Il decreto Minniti e la questione della sicurezza
Con le “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città” e le “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale” torna al centro del dibattito l’ambito del diritto per quanto concerne la repressione dell’illegalità. Mentre le “città ribelli” (i sindaci alternativi al centrosinistra del Partito Democratico) hanno lanciato mobilitazioni lo scorso sabato in tutta Italia, Orlando (il candidato ufficiale della “sinistra” interna alle primarie della forza di Governo) e gli ultimi fuoriusciti ex DS difendono la bontà della legislazione.
Le categorie sociali più deboli accendono sempre gli animi di chi è meno debole, incrociando le pulsioni giustiziaste e confondendo spesso i temi in discussione (in un periodo dove anche la “legittima difesa” occupa larga parte del dibattito televisivo nazionale). Su questo le nostre otto mani.
L’uomo forte del governo Gentiloni col suo decreto in materia di immigrazione effettua l’introduzione di misure per accelerare le procedure di identificazione che prevedono la creazione di ulteriori centri ove allocare i flussi di migranti per le esigenze di soccorso e prima accoglienza. In questi centri sono avviate le procedure di identificazione e ha inizio la procedura internazionale prevista dal programma di ricollocazione all’interno di altri Stati membri dell’Unione europea, essi sono dunque l’anello iniziale della catena.
Tuttavia, siccome il meccanismo di redistribuzione europeo è sempre più bloccato, il nostro Minniti prevede di procedere all’integrazione dei migranti nientemeno che sottoponendoli al lavoro volontario. Nel decreto Minniti infatti, i prefetti, d’intesa con i Comuni interessati, promuovono “ogni iniziativa utile all’implementazione dell’impiego di richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettivita’ locali”. Insomma, i poveretti finiscono ai lavori socialmente utili senza aver commesso reato alcuno. Ma ormai è la moda del momento, siccome lo prevede anche il sistema educativo nazionale. Ovviamente i progetti si svolgeranno in collaborazione con le organizzazioni del terzo settore, e con le “risorse europee destinate al settore dell’immigrazione e dell’asilo”.
In un Paese in cui la disoccupazione di massa diventa cronica e la povertà si estende a fasce sempre più ampie della popolazione non c’è modo più corretto di portare avanti l’integrazione! Una strategia decisamente poco forzosa, non c’è che dire! D’altra parte, c’è da aggiungere che l’idea di arginare i flussi con gli accordi presi in Libia sembra fare acqua da tutte le parti, e la stretta securitaria in patria asseconda puramente le scelte schizofreniche di un’Unione Europea che si configura come gabbia di contenimento dei flussi. Alle periferie dell’Unione viene assegnata la funzione di argine verso le masse crescenti che premono ai confini.
Su migranti e sicurezza la sinistra ha perso da decenni la propria battaglia, almeno in Europa. Lo si vive quotidianamente, nei dibattiti più larghi, nelle chiacchiere “di strada”. Buttare via la chiave, la pena di morte, un colpo in testa e via, a chi viene qui per portare criminalità… Il lavoro richiesto a chi si propone la costruzione di una società più giusta, basata sulla solidarietà e la giustizia sociale, è immenso. I principi propri della rivoluzione illuminista, rispetto alle progressive e progressiste conquiste in termini di filosofia del diritto e normative nel campo dei diritti, paiono non essere più patrimonio neppure di una parte del gruppo dirigente della borghesia occidentale.
I decreti Minniti vanno nella direzione della sinistra che gioca a fare la destra, di cui Clinton è stato il peggiore e più efficace esempio storico del recente passato.
La sinistra che ha a cuore il tema della sicurezza e del diritto dovrebbe partire dalla palese illegalità in cui vive il nostro sistema, dove si tortura impunemente, dove il debole è schiacciato, il dissenso criminalizzato.
Le regole vengono violate continuamente, ma quelle che contano dovrebbero essere a tutela di chi avrebbe bisogno della legge: chi non ha i mezzi per vedere tutelata la propria dignità.
Le proteste alle novità legislative appaiono oggi purtroppo deboli, non inserite in una visione generale troppo morale e poco politica. Difendere i migranti dai processi di xenofoba ghettizzazione ed opporsi a norme come quella del Daspo urbano sono priorità a cui opporre una progettualità convincente anche per chi è cresciuto in decenni di egemonia culturale delle destre. Buttarla sul “siamo tutti figli di Dio” non è la scelta giusta e nemmeno limitarsi ad evidenziare i dati della criminalità in diminuzione: purtroppo l’opinione pubblica deliberatamente accetta una condizione di assuefazione.
Certo è imbarazzante vedere i fuoriusciti del PD dell’ultima ora sostenere la sinistra che gioca a fare la destra, ma questa è un’altra storia, come direbbe Lucarelli, o almeno la sua parodia.
La cosiddetta “dottrina Minniti”, condensata dal ministro nel binomio «solidarietà e repressione», trova la propria giustificazione politica nella convinzione che il tema della sicurezza debba essere rivendicato come proprio dalla sinistra. Le forze politiche eversive agitano lo spettro della “invasione” di immigrati per catalizzare la rabbia dei ceti operai e medi impoveriti dalla crisi e dividere ulteriormente la società, tramite la diffusione delle armi private e del concetto xenofobo “prima gli italiani”. Dieci anni fa Veltroni avvertiva che la legalità «non è di destra né di sinistra, è un diritto», ma la posizione di Minniti appare ancor più aderente al reale: proprio perché la sicurezza è un diritto, e non un privilegio di pochi, le forze di sinistra devono integrarlo nella loro proposta politica. È un fatto che la criminalità sia di gran lunga più invasiva nelle zone abitative popolari e periferiche che in quelle residenziali, per non parlare dello strato ancora più ricco che è in grado di garantirsi una sicurezza privata. L’illuminazione pubblica, ad esempio, è stata una grande conquista dei ceti popolari e fu a lungo osteggiata dai reazionari perché, rendendo più sicure le strade anche per le classi inferiori, veniva vista come veicolo per la diffusione di idee rivoluzionarie.
Per quanto riguarda la questione immigrazione, di fronte alla colpevole ritrosia degli stati europei a una gestione condivisa dell’emergenza, il governo ha imboccato la strada di facilitare e velocizzare le procedure di espulsione, cercando così di attenuare le pressioni economiche e sociali che insistono sull’Italia – per quanto qualsiasi soluzione non potrà che restare provvisoria in attesa di una reale pacificazione della Libia.
Saviano ha invitato a «scappare dal Pd chiunque ha ancora rispetto per l’uomo» – specificando accuratamente che a costoro «non saprei quale partito consigliare», in uno sbilanciamento tra pars destruens e pars construens che ricalca quanto mostrato da molti intellettuali del No sul referendum costituzionale. Lo scrittore ha messo sotto accusa in particolare il potere, in capo ai sindaci, di disporre l’allontanamento temporaneo (quarantotto ore) per chiunque limiti la fruizione dello spazio pubblico. L’obiezione messa in campo – “cosa succederebbe se diventasse sindaco Salvini?” – oltre ad avere una risposta scontata (in caso di ordinanze razziste si ricorrerebbe al Tar) è ancora una volta figlia della subalternità alle destre sul tema sicurezza e non solo. Le vere domande da porsi non sono “cosa accadrebbe con la riforma Renzi-Boschi se vincesse il M5s?”, “cosa accadrebbe con il decreto Minniti se vincesse la Lega?”, ma: “cosa facciamo per impedire che vinca il M5s? cosa facciamo per impedire che vinca la Lega?”. Domande cui Minniti pare rispondere.
Il decreto Minniti rafforza una concezione del migrante come essere umano di serie B che già la Bossi-Fini aveva postulato e che si era poi successivamente rafforzata con l’introduzione del reato di immigrazione clandestina. Si sente tutto l’affanno di voler inseguire la destra e più nello specifico una destra illiberale e razzista sul tema delle immigrazioni per rispondere nella maniera più semplice ma più dannosa nel lungo periodo a una emergenza reale.
Le misure più preoccupanti del Decreto hanno a che fare con la richiesta d’asilo: sia l’annullamento dell’udienza, sostituita dalla semplice registrazione del colloquio in Commissione Territoriale, che l’abolizione del grado di appello, costituiscono una chiara violazione dei diritti del rifugiato che non può essere certo giustificata con la necessità di snellire e velocizzare le procedure giudiziarie. Ma come al solito si è garantisti solo nei confronti degli italiani. Se a questo si aggiunge anche il fatto che i famigerati Cie, nei quali sono stati più volte denunciate violazioni dei diritti umani, non solo non verranno aboliti – cambieranno solo dicitura: Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio) – ma verranno addirittura aumentati (ma gli italiani possono stare tranquilli tanto si troveranno lontani dalle zone abitate!!), ci si rende bene conto che la speranza di un cambio di rotta nella legislazione sull’immigrazione era solo un illusione.
Minniti si difende affermando che la sicurezza non è né di destra né di sinistra, ma quante volte è stato usato questo argomento per giustificare qualcosa di destra? E soprattutto, che cosa c’entra la sicurezza con le garanzie costituzionali? Davvero pensiamo di rendere più sicuro il nostro paese smantellando i diritti o intensificando la rete di prigioni-lager per persone la cui unica colpa è quella di non essere in possesso di un permesso di soggiorno? A ben vedere, un paese con meno garanzie è un paese meno sicuro. Non solo il decreto crea forti distorsioni nello stato di diritto ma fa anche poco per dare una risposta concreta al problema dell’immigrazione che si pensa possa essere risolto semplicemente aumentando e velocizzando le procedure di espulsione.
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.