In Israele le elezioni politiche della scorsa settimana hanno visto trionfare, per la quinta volta, il leader di Likud Benjamin Netanyahu con 65 seggi su 120. Con quest’ultima vittoria, il Primo Ministro si avvia a superare gli anni di mandato a capo del governo ricoperti dal “padre della patria” Ben Gurion.
Netanyahu ha sofferto per un testa a testa durato fino all’ultimo minuto con Benny Gantz, ex capo dello Stato Maggiore a capo della lista Bianco e Blu, nel corso del quale i due contendenti si sono giocati fino all’ultimo seggio della Knesset. La sfida ha visto infine prevalere Likud, confermando la fiducia in un “usato garantito”, nonostante i pesantissimi scandali legati alle accuse di corruzione nei confronti di Netanyahu scoppiati lo scorso anno.
Proprio in questi giorni il Presidente Reuven Rivlin sta portando avanti le consultazioni tra le liste entrate in parlamento per la formazione di un governo. Per quanto ci siano ancora nodi da sciogliere, ad esempio l’appoggio al governo da parte del partito del “falco” Liebarmann, è evidente che gli anni che ci aspettano non saranno tra i più rosei. La Knesset vede infatti i suoi seggi distribuiti tra una pletora di partiti che vanno dall’ortodossia ferrea all’ultra destra, passando per il Likud e la forza Bianco Blu del militare Gantz mentre i laburisti toccano il loro minimo storico con la conquista di solo 6 seggi. Unica nota positiva è il passaggio dello sbarramento da parte di entrambe le liste palestinesi che avevano preso parte alla competizione elettorale, Hadash-Taal, lista araba di sinistra che conquista 6 seggi e Raam-Balad, islamisti e laici che ne ottengono 4. E il risultato delle liste palestinesi è stato ottenuto nonostante lo scandalo delle telecamere segrete montate da alcuni esponenti del Likud nei seggi arabi per tracciare il voto e i discorsi dei cittadini recatisi a votare.
Non ci possiamo, quindi, aspettare niente di nuovo né tanto meno di migliore sul fronte della questione israelo-palestinese. Anzi, negli ultimi giorni di campagna elettorale Natanyahu ha proprio dichiarato di avere come fine l’annessione della Cisgiordania (magari senza riconoscere la cittadinanza israeliana agli arabi che vi abitano). Ora, si dirà, un po’ il segreto di Pulcinella, certo. Le intenzioni non erano certo nascoste, basti pensare al fatto che solo nel corso degli ultimi due anni sono stati costruite oltre 18mila abitazioni per coloni ebrei in Cisgiordania. Dichiarazioni di annessione unilaterale di territori come quella di Gerusalemme del dicembre del 2018 o quella della alture del Golan dello scorso mese dovrebbero di norma suscitare una reazione della comunità internazionale, se non in difesa dei diritti di un popolo, quello palestinese, martoriato da decenni di soprusi, quanto meno in violazione del diritto internazionale. L’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump da una parte e l’ondata di destra ed islamofobia che hanno investito il continente europeo, hanno fatto sì che la questione palestinese perdesse quei pochi, deboli, alleati nelle istituzioni occidentali e che proposte come queste, di annessione indiscriminata, possano apparire la “normalità”.
A questo dobbiamo aggiungere una situazione economica in Israele tutto fuorché rosea e un progressivo ampliamento della forbice che esiste tra cittadini ebrei e cittadini arabi (basta, in questo senso, ricordare la modica della Costituzione che definisce Israele “lo stato degli ebrei”): gli anni di questo nuovo governo a guida Netanyahu rischiano di essere particolarmente feroci per cgi chiede giustizia per questa terra martoriata, soprattutto a causa della crudeltà e dell’indifferenza generale.
Immagine Afp da www.aadnkronos.com
“E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa”
Cit.