Da quando nel 1977 il nostro Paese ha abolito le classi differenziali, destinate a disabili e a quegli alunni con disturbi di apprendimento, quindi ritenuti incapaci di stare al passo con i loro coetanei, si è posto il problema (non soltanto nella scuola) di “cosa fare” dei portatori di handicap. Certo, un passo avanti c’è stato: finalmente è stato sancito il loro sacrosanto diritto a stare nelle stesse classi dei bambini della loro età, senza essere relegati in recinti solamente a loro destinati. Ma un nuovo dilemma si apre davanti a chi si occupa di disabilità: come gestire in concreto le esigenze, comunque particolari, di queste persone?
Ovviamente la soluzione non può essere lasciarli a se stessi in mezzo ad altri ragazzi, facendo sicuramente un danno a loro, ma creando anche un disagio ai compagni, perché qualsiasi situazione non gestita può certamente degenerare. E la stessa esigenza la si è vista più in generale nella società. Infatti un disabile non è solamente uno scolaro, e tanto meno un eterno bambino. Cosa “farne” quindi nelle ore extra-scolastiche? e come gestirlo una volta uscito dal percorso educativo? Certamente la risposta non è semplice, e non potrebbe neanche essere univoca, dal momento che si parla di uno spettro di situazioni anche molto diverse l’una dall’altra.
Da quanto si può osservare la risposta sembra essere quella dell’integrazione: i disabili sono tenuti nella stessa stanza dei normo-dotati, ma non viene permesso loro di interagire con quest’ultimi. Ovviamente questo non avviene in maniera palese, ma si creano, più o meno spontaneamente, delle situazioni protette nelle quali il portatore di handicap può competere tra pari. Niente di male a prima vista, anzi: addirittura si permette a queste persone di primeggiare e avere i riflettori puntati su di sé. Ad esempio nascono ristoranti gestiti da disabili intellettivi, oppure squadre e gruppi sportivi/artistici nei quali atleti o artisti con disabilità hanno l’opportunità di confrontarsi con altri accomunati dalla stessa passione, ma anche dalla medesima problematica.
Il disabile smette di essere il “poverino” da proteggere e talvolta avviene che diventi un eroe, capace di fare cose che qualcuno, handicap o meno, non si sogna neppure. Intendiamoci, nulla di sbagliato in questa situazione. Sicuramente non può che essere giusto offrire a una persona degli spazi in cui sperimentarsi in ruoli nuovi e diversi rispetto alla quotidianità. Il rischio però è che questa situazione appena descritta porti ad avere di una persona un’immagine idealizzata, che non tiene nemmeno conto dell’individualità e diversità di ognuno, sebbene condivida una caratteristica.
Non si può giudicare bravissimo un ragazzo/a su sedia a rotelle che è un campione sportivo in un gruppo per portatori di handicap e, al contrario, tacciare di essere un “fallito” chi vive senza alcun ruolo di spicco nella società dei pari. È solo questione di quali opportunità ha avuto una persona, e di quali scelte ha fatto. Ecco, appunto, concetto importantissimo: la possibilità di scelta. Non è giusto che la nostra società non dia a tutti ciò che è necessario per pareggiare il gap causato da Madre Natura, ma si occupi di creare dei piccoli fenomeni da mostrare ed ergere ad esempio di forza e coraggio.
Sarebbe indispensabile che davanti a un portatore di handicap si aprissero tutte le porte possibili, senza che ci siano delle opzioni preferenziali, magari perché più comode, o ancora perché più socialmente accettabili. Un disabile non deve essere costretto a essere un “primus inter pares” (inteso come il più bravo tra i disabili), ma è necessario che possa liberamente decidere di ricoprire il ruolo verso cui si sente più idoneo. Se volesse fare il rapinatore, per assurdo, dovrebbe poterlo fare! Insomma, se un ragazzino ha uno svantaggio (di natura fisica, ma non solo!) non dovrebbe essere, per questo motivo, obbligato a vivere tutta la vita nel gruppo dei pari, e non dovrebbe essere altresì costretto a diventare un eroe o un modello da seguire per nessuno.
[Qui una grafica per visualizzare la differenza tra integrazione e inclusione]
Immagine di Tomasz Mikołajczyk (dettaglio) da pixabay.com
Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell’Arci.