Venti di guerra tornano a soffiare in Libia, un’area che sembra non trovare pace, tra interessi internazionali contrapposti e complessi conflitti interni. Ne parliamo questa settimana a otto mani.
Alex Marsaglia
Molto curioso come il neocolonialismo italiano stia spingendo nuovamente per un intervento in Libia, dopo le conseguenze nefaste dell’ultimo maldestro tentativo di ingerenza. La realtà è dura da digerire e non si riesce a mandar giù che i francesi si siano impadroniti della Libia, ma tant’è. C’è solo una cosa più ridicola di questo atteggiamento rancoroso, ossia il sostegno acritico al fantoccio dell’Onu Serraj che ha tentato in tutti i modi di instaurare un Governo di Unità Nazionale senza avere il minimo consenso e riuscendo tutt’al più a fornire nuove postazioni petrolifere all’Eni. Il generale Haftar viceversa gode di un più ampio consenso avendo vinto le elezioni ed essendo il legittimo rappresentante della Camera dei Rappresentanti, godendo del sostegno del vicino Al Sisi, nonché dell’appoggio esterno di forze come la Russia e la Cina che hanno tutto l’interesse a vedere la Nato e le Nazioni Unite spazzate via dal territorio libico dove evidentemente hanno già combinato fin troppi danni. La Francia in questo frangente sta cercando di tutelare il proprio tornaconto neocoloniale, ma sarà difficile per i francesi ricavare qualcosa quando la coalizione militare a cui appartengono verrà gettata a mare. L’inevitabile sconfitta del governo Serraj eterodiretto dalle forze colonialiste occidentali è scritta non solo nell’assenza di consenso, ma anche di legittimità. L’unico Esercito Nazionale Libico resta quello del Generale Haftar, mentre le forze militari che difendono i palazzi dell’Onu di Tripoli restano delle milizie mercenarie assolate per difendere gli ultimi bastioni di un colonialismo che sta per essere finalmente cacciato. I libici sanno bene quale fu il ruolo della Francia nel 2011 e sicuramente non si lasceranno incantare dal suo doppio gioco attuale.
Dmitrij Palagi
Nessuna responsabilità per quelle che sono le colpe del colonialismo italiano. Il Paese è troppo impegnato a denunciare i buonisti. La Libia è una vergogna che grida vendetta. L’incapacità della politica italiana è trasversale e coinvolge tanto l’attuale governo quanto i precedenti. Il ruolo della Francia ci racconta di quanto sia inconsistente l’Unione Europea. Nel frattempo la principale preoccupazione che aleggia nell’opinione pubblica non è la guerra ma il timore dei flussi migratori. In tempi di crisi ogni principio pare doversi sacrificare al senso della sopravvivenza. Poco importa che essere disumani comporti in realtà l’instabilità dell’immediato futuro. Ci si accontenta di rintanarsi nel proprio angolo, sbirciando impauriti quello che avviene fuori, mentre il cinismo inconcludente dei livelli decisionali sparge danni e distruzione. Sul Sole 24 Ore ha scritto a lungo Alberto Negri, documentando una cronologia recente dei fallimenti italiani. Oggi è ospitato sulle pagine de il manifesto, rimanendo una voce fondamentale per orientarsi fuori da propagande e retoriche. Certo la situazione è complicata, ma non è una giustificazione valida per le sinistre, da almeno un decennio disorientate su quelli che erano due dei loro principali punti di forza: l’internazionalismo e la capacità di analisi.
Jacopo Vannucchi
Se, per valutare la situazione libica, volessimo usare come proxy i sostenitori internazionali dei contendenti, compiremmo un errore che inficerebbe la nostra comprensione.
A sostegno della Camera dei Rappresentanti e delle sue forze, guidate dal generale Haftar, contiamo infatti: la Francia, che ambisce a rafforzare la propria presenza neo-coloniale nel Mediterraneo; la Russia, che cerca di recuperare il rapporto con la Libia risalente all’era Gheddafi; l’eterogenea rete regionale egiziano-saudita, interessata vuoi al contenimento del terrorismo (Egitto) vuoi a qualsiasi sommovimento possa aumentare il proprio potere decisionale (Arabia Saudita).
Il governo Sarraj, invece, è riconosciuto dall’Onu e debolmente sostenuto dagli Stati Uniti, dalla Turchia e da altri attori secondari come l’Unione Europea, l’Italia e il Qatar.
È molto più utile, invece, chiarire la situazione politica interna della Libia. L’unica autorità investita di legittimazione popolare è al momento la Camera dei Rappresentanti, eletta nel giugno 2014, con una netta maggioranza laica. Il precedente consesso parlamentare, il Congresso generale nazionale eletto a luglio 2012 e a maggioranza islamista, rifiutò di riconoscere i risultati, portando alla costituzione di due governi: quello democratico di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello islamista di Tripoli. Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 l’accordo tra le due parti, negoziato dall’Onu, portò alla costituzione del Governo di accordo nazionale guidato da Sarraj, che fu disconosciuto dalla Camera dei Rappresentanti già nell’estate 2016, restando ciononostante il governo internazionalmente riconosciuto nonché quello sostenuto dall’islamismo politico.
Chi vuole una Libia laica e pacifica non può che augurarsi il successo delle forze di Haftar, sperando che nel Paese possa ricostituirsi una situazione di stabilità – come in modi diversi è avvenuto nei confinanti Tunisia ed Egitto – ed anche di indipendenza dalle potenze neo-coloniali.
Resta il rimpianto per la pressoché completa passività dell’Italia, incapace di ricostruire una relazione speciale con un vicino molto importante in politica migratoria e politica energetica.
Alessandro Zabban
C’è da chiedersi dov’era l’Italia che ha sempre considerato la Libia il suo cortile di casa mentre Haftar lentamente ma inesorabilmente estendeva tutto il suo dominio nel sud della Libia. Era chiaro che un sostegno solo formale al debole governo di Serraj non sarebbe mai bastato a controbilanciare la forza del signore della Cirenaica che può contare sui finanziamenti sauditi e l’appoggio di Egitto, Francia e Russia.
Fa bene il governo italiano a ribadire che un intervento militare creerebbe ancora più problemi di quanti ne voglia risolvere (come ha dimostrato lo scellerato attacco francese contro Gheddafi) ma nell’ultimo anno avrebbe dovuto fare di più per dare potere, influenza e autorità al governo Serraj. Solo un governo di Tripoli forte avrebbe dissuaso Haftar dall’iniziare la sua offensiva su Tripoli che sta causando morte e distruzione. Aver fatto poco o nulla è di una gravità inaudita dunque anche considerando il ruolo strategico che la Libia ha per l’Italia: è da lì infatti che passano i flussi migratori diretti nel Sud Italia ed è là che l’Eni ha una quota significativa sulle ingenti riserve petrolifere.
Emerge dunque il ruolo sempre più periferico dell’Italia, impotente nei confronti delle mire neoimperiali francesi. Macron può fare il bello e il cattivo tempo in Libia, finanziando e sostenendo Haftar in barba all’ONU mentre l’Italia non può quasi nemmeno firmare un memorandum non vincolante col la Cina. Ma la colpa è di una classe politica che da anni ha ritagliato per l’Italia un ruolo marginale, limando sempre più i suoi spazi di autonomia. L’inutilità dell’Italia in Libia è il sintomo evidente di un paese che non conta ormai quasi più nulla. Per l’Italia c’è solo da incrociare le dita e sperare che le milizie di Misurata resistano all’offensiva dell’uomo forte di Bengasi e salvino il governo Serraj.
Immagine di Sludge G da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.