e“L’Assemblea sorge in piedi, vivissimi, generali, prolungati applausi. Da una tribuna un gruppo di garibaldini intona l’inno di Mameli, ripreso dall’Assemblea e dal pubblico delle tribune. Rinnovati, vivissimi applausi. Poi l’annuncio più atteso. Il presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini, l’indomito combattente che aveva trascorso buona parte della sua vita nelle carceri fasciste, con la sua voce piemontese e un po’ cantilenante, proclamò il risultato: «Presenti e votanti 515, maggioranza 258, voti favorevoli 453, voti contrari 62. L’assemblea approva». Giornali e radio salutarono l’avvenimento come un fatto storico1”.
È emozione pura leggere le cronache di quel pomeriggio del 22 dicembre 1947 in cui venne approvata la Costituzione della Repubblica italiana. In quell’enclave, gli antifascisti di tutti gli orientamenti e provenienze ci hanno lasciato aspirazioni, eredità e speranze nella nostra Carta fondamentale, posta in cima alla gerarchia di tutte le leggi dello Stato. Dopo vent’anni e più di tirannia fascista, viene scritta e approvata la sintesi frutto della migliore classe dirigente venuta fuori dalla Resistenza. Da allora in poi, tutti devono prestare giuramento su di essa: dal Presidente della Repubblica fino all’ultimo componente delle forze armate.
È un’opera completa e organica e, tremendamente, attuale. Si sanciscono una serie di diritti che sono innovativi e molto avanzati, anche per l’oggi. Per fare solo qualche significativo esempio: quello al lavoro, all’assicurazione sociale per tutti i cittadini, al necessario riposo, a una retribuzione sufficiente per far fronte alle necessità della vita e della famiglia. A differenza delle costituzioni di matrice anglosassone, si indicano anche alcuni degli strumenti atti a garantire il loro raggiungimento. Tra questi ritroviamo uno degli esempi più “impensabili” per l’oggi quale è la nazionalizzazione delle imprese che, reputate strategiche, svolgono un ruolo centrale per lo Stato. Inoltre, sono posti dei limiti (insostenibili per i liberisti contemporanei, sopportabili invece per i liberali di ieri) come ad esempio quello all’iniziativa privata che, pur garantita dalle leggi, è finalizzata all’utilità sociale. Essa, infatti, non può svolgersi in contrasto con la libertà e la dignità umana. Inoltre la proprietà privata, affiancata anche da quella cooperativa e di Stato, può essere (addirittura) espropriata per motivi di interesse generale a seguito di equo indennizzo.
A partire dalla fine degli anni Settanta del ‘900, tuttavia, è iniziato un regressivo e invasivo smontaggio e svuotamento pezzo dopo pezzo della nostra Costituzione. Si può qui ricordare, tra gli altri esempi, il passaggio (precipitoso e appoggiato, purtroppo, anche a sinistra) dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario, l’entrata del pareggio di bilancio in Costituzione (approvata in fretta e furia dal Parlamento e con pochissime pur lodevoli voci contrarie) e tutti i numerosi e vari tentativi di (contro)riforma cui è stata oggetto la nostra Carta fondamentale.
Cresce, sempre di più, l’amaro in bocca oggi, riflettendo e analizzando le politiche messe in campo dalle varie maggioranze e dai governi che si sono succeduti (in particolare, si sta distinguendo in negativo quello in carica). Tornano alla ribalta misure spesso xenofobe, antipopolari che provocano esclusione, marginalità e disagio sociale. Nulla di nuovo, purtroppo, ma solo rimandi inquietanti a neri periodi della storia italiana. Non vi è traccia alcuna, ad esempio, del necessario intervento dello Stato che crede e investe nello sviluppo economico, sociale e culturale del Mezzogiorno e non solo, ma anche di un piano di consolidamento e di risanamento ambientale. Non si parla più riduzione delle diseguaglianze e di redistribuzione delle risorse (attraverso la leva fiscale progressiva prevista proprio in Costituzione) ma di una riduzione delle tasse per tutti indistintamente, a tutto vantaggio delle classi sociali più agiate e con conseguenti e dannosi condoni fiscali.
Pertanto, sempre più spesso, capita di commentare: «No, ma non è possibile, questa è una legge palesemente anticostituzionale». Ecco che spunta, ancora vivo e vegeto, il valore, l’importanza, i riferimenti e, perfino, le sinapsi che rinviano alla nostra Costituzione. Proprio la sua esistenza e la sua rilevanza permettono, ancor oggi, alla Corte costituzionale di cancellare leggi che contraddicono e tradiscono i suoi fondamenti. È il caso di ricordare che, tra gli altri, è stato oggetto di parziale incostituzionalità il Jobs Act. Certo è difficile e, perfino inutile, esultare se è necessario aspettare l’intervento della magistratura affinché i provvedimenti legislativi più odiosi possano essere in parte neutralizzati. Ci sarebbe bisogno, invece, dell’intervento e dell’opposizione parlamentare di tutti i progressisti (oggi ai minimi storici e, purtroppo, residuali) e la contemporanea discesa nelle piazze di tutti i sinceri democratici (abbandonando, almeno un po’, quel sentimento di sconfitta misto alla nostalgia di un grandioso passato).
Abbiamo uno strumento ancora appropriato e moderno che può riattivare gli anticorpi e rimettere in moto la democrazia, già definita “progressiva”, e la necessaria partecipazione. È la nostra Costituzione.
Facciamo qualche esempio.
L’articolo 3 si rivolge agli italiani (e non solo) che vivono oggigiorno il dramma della mancanza, della sottoccupazione e della precarietà nel mondo del lavoro. Questo articolo, oltre a porci tutti indistintamente uguali di fronte alle leggi va ben oltre. Individua un compito ben preciso della Repubblica, ossia quello di rimuovere tutti i tipi di ostacoli che “limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
L’articolo 11 è un capolavoro giuridico perché scrive chiaramente che: “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. È un articolo che parla al presente. Infatti, si addensano ancor oggi le nubi di vecchi e nuovi conflitti con minacce nucleari mondiali, tuttavia, c’è ancora la nostra Costituzione. Essa ci difende impedendo a chi governa l’intervento diretto e indiretto in scenari di guerra o di occupazione.
Anche l’articolo 33 è significativo poiché oltre a impegnare la Repubblica italiana a istituire scuole statali per tutti gli organi e gradi, al comma secondo recita chiaramente: “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo stato”. Quindi, dopo aver assicurato a tutti la libertà di avere scuole private, i padri costituenti ci hanno tenuto a ricordare che quest’ultime non devono essere finanziate da soldi dei contribuenti.
Che dire ancora dell’incipit dell’articolo 34? Esso recita: “la scuola è aperta a tutti”. Con estrema chiarezza si esplicita il diritto all’accesso all’istruzione, indipendentemente da sesso, razza, lingua o religione.
Sappiamo bene che questi norme fondamentali, come anche altre, sono stati talvolta aggirate e, in parte, rese innocue.
Eppure, lo spirito, la forza della Costituzione arde viva ancora lì, nelle pagine di quel libricino che abbiamo dalla nostra parte e sulla quale è stata costruita la Repubblica italiana. C’è bisogno, ancora, di continuare a edificarla e difenderla, cogliendo le intenzioni e le aspirazioni dei nostri padri costituenti. Necessita, oggi più di ieri, un’ampia diffusione dei principi fondamentali di essa al più grande numero di persone possibile. Tutto il mondo dell’associazionismo, prima tra tutti l’ANPI, ha da avviare e incoraggiare una grande campagna di rialfabetizzazione costituzionale. Si tratta di un processo di lunga lena che coinvolga e faccia egemonia non solo nelle scuole, ma anche nei luoghi di lavoro, in rete e in tutti i posti dove c’è aggregazione.
Dobbiamo avere fiducia. Varie volte gli italiani sono stati chiamati ad esprimersi circa i mutamenti e le modifiche operate dai governi di tutte le provenienze (dalla devolution di Bossi e Berlusconi alle riforme di Renzi fino ai provvedimenti xenofobi di Salvini). Tutte le volte si è sprigionato un grande e insperato coinvolgimento popolare che ha sconfitto, in maniera netta, tentativi mal riusciti, capovolgimenti e riduzione degli spazi di libertà, di democrazia e partecipazione pur così vivi nella nostra Costituzione. La lotta per attuarla continua a essere il nostro programma e, pur nelle mille difficoltà, non ne possiamo fare a meno e ce la faremo.
1 G. Corbi, Il giorno del grande compromesso, in <<la Repubblica>>, 16 dicembre 1997
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A volte giurista, a volte demodé, sicuramente un lavoratore, certamente un partigiano.