Movimento 5 Stelle e Lega sono due forze politiche distinte. L’alleanza di governo si basa sul noto “contratto”, che in politica però non può prevedere l’evolversi della situazione. La TAV sembrava però essere un punto su cui nota era l’opposizione della principale forza uscita vincitrice dalle ultime elezioni politiche. Invece sulla “grande opera” Torino-Lione si è consumato uno dei momenti di più alta tensione all’interno dell’esecutivo. Ne discutiamo nella rubrica a più mani di questa settimana.
Piergiorgio Desantis
La questione Sì TAV/No TAV nel dibattito interno al Governo si protrae ben oltre ogni limite accettabile.
All’interno dell’esecutivo si svolge un dibattito/duello continuo e, sinceramente, imbarazzante.
Il m5s dopo aver ingurgitato rospi indigeribili (il Tap, la legittima difesa, il voto contro l’autorizzazione a procedere per Salvini, solo per citarne alcuni), si è reso conto assai tardivamente che il suo consenso è evaporato in meno di un anno. Come mai? Perché ha perso ogni seppur minima credibilità sui temi e sulle battaglie per le quali aveva raccolto così tanti voti alle scorse elezioni politiche.
Ecco perché la TAV è questione strategica per i grillini, anche se tutto sembra propendere più per la possibilità che questa gigantesca opera si faccia. È già stato pubblicato il bando per l’avvio dei bandi per 2,3 miliardi di lavori nel tunnel di base della Torino-Lione, e tra due giorni il testo comparirà sulla Gazzetta ufficiale europea. La posizione dei 5 stelle è assai debole perché tende a rinviare al dopo le elezioni europee una verifica seria su questa questione e sulle altre (ma sarà davvero molto tardi), ovvero quando quest’opera sarà già avviata.
Alex Marsaglia
Il Tav è il tema di scontro tra i due partiti di Governo, inutile nasconderlo. Il vero punto d’incontro credo sarà sulle ricadute pratiche delle infrastrutture e dei trasporti pubblici che interessano realmente al popolo e al paese. Indubbiamente ci sarebbe bisogno di un piano di intervento pubblico infrastrutturale per arrivare nelle scuole, negli ospedali, nelle strade secondarie e nelle linee ferroviarie nazionali e regionali. Ovviamente nessun grande polo transnazionale è disposto a finanziare opere che dovrebbero essere di competenza nazionale, ma che lo Stato fatica sempre più a coprire.
La scelta sulla realizzazione del Tav è anche e soprattutto politica alla faccia delle varie Commissioni, e ce lo dimostra Confindustria che rincara la dose sulla necessità di procedere a priori con la realizzazione dell’opera. Se la scelta è politica si tratta di mettere alle strette la Lega, costringendola alle risposte: si tratta di avallare le politiche infrastrutturali europee, mentre ci arrivano offerte ben più allettanti anche da Oriente, come la Via della Seta. Cosa fare? Operare in base ai reali bisogni della popolazione oppure ai diktat europei? Così la Cina sta tentando di portare a termine il suo piano infrastrutturale che appare decisamente più solido dei piani campati in aria dall’UE sulla base di non si sa bene quali previsioni di crescita del traffico merci su rotaia e noi siamo ad un passo da un accordo storico tra un Paese Occidentale ed uno Orientale, ma sembra che il trasportare una merce risparmiando qualche minuto di tempo da una parte d’Europa all’altra sia un progresso per l’umanità che non possiamo lasciarci sfuggire. Tutto sta nel compiere le scelte più utili.
Dmitrij Palagi
Si suole dire che la Valle di Susa, con il suo movimento contro il progetto TAV su quel territorio, è stata capace di proporre un modello esemplare di lotta. Sicuramente il valore simbolico di questa battaglia è enorme, sopravvissuta anche a quelle forze di sinistra impegnate a sostenerla. Il Movimento 5 Stelle eredita un difficile imbarazzo, esteso ormai alla quotidianità di questo governo, incredibile successo di Salvini per demeriti di tutte le altri parti in gioco. Mancando una politica nazionale capace di analizzare il tema ambienta, quello delle grandi opere e una critica complessiva al modello economico, ecco che il singolo movimento si rende ostaggio di dinamiche ai confini della realtà. La sensazione di zattera in attesa delle elezioni europee è familiare alle formazioni della galassia italiana a sinistra del Partito Democratico. Essendo per un’imbarcazione di fortuna a cui si è aggrappato il governo nazionale di questo Paese, potremmo dire che è tutto decisamente imbarazzante. Come se i lager in Libia o la situazione lavorativa italiana fossero temi agilmente derubricabili (su cui si fa campagna elettorale peggio).
Jacopo Vannucchi
A un’impressione immediata sono incline a ritenere che la TAV si farà sicuramente e che l’unica incertezza riguarda le modalità con cui il M5S uscirà da questa situazione imbarazzante. Ma poi mi sottopongo ad autocritica chiedendomi se questa mia opinione non sia in realtà un mio personale wishful thinking di cui voglio autoconvincermi.
Sulla TAV si scontrano due interessi opposti nel governo: la volontà della Lega di incentivare l’economia del Nord Italia e quella del M5S di dissestare il più possibile l’economia italiana per favorire spoliazioni industriali in alto e pauperizzazione di massa in basso.
Sulla carta, il M5S non dovrebbe incontrare problemi nel bloccare la Torino-Lione. Al suo alleato è già stata garantita l’esclusiva sui suoi temi più popolari (la repressione dell’immigrazione e le armi); i cinque stelle occupano i dicasteri dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture e trasporti e dell’Ambiente; i seggi parlamentari del partito di Casaleggio sono circa il doppio di quelli della Lega.
La piccola complicazione è che i sondaggi fotografano una posizione di forza per i leghisti e se il M5S intendesse davvero provocare una crisi di governo sulla TAV Salvini non si farebbe ripetere due volte la possibilità di andare a votare poco le europee del 26 maggio sfruttando quindi una doppia onda lunga che potrebbe portarlo a Palazzo Chigi (a meno che non voglia mantenere il Viminale e guidare il governo de facto). È ben vero che anche la Lega avrebbe qualche problema in questo scenario, primo fra tutti quello di trovare alleati per formare una maggioranza e quindi dover fare delle concessioni, ma si tratta di problemi minori rispetto a quelli di altri partiti e sicuramente del M5S.
Probabilmente i due alleati troveranno un accordo per rimandare la questione a dopo le elezioni europee, con concessioni di facciata per la base grillina e assicurazioni tranquillizzanti per quella leghista.
Alessandro Zabban
Dopo 15 anni di lotte No Tav, dibattiti, tavoli di confronto, studi, cambi di tracciato, manifestazioni, scontri, presidi, osservatori, ripensamenti, repressioni, ancora il nodo dell’alta velocità Torino – Lione resta un terreno politico di scontro delicatissimo, tanto da mettere in crisi l’accordo di governo gialloverde.
Per qualsiasi osservatore straniero, si deve trattare di una situazione davvero surreale. Da qualsiasi prospettiva la si voglia vedere, la vicenda ha risvolti da Terzo Mondo. In un paese “normale”, al netto dei possibili errori di valutazione, un’opera considerata strategicamente fondamentale verrebbe fatta e basta, a prescindere dalle proteste; se invece gli studi mostrassero l’inutilità dell’opera o comunque una ricaduta economica non tale da giustificarne il costo, il progetto verrebbe abortito, senza ulteriori polemiche. In Italia invece lo stallo infinito su questa grande opera ha aperto nel sistema-paese un vero e proprio nuovo clivage socio-culturale (come direbbe S. Rokkan) tanto che il movimento No Tav ha ottenuto negli ultimi 15 anni più successo e visibilità di tutti i partiti della sinistra cosiddetta radicale messi insieme.
L’assurdità di questa situazione è amplificata per contrasto dall’indifferenza generale che è invece tributata alla visita del Premier cinese Xi Jinping che sarà in Italia dal 21 al 24 marzo. Non si tratta affatto di una visita di routine, ma rappresenta un possibile spartiacque nella strategia politico-economica italiana di medio e lungo termine. Di fatto, l’Italia è chiamata, a partire già da questo primo incontro, a decidere se vuole far parte del più grande programma di cooperazione e sviluppo contemporaneo, la Belt and Road Initiative (Nuova Via della Seta) o rimanerne fuori, come Germania e Stati Uniti vorrebbero che facesse (il motivo è spiegato bene in questo articolo).
Se l’Italia entrasse in questo ambiziosissimo progetto, coi suoi porti di Venezia e Triste, potrebbe diventare un terminale strategicamente fondamentale nella circolazione delle merci in tutta l’Eurasia. Tutto questo sarebbe connesso a uno sviluppo infrastrutturale, a un potenziamento dei trasporti e a una ricaduta economica da far impallidire la TAV. Dopo un’epoca in cui il commercio mondiale ha progressivamente abbandonato il Mediterraneo per migrare sulle rotte atlantiche e pacifiche, il progetto Cinese offre la possibilità unica di ridare un ruolo da protagonista agli ormai periferici paesi mediterranei e del Sud Europa (la Grecia e il Portogallo sembrano averlo già capito), con l’Italia che si troverebbe nel ruolo tutt’altro che comprimario (almeno potenzialmente e al netto di una classe dirigente inetta) di primo paese del G7 a sottoscrivere un Memorandum con la Cina. Rispetto a tutto questo, francamente, la TAV dovrebbe avere la rilevanza di un trafiletto di cronaca (scandalistica). E invece…
Immagine tratta liberamente da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.