La gestione ambientale in Italia, e la ricezione delle normative europee a riguardo, hanno sempre avuto una storia travagliata. A fronte di una normativa condivisa sulla protezione di habitat e di specie di interesse conservazionistico, l’intervento di gruppi di interesse è spesso volto alla ricerca di possibilità di derogare. In questa direzione si sono mosse la Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee (FIPSAS), con il tentativo di far dichiarare la carpa autoctona per legge e più di recente proposte di controllo numerico del lupo in deroga alla Direttiva Habitat caldeggiate principalmente dalle associazioni di allevatori. A questi casi storici (risoltisi in un nulla di fatto) si è aggiunto nel corso dell’ultimo Consiglio dei Ministri un provvedimento apparentemente piccolo, ma con rischi potenziali decisamente massicci.
Il provvedimento consiste in una modifica del decreto n. 357/1997, corrispondente alla ricezione italiana della Direttiva Habitat dell’Unione Europea, e, per usare le parole della Presidenza del Consiglio dei ministri, “dispone che, in presenza di motivate ragioni di interesse pubblico, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare possa derogare al divieto di reintroduzione, introduzione e popolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone nel territorio italiano, sulla base sia di studi che evidenzino l’assenza di effetti negativi sull’ambiente, sia di appositi criteri”.
Con vistoso entusiasmo la FIPSAS ha rilanciato il comunicato stampa della Presidenza del Consiglio affermandone la contiguità con i propri obiettivi, e in particolare con l’esigenza di effettuare ripopolamenti, soprattutto per quanto riguarda la pesca dei salmonidi.
Per inquadrare correttamente il tema, è opportuno riassumere alcuni elementi già ripetuti in occasione di altri articoli, relativi ai popolamenti delle acque interne italiane. L’ittiofauna nativa dell’Italia è in gran parte endemica, consiste, cioè, di specie originate da fenomeni geologici che le hanno separate dalla fauna mitteleuropea, e successivamente adattatesi ai corsi d’acqua italiani; l’introduzione di specie e genotipi provenienti da altre aree europee può causare gravi danni, non solo attraverso la competizione o la predazione nei confronti delle specie native, ma anche attraverso l’ibridazione con specie native. Per quanto riguarda i salmonidi, cioè (nelle nostre acque) le trote, il problema è esattamente questo: le semine con avannotti selezionati in allevamento, ottenuti incrociando trote provenienti da varie parti d’Europa per favorire questo o quell’aspetto fenotipico, conducono ad inquinare i pool genetici originari delle trote italiane, corrispondenti a cinque linee chiaramente distinte a livello morfologico, ecologico e geografico.
L’introduzione di trote pronta-pesca auspicata dalla FIPSAS per garantire una soddisfacente stagione di pesca ai propri tesserati (e finora non attuabile se non con trote autoctone in maniera certificata) non avrebbe effetto soltanto sulle popolazioni di trote autoctone. Quello che sembra sfuggire ai vertici FIPSAS, infatti, è che un ambiente naturale tende ad avere una popolazione di trote compatibile con la propria capacità portante: se i pescatori ne trovano poche, e quelle poche sono difficili da catturare, è perché non ci sono abbastanza risorse per un numero maggiore di individui. Un’immissione di trote, che pure verranno quasi tutte catturate entro pochi mesi, corrisponderà ad un impatto sulle popolazioni di invertebrati e piccoli vertebrati (giovani pesci, girini), conducendo ad una maggior pressione su di esse, e per conseguenza ad una riduzione per le già rarefatte popolazioni di trote autoctone.
Questo scenario non roseo prende in considerazione l’idea che la richiesta di deroghe riguardi esclusivamente l’uso di salmonidi non autoctoni (trote atlantiche e trote iridee) per ripopolamenti, e già in questa prospettiva la dichiarazione del presidente della FIPSAS Matteoli (“avremmo voluto un provvedimento con meno obblighi e meno autorizzazioni da dover chiedere”) suona profondamente inquietante. Vale la pena di ricordare che un’introduzione autorizzata può rappresentare la porta d’ingresso di ulteriori organismi alloctoni: la maggior parte delle specie mitteleuropee presenti nelle acque italiane non è stata introdotta attraverso un processo ufficiale, ma accidentalmente insieme a pesce foraggio da allevamento (teoricamente autoctono) o in maniera illegale. Le introduzioni, reintroduzioni e traslocazioni di specie alloctone avvengono comunque, anche nella totale illegalità, ma il fatto di essere illegali contribuisce a limitarle; l’allentamento delle norme auspicato dalla FIPSAS condurrebbe ad una ancora maggiore difficoltà nei controlli.
Al tempo stesso, in forma ufficiosa il capo segreteria del Ministro Costa, Mamone Capria, invita a non cedere agli allarmismi o agli entusiasmi, sottolineando come le eventuali deroghe debbano essere sottoposte ad una valutazione da parte della comunità scientifica, che nelle previsioni di Mamone Capria dovrebbe essere sufficiente per evitare abusi, e come non vi sia un esplicito riferimento ad introduzioni di pesci alloctoni nelle acque italiane. Questa rassicurazione non suona particolarmente rassicurante, e non scioglie la vaghezza intrinseca nell’espressione “motivate ragioni di interesse pubblico” e negli “appositi criteri” da appaiare agli studi di impatto. Se Mamone Capria implica che la norma dovrebbe applicarsi esclusivamente ad introduzioni di specie alloctone per lotta biologica, ciò non emerge dalla modifica approvata, che rimane estremamente vaga ed aperta ad un’ampia gamma di interpretazioni.
Un punto a favore dell’interpretazione FIPSAS emerge però dal fatto che una richiesta di deroga al decreto 357/1997 fosse già stata presentata durante la XVII legislatura, proprio in relazione alla possibilità di ripopolare a salmonidi alloctoni. Non è chiaro cosa sia successo in questo caso; se, cioè, nell’approvare una modifica sostanziale di un decreto approvato ormai ventidue anni fa, e che traccia delle linee guida di semplice buonsenso e nello spirito del principio di precauzione, il Consiglio dei Ministri sia consapevolmente venuto incontro alle richieste di un gruppo di interesse, o semplicemente abbia dato un’ulteriore prova di scarsa consapevolezza o interesse, come ormai da mesi riguardo la massima parte delle questioni problematiche che emergono in questa legislatura.
Quello che è chiaro è che questa modifica non prende in considerazione le competenze di innumerevoli studiosi, che quotidianamente studiano l’impatto delle specie alloctone sugli ambienti naturali, né il lavoro dei centri ittiogenici che da anni ormai si occupano di riprodurre e reintrodurre le specie ittiche autoctone, né infine l’importante e certosino sforzo di divulgazione e sensibilizzazione riguardo gli ambienti naturali italiani che in tanti cerchiamo di portare avanti. Qualunque sia il processo decisionale che ha condotto alla modifica in questione, essa rischia di riportare la gestione ambientale in Italia indietro di vent’anni se non di più, rimettendo in discussione evidenze scientifiche universalmente supportate per venire incontro a miopi ed egoisti interessi economici.
Non può che far sorridere amaramente il fatto che, nello stesso Consiglio dei Ministri in cui si approva una deroga ad un elemento fondamentale della conservazione degli ambienti naturali, sia anche approvato il cosiddetto decreto “Salva-mare”, volto a ridurre l’inquinamento da rifiuti nell’ambiente marino e ad incentivare la collaborazione di pescatori ed altri portatori di interesse (un decreto atteso e quanto mai necessario). Per funzionare la gestione ambientale deve avere una coerenza interna ed essere animata da priorità chiare e basate sull’evidenza scientifica, e non può essere piegata alle richieste particolari di specifici gruppi di interesse.
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Joachim Langeneck, assegnista di ricerca in biologia presso l’Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell’ambito dell’etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.