascista Chiricozzi, che vi è consigliere comunale, arrestato per aver drogato, percosso e stuprato una donna. Ma, rispetto al 55% di cui godono i partiti di governo, è poca roba. Chi è più pericoloso: lo squadrista di strada, seguito da 300mila italiani, o i ministri che lo spalleggiano, seguiti da 15-20 milioni di italiani?
Dal punto di vista pratico, la mobilitazione antifascista su Torino fa da pendant ad altre mobilitazioni del genere: l’ultima quella contro il pogrom antigitano di Casal Bruciato a Roma.
E vi è anche un’altra modalità di contestazione, che si è appuntata contro il Ministro dell’Interno. Approfittando della sua mania dei selfie, diversi cittadini, soprattutto giovani, lo hanno attirato in siparietti provocatori – ad esempio chiedendo conto dei 49 milioni, degli insulti al Mezzogiorno, o dando luogo a baci omosessuali.
Simili forme di contestazione fanno sorridere, o magari sghignazzare, e sicuramente acchiappano diversi click. Ma a uno sguardo più approfondito rivelano un panorama desolante.
Le forme dell’antifascismo sono ridotte o a scenette di costume (selfie con Salvini) oppure a mobilitazioni che sembrano basate più che altro sulla rabbia, sulla volontà di scontro, o comunque sulla negatività. E sulla negatività non si costruisce, si distrugge soltanto: per questo le manifestazioni di piazza, se confinate alla piazza e se non ordinate, foraggiano i Salvini di turno, gli amanti dell’autoritarismo, i seduttori delle maggioranze silenziose.
Il 4 dicembre 2016 il popolo italiano ha scelto di rigettare la transizione a un ordinamento costituzionale più elevato, con meno sprechi, meno clientelismo, e un processo legislativo più rapido e con maggiore coinvolgimento delle masse popolari. Volgendo il capo all’indietro – anzi, volgendo il muso verso il basso, ha preferito l’opzione autoritario-demagogica tipica delle pagine più arretrate della storia patria (il sanfedismo, il linciaggio di Giuseppe Prina, ecc.). Oggi non pochi dei manifestanti antifascisti gridano in piazza il loro sdegno contro una situazione politica che essi stessi hanno contribuito a determinare.
C’è da sperare per loro – ma, soprattutto, per il Paese – che Salvini e Di Maio non gli fracassino il giochino in mano.
Alessandro Zabban
Alle varie fiere del libro si trovano da sempre case editrici dichiaratamente di estrema destra. La polemica del Salone del libro di Torino è dunque il prodotto di un clima politico tossico e isterico, in cui mantenere i nervi saldi appare difficile un po’ per tutti e dove non cadere nelle facili provocazioni risulta un miraggio.
La diffusione nella società di simboli, idee e comportamenti di estrema destra, uniti a pericolosi discorsi revisionisti sul fascismo, sono un problema reale a cui però la sinistra sta reagendo in maniera scomposta e impaurita. Domina un profondo senso di impotenza per l’incapacità di andare ad incidere sulle cause che stanno producendo uno spostamento sempre più a destra dell’opinione pubblica. Si brancola nel buio e si agisce in ordine sparso, come fra chi boicotta e chi no il Salone, rischiando però di fare solo pubblicità a questi disgraziati. Occorre un’organizzazione antifascista che piuttosto che dividersi sulle strategia agisca compatta nel togliere il terreno sotto il piedi al fascismo. Non si tratta certo di promuovere pace e amore ma di orientare il malcontento e risentimento verso i reali nemici di classe e dell’umanità.
Immagine da www.libreshot.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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