Mentre in Italia ci troviamo a dover fare i conti con la manifestazione pubblica, vistosa e retrograda del “Congresso della Famiglia”, è una tentazione più che comprensibile rivolgere lo sguardo all’estero in cerca di un paragone che possa mostrarci una prassi efficace e dignitosa nel trattamento delle cosiddette famiglie arcobaleno e dei loro diritti, e della comunità LGBT in generale.
Nonostante indubbi passi in avanti siano stati fatti anche in Italia, negli ultimi anni, nell’ambito dei diritti LGBT, rimane un fatto che l’Italia sia, certamente nella sua cultura, in buona parte anche nelle sue leggi, indietro rispetto a molti altri Paesi, soprattutto europei, in questo ambito. Già quando il dibattito intorno alle unioni civili non era stato concluso, e si discuteva di cosa dovesse o non dovesse essere incluso nella legge che avrebbe infine sancito la possibilità delle unioni civili (ma non, e questo è a sua volta un punto dolente che meriterebbe di essere affrontato a parte, il diritto alla genitorialità), era piuttosto comune che i sostenitori delle istanze più progressiste portassero ad esempio le leggi di altre nazioni, che permettono da tempi più o meno lunghi sia il matrimonio che l’adozione per le coppie omosessuali, per dimostrare il successo di questo tipo di approccio.
Ricordo piuttosto chiaramente che, all’apice di quel dibattito, il Regno Unito veniva citato abbastanza di frequente in questo elenco di nazioni “virtuose” da cui poter prendere esempio in materia di diritti LGBT; e, senza dubbio, ci sono buone ragioni per cui il Regno Unito dovrebbe figurare in questo elenco. Benché si tratti per molti versi di un Paese con una storia anche recente travagliata in questa materia, in cui i diritti LGBT sono un’acquisizione avvenuta in tempi non remoti, non c’è dubbio che nonostante questo – o forse proprio per questo – il Regno Unito abbia messo negli ultimi trent’anni circa particolare impegno per istituire tutele per i rapporti LGBT, giungendo a una situazione di sostanziale parità per le coppie omosessuali e le famiglie omogenitoriali. Un discorso a parte meriterebbe la situazione per quanto riguarda i diritti delle persone trans*, dal momento che la legge britannica in materia, come del resto quella della gran parte dei Paesi europei e non, rimane per moltissimi versi carente; ma per quel che concerne la tutela e il rispetto delle famiglie LGBT, si può affermare a buon titolo che il Regno Unito offra per gran parte un esempio virtuoso, portato avanti con successo.
Eppure, proprio mentre in Italia cerchiamo un esempio esterno da porre a contrasto delle posizioni estremiste del Congresso delle Famiglie, nel Regno Unito si sta consumando un dibattito intorno all’introduzione nelle scuole di curricula di educazione civile che fanno riferimento proprio ai diritti LGBT, proiettando sulla coscienza collettiva britannica l’ombra di un pezzo di storia recente tutt’altro che encomiabile.
Section 28, o Clause 28, è il nome comunemente dato a un provvedimento passato dalla Camera dei Comuni nel 1986 e messo in atto nel 1988, sotto Margaret Thatcher. Il provvedimento in questione era fortemente discriminatorio verso la comunità LGBT, e, benché concepito sotto la falsa pretesa di arginare i rischi connessi all’epidemia di HIV/AIDS, aveva come chiaro scopo quello di cercare di fare un passo indietro rispetto alla depenalizzazione dell’omosessualità, avvenuta nel 1967 e accolta sfavorevolmente da un numero cospicuo di politici britanni, particolarmente Conservatori.
Secondo la Section 28,
era vietato a qualsiasi autorità locale, incluse quindi le scuole, “promuovere intenzionalmente
l’omosessualità, o pubblicare materiale con l’intenzione di promuovere
l’omosessualità, o promuovere l’insegnamento in qualsiasi scuola pubblica del
fatto che l’omosessualità sia accettabile come finta relazione familiare”.
La citazione mostra da sé quanto forte sia la carica negativa del linguaggio
usato; il testo della legge negava di
fatto alle relazioni omosessuali lo statuto di famiglia, e le relegava a un
ruolo di finzione o parodia. Il risultato più immediato della Section 28 fu di fatto di vietare
qualsiasi forma di insegnamento relativo ai diritti LGBT, o anche solo
all’esistenza di persone appartenenti alla comunità LGBT, in tutte le scuole
pubbliche del Regno Unito. Un insegnante che avesse menzionato l’omosessualità
in classe, dipingendola semplicemente come un fatto normale dell’esistenza
umana, avrebbe rischiato il licenziamento, se non conseguenze peggiori.
La Section 28 è generalmente riconosciuta come uno dei principali ostacoli ad avere rallentato il progresso in materia di diritti LGBT nel Regno Unito. La legge fu abolita dal Parlamento scozzese nel 2000, e da quello centrale di Westminster nel 2003, nonostante l’opposizione di alcuni politici di spicco, inclusa l’attuale Prime Minister Theresa May. Da allora, è possibile parlare di relazioni e diritti LGBT nelle scuole britanniche, e l’abolizione della Section 28 è considerata uno dei momenti fondamentali nella storia del progresso della legislazione britannica in materia. Oggi, l’esistenza di quella particolare legge è in genere considerata motivo di vergogna collettiva; la legge viene spesso menzionata come esempio tipico di pensiero retrogrado e bigotto. Eppure, ci si dimentica forse troppo spesso che la Section 28 è stata abrogata appena sedici anni fa; e oggi, nel 2019, qualcosa di preoccupantemente simile è ricomparso sulla scena, a ricordare a tutti che il passato in cui il Regno Unito era tutt’altro che un Paese virtuoso nel trattamento delle comunità LGBT non è poi tanto remoto.
Il mese scorso il governo di Westminster ha passato in via definitiva una risoluzione che porterà all’introduzione obbligatoria, in tutte le scuole pubbliche, di informazioni riguardo le comunità e relazioni LGBT nel curriculum di educazione civica, fin dalle elementari. Di fatto, il cambiamento consiste semplicemente in un aggiornamento del curriculum per riflettere in maniera accurata la società in cui gli alunni già vivono; trattandosi di un insegnamento pensato per le scuole elementari, le informazioni contenute sono molto semplici. Gli alunni troveranno quindi conferma sul loro libro di educazione civica di quello che possono già autonomamente osservare, ovvero che le persone LGBT esistono e sono protette dalla legge, che non devono essere discriminate né private del loro diritto di espressione, che a termini di legge possono sposarsi e adottare figli, e che per conseguenza esistono famiglie in cui ci sono due genitori dello stesso sesso.
Oltre a riflettere la semplice realtà dei fatti, questo aggiornamento è utile anche nel far sì che alunni provenienti da famiglie omogenitoriali non si sentano discriminati e non debbano confrontarsi con l’implicazione che la loro situazione familiare sia anomala o innaturale. È importante notare che l’opposizione all’approvazione di questo provvedimento in Parlamento è stata minima; eppure, quella che poteva sembrare una semplice operazione di routine si è scontrata con proteste e lamentele al momento del passaggio all’atto pratico, aprendo una discussione che ha dimostrato che sotto la patina dell’apparente accettazione e progressismo, certe idee sono cambiate meno di quanto ci piacerebbe credere.
Il nuovo curriculum che includeva gli insegnamenti LGBT è stato insegnato come periodo di prova in alcune scuole del Regno Unito, ed è stato in alcune scuole di Birmingham che è cominciata la protesta. All’inizio, a protestare contro l’introduzione di questi insegnamenti nel curriculum e a richiedere che venissero resi perlomeno facoltativi sono state principalmente alcune associazioni di genitori musulmani, il cui argomento principale era che i loro figli dovessero avere il diritto di rifiutarsi di ricevere insegnamenti che andassero contro alle loro credenze religiose. Le proteste sono aumentate in numero e dimensioni nel corso dei primi mesi del 2019, e con il passaggio del nuovo provvedimento che rende questo curriculum obbligatorio, il dibattito è arrivato sulla televisione pubblica.
La BBC ha ricevuto un’enorme quantità di proteste per la sua scelta di presentare il dibattito ponendo agli ospiti in studio una domanda ben precisa: “Ritenete che sia moralmente corretto che bambini di cinque anni imparino informazioni sulla questione LGBT a scuola?” Per quanto vada notato che tutti gli ospiti in questione, senza eccezioni, si sono pronunciati a favore dell’insegnamento del nuovo curriculum, la scelta di porre la questione in questi termini rimane estremamente preoccupante. Nessuno si sognerebbe mai, naturalmente, di chiedersi se sia per caso immorale che un bambino di sei anni possa imparare che le famiglie etero esistono, che ci sono coppie etero con figli composte da un padre e da una madre e che queste due persone di sessi opposti possono essere sposate. Considerato che questo è all’incirca lo stesso tipo di contenuto offerto dal nuovo curriculum, il fatto stesso di porsi la domanda se insegnare le stesse cose riguardo alle relazioni LGBT sia immorale dimostra che esiste tuttora un sostrato culturale che non ha smesso del tutto di chiedersi se l’omosessualità in sé sia immorale, se sia un qualche genere di perversione che può essere perdonata a un adulto ma da cui i bambini vanno tenuti lontani.
Nonostante la gran parte dell’opinione pubblica si sia vocalmente schierata a favore del nuovo curriculum e abbia manifestato la propria indignazione per il dibattito BBC, il fatto stesso che questo dibattito sia avvenuto, in questi precisi termini, dimostra che non è sufficiente cambiare le leggi per creare un ambiente realmente inclusivo e ottenere una reale accettazione; bisogna cambiare la cultura, e la cultura cambia lentamente, spesso incontrando difficoltà e ostacoli, e basta una situazione poco chiara per tornare indietro a un passato nient’affatto lusinghiero.
I genitori che per motivi religiosi richiedono che i loro figli non ricevano gli insegnamenti sulle relazioni LGBT stanno rievocando lo spettro della Section 28 da un passato in cui sarebbe bene invece che rimanesse confinato. Le loro richieste non sono più ragionevoli di quanto lo sarebbe quella di un creazionista che richieda di risparmiare al proprio figlio l’insegnamento della teoria dell’evoluzione delle specie. Eppure il creazionista che facesse una richiesta così chiaramente assurda non otterrebbe certamente un pubblico tanto vasto, né l’attenzione della principale rete televisiva nazionale; non ci si porrebbe neppure la domanda se la sua richiesta sia sensata o meno, se ci sia ragione di accondiscendere a quel che chiede. Il fatto che questa domanda venga posta riguardo al riconoscimento del semplice fatto che relazioni e famiglie LGBT esistono, e che la risposta venga considerata non scontata, dovrebbe essere motivo di ben fondata inquietudine. È la dimostrazione evidente del fatto che anche nel più progressista dei Paesi, con le migliori leggi a tutela dei diritti LGBT, ci sono luoghi comuni deleteri e punti di vista fondati su pregiudizi che possono essere nascosti ma non sono ancora scomparsi, e sono pronti a riemergere, e fare danni, non appena gliene venga data l’occasione.
Nelle scuole italiane un curriculum simile non esiste ancora, e i nostri giornali sono pieni di notizie in cui l’uno o l’altro gruppo politico protesta contro un insegnante, una scuola, una biblioteca rei di aver proposto a bambini un testo considerato troppo favorevole alle istanze LGBT, promotore della fantomatica quanto inesistente “teoria gender”. L’esempio di quanto avvenuto di recente intorno alle scuole elementari britanniche dovrebbe dimostrarci quanto sia difficile rimuovere questo tipo di pregiudizi, e quanto sia cruciale farlo. Fino a quando l’idea che l’omosessualità possa essere in sé immorale, una perversione o un comportamento deviato, avrà ancora una circolazione, non importa quanto sotterranea, spettri come quello della Section 28 rimarranno in circolazione, e rimarrà cruciale restare in guardia perché i diritti guadagnati non siano di nuovo perduti, e quelli che ancora mancano possano essere ottenuti quanto prima.
Immagine di Sharon McCutcheon (dettaglio) da pixabay.com
Nata in Sicilia, ha studiato a Roma e Pisa e vive a Cardiff, in Galles, dove lavora a un dottorato in Storia Antica e insegna latino. Autrice di prosa e teatro, è pubblicata in Italia da Einaudi Editore.