Delle manifestazioni per fermare il cambiamento climatico ci eravamo occupati nel Dieci mani del 5 febbraio (vedi qui). In queste sei settimane il movimento si è allargato fino a uno sciopero studentesco globale che venerdì 15 marzo ha coinvolto oltre un milione di studenti in 125 Paesi.
Le manifestazioni costituiscono un segnale interrogativo per la politica, e soprattutto per la sinistra, per l’ampiezza delle adesioni, per il tema che finora non aveva richiamato una così vasta partecipazione di massa, per la trasversalità della partecipazione.
Proviamo ad affrontare questi interrogativi anche nel nostro Dieci mani.
Piergiorgio Desantis
Venerdì scorso è balzato agli occhi di tutti (addirittura anche a quelli dei media mainstream) il movimento Fridays for Future che mira a sensibilizzare e (in)formare popoli e governi circa il grave problema ambientale e quello del conseguente cambiamento climatico.
Le manifestazioni di giovani studenti e non solo che hanno invaso tantissime piazze nel mondo sono state davvero un sollievo in un momento davvero critico soprattutto in Occidente. Anche a Firenze è sortito questo movimento variopinto, chiassoso e fantasioso che metteva di buonumore anche in una grigia mattina di tardo inverno. Chi scrive ha vissuto con curiosità la lettura dei tanti cartelli, ha cercato di capire le ragioni, scrutato i visi e ascoltato gli slogan di questo movimento che, necessariamente, avrà un precipitato positivo. I ragazzi che, con ogni probabilità per la prima volta, si sono affacciati nelle piazze (finalmente piene) hanno preso una posizione netta circa il modello di sviluppo capitalistico: lo reputano non più sostenibile e di ciò non ci si può che rallegrarsi.
Tuttavia si sono levate subito voci critiche circa la moderazione dei contenuti e le forme del movimento che, c’è da giurarci, continuerà a avere seguito e estensione di massa. Premettendo che, nei confronti di movimenti che hanno una così larga mobilitazione, bisognerebbe riservarsi qualche tempo per la riflessione, anche chi scrive, ha fatto e fa degli sforzi per cercare di comprendere compiutamente e nota anche i naturali limiti e contraddizioni di tutti i movimenti nati nel XXI secolo. Tuttavia, oltre a reputare che la mobilitazione di persone che scelgono volontariamente di scendere nelle piazze è un fatto assai positivo, dovremmo imparare a non giudicare ma, al contrario, aiutare a rafforzare le ragioni e i contenuti di una presa di coscienza ormai collettiva che segnerà il nostro futuro.
Dmitrij Palagi
Fridays for Future ha sicuramente segnato un percorso di crescita, nel nostro piccolo lo si annota anche solo rileggendo quanto avevamo scritto a inizio febbraio https://www.ilbecco.it/mobilitarsi-per-il-cambiamento…/.
Sicuramente si tratta di un percorso compatibile anche con una narrazione progressista di impianto moderato. Da qui a leggere la vicenda come un impianto manovrato al fine di incanalare le proteste in piazze capaci di rilanciare i centrosinistra dei vari paesi però ci sono evoluzioni opinabili.
La caratterizzazione generazionale crea speranze e aspettative, ma è sciocco aspettarsi dal mondo studentesco un livello di coerenza, elaborazione politica e capacità tattica assente al di fuori (quindi senza neanche sponde di riferimento a cui eventualmente richiamarsi).
Se davvero i Verdi dovessero avvantaggiarsi nelle prossime elezioni europee il problema sarà della scarsa credibilità di chi dovrebbe rappresentare la necessità di ripensare il modello di sviluppo economico come presupposto per salvare l’unico pianeta che abbiamo.
Jacopo Vannucchi
Per analizzare lo sciopero climatico del “venerdì per il futuro” forse non c’è via migliore che confrontarlo con un’altra rilevante manifestazione, quella dei giubbetti gialli che il giorno dopo ha dato alle fiamme il centro di Parigi e provocato undici feriti.
Saltano subito agli occhi analogie e differenze: entrambi i movimenti sembrano avere un appello più o meno trasversale, o comunque apartitico; d’altro canto, se le manifestazioni per il clima sono state esemplarmente pacifiche quelle dei giubbetti gialli sono una continua esplosione di violenza.
Ma la diversità più radicale sta nella società per la quale i due movimenti combattono. La visione di futuro che i Fridays for Future intendono difendere è fondata sul rispetto dell’ambiente, sul freno al nichilismo dell’uomo nei confronti della natura, su un progresso sociale che non possa prescindere dalla preservazione dell’infrastruttura ambientale, non vedendo possibile neppure il benessere materiale in un mondo deturpato e reso fisicamente invivibile.
Al contrario, per i giubbetti gialli non si può parlare neppure di visione di futuro – se ne avessero una, lotterebbero per essa invece di passare il tempo a distruggere ciò che hanno intorno. Non bisogna dimenticare che la miccia di questo movimento eversivo è stato il rifiuto di alcuni settori regressivi della società francese (la piccola borghesia e le campagne) di pagare la tassa sulle emissioni per finanziare la transizione ecologica dell’economia nazionale. E non è affatto paradossale che questa violenza venga nel Paese la cui capitale ha dato il nome a quello che ad oggi è il più rilevante patto internazionale per il clima, gli Accordi di Parigi. La divisione tra un gruppo dirigente cittadino molto progressista e una campagna largamente reazionaria è una costante della storia politica francese fin dal periodo della Rivoluzione.
Non si può dimenticare che le prime proteste del carattere dei giubbetti gialli furono quelle degli automobilisti negli anni Ottanta: i piccoli “partiti degli automobilisti” che nacquero in alcune zone d’Europa si distinsero, quanto alla pars destruens, per un forte rancore nei confronti del movimento ecologista, e per la pars construens (se poi è davvero tale) per posizioni nazionaliste, “populiste” e di estrema destra.
Certamente il nuovo movimento per la tutela del clima non è senza contraddizioni, evitando perlopiù di rilevare come le emissioni distruggano sì l’ambiente, ma siano a loro volta prodotte da un sistema economico specifico fondato sull’imperativo del profitto a breve termine. (Nei manoscritti del 1844 «Il lavoro estraniato» e «Proprietà privata e comunismo» il giovane Karl Marx spiega con parole modernissime il nesso vitale che lega l’uomo alla natura e come esso sia negato dall’alienazione del lavoro, che mette l’uomo in contrapposizione ostile con la natura.)
Ma se si confrontano il carattere pacifico, positivo e sociale dei Fridays for Future con quello violento, negativo e antisociale dei giubbetti gialli non si avranno difficoltà a comprendere quale movimento costruisce storia e quale invece è quello che il commissario Kim di Italo Calvino chiamava «la colonna dei gesti perduti».
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.