Il dissenso in Europa tra No Tav e Navalny
L’Unione Europea è intrappolata nella più grande crisi di sempre, con interi popoli in rivolta per le condizioni in cui sono costretti a vivere, ma nell’ultima settimana il problema principale è diventato la Russia.
Nella fattispecie si parla di manifestazioni contro la corruzione dilagante. A una prima indagine si scopre però che i promotori di tali manifestazioni sono: un blogger che promuve la cultura post-sovietica e nazionalista più becera e risponde al nome di Navalny e Mikhail Khodorkovsky uno degli oligarchi più potenti della Russia delle grandi privatizzazioni inaugurate da Boris Eltsin nonché fondatore della Open Russia Foundation con lo scopo esplicito di cambiare il “regime” russo. Insomma, non sembra certo una libera scelta del popolo russo quella che abbiamo visto, quanto una forma indotta e forse persino eterodiretta di manifestazione politica del dissenso. Questa settimana ci occuperemo quindi della questione della gestione del dissenso in Europa.
Mentre nell’Unione Europea della libertà di espressione i tribunali, come quello di Torino, condannano Nicoletta Dosio a ben due anni di reclusione (insieme ad altri 11 attivisti del movimento No Tav) per un presidio autostradale “alla rovescia” in cui sulla A32 si lasciavano passare gli automobilisti senza pagare il pedaggio, un forte coro indignato si alza a condanna dell’arresto di Navalny in Russia.
Il carrozzone che si occupa della difesa dei diritti civili in tutto il mondo si concentra sui paesi più scomodi all’imperialismo. Questi, che sarebbero affetti da gravi forme autoritarie da curare con potenti iniezioni di democrazia, addirittura incarcerano gli oppositori politici per 15 giorni! Mentre invece le democrazie liberali occidentali che fanno? Evidentemente li coccolano secondo questi cantori delle libertà fondamentali altrui. E poco importa di una Nicoletta Dosio qualsiasi …
E così dopo il massiccio intervento poliziesco preventivo sulla manifestazione di sabato 25 marzo mettersi a fare le pulci su come la Russia stia gestendo la questione Navalny è diventata la regola, seppur sia pura ipocrisia di chi non si rende conto di essere più autoritario dello stesso zar che tanto critica. Infatti, la Russia ha permesso ben 27 manifestazioni libere sul proprio territorio, mentre l’UE a stento ha permesso il semplice dissenso in un solo evento. Troppo scomodo per la democrazia liberale consentire la libertà di espressione, meglio gestirla con forme soft (ma neanche tanto) di repressione e puntare il dito verso gli altri.
Diletta Gasparo
La strumentalizzazione che in Europa viene fatta del diritto della libertà di stampa non suona certo alle nostre orecchie.
Giorni fa è stata diffusa, molto più ampiamente che altre, la notizia dell’arresto dissidente russo Navalny. Il magnate russo, conosciuto per le sue posizioni di contrasto alla corruzione e che utilizza il suo blog per portare alla luce i presunti conflitti di interesse che riguardano Medvedev, è stato arrestato dalla polizia russa e condannato a quindici giorni di fermo per aver organizzato una manifestazione non autorizzata.
Mentre le maggiori testate europee continuano a cavalcare l’onda di indignazione che ha portato personaggi come Alfano a chiedere il rispetto del diritto della libertà di espressione, in Spagna una ragazza è stata condannata ad un anno di carcere per aver scritto dei tweet, ritenuti irrispettosi dalla Corte, su Carrero Blaco, militare franchista ucciso in un attentato ad opera dell’ETA.
Che l’utilizzo quotidiano e sempre più frenetico dei social network riproponga sotto nuove ed aggiornate vesti la questione della libertà di espressione è un dato scontato: ciò che lascia perplessi è come passi del tutto per scontato che questa libertà di espressione permetta, ad esempio, a frustrati frequentatori del web di sdarsi tra minacce di morte e nostalgiche rivendicazioni fasciste ma ritenga che dei messaggi (sul cui buon gusto non mi esprimo, che non è questo il punto) che fanno ironia su un franchista ucciso oltre quarant’anni fa siano da punire con il carcere.
In una trasmissione serale di la 7, credo “8 e Mezzo”, un progressista giornalista italiano spiegava a Salvini che per la Russia non è un paese democratico e quindi lui sceglierà sempre di stare dalla parte dei paesi liberi (non ricordo esattamente le parole precise, ma il senso era questo). Retorica da Guerra Fredda. Come se la politica internazionale fosse un campo da contendere con squadre per le quali fare il tifo. Ogni contraddizione e complessità viene rimossa. Nel paese della Diaz, dei processi insabbiati, delle stragi impunite, nel blocco dei genocidi imperialisti rimossi, delle guerre basate su prove false, delle torture non punite, si sale in cattedra e si giudicano culture politiche diverse, sistemi politici distanti da quelli a cui si è abituati, sulla base di informazioni sicuramente parziali e non raramente distorte.
Non c’è libertà senza giustizia sociale. Che oggi nel mondo esistano paesi in cui domina la libertà è evidentemente considerazione opinabile. La classifica dei paesi più liberi diventa quindi appassionante per chi si illude di vivere meglio di altri, in termini di “popolo” (la propria cultura è sempre migliore delle altre).
Ci sarebbero stati di iprocrisia da togliere alla retorica dei diritti umani, anche se stando sempre attenti a non finire per rimuoverli, cancellando la libertà in nome della complessità.
Senso della misura e volontà di comprendere il più possibile: sono le priorità con provare a leggere quello che ci sta intorno.
Schluss mit der Korruption!, “basta con la corruzione”, recitava un manifesto nazista del 1929, raffigurando un enorme pugno che colpiva comunisti e liberali intenti a spartirsi del denaro. Chissà se i capitali per stamparlo provenivano dall’industriale Alfried Krupp, che nel ’31 sarebbe entrato nelle SS.
È quindi comprensibile che i benpensanti occidentali e atlantisti storcano il naso davanti all’arresto, in Russia, di un finanziere che tramite il web incita alla rivolta contro i politici “corrotti” per consegnare il Paese agli onesti miliardari. Il quadro dei Paesi Nato, infatti, è ben diverso: qui i grandi ricchi animati da impeto antipolitico (pardon, “anticorruzione”) o conducono campagne di odio senza il minimo intervento della magistratura e delle forze dell’ordine (Grillo) oppure siedono addirittura al governo (Trump). Per non parlare dei Paesi in cui, invece di faticare personalmente, hanno chi svolge tale compito per loro (il Fn, lo Ukip, AfD…).
D’altronde dev’essere stato un considerevole shock vedere, a dicembre, la vittoria elettorale dei “corrotti” socialisti rumeni, bersaglio di una campagna denigratoria da oltre un anno e tuttora oggetto di agitazioni di piazza (“fare come in Ucraina”?). Ovviamente i guardiani dei diritti umani non hanno trovato niente da obiettare quando il Presidente della Repubblica, l’onestissimo liberale Iohannis, ha rifiutato di incaricare una musulmana come Capo del Governo: troppo fastidiosi i legami con Assad (anche lui noto corrotto, almeno stando a sentire Daesh che nei territori occupati faceva leva proprio sull’anticorruzione per crearsi un consenso).
Vi è tuttavia una grave contraddizione che gli arresti di Mosca evidenziano: da un lato, le sinistre europee investite dagli attacchi di oligarchi e fascisti impiegano le loro forze non a reprimerli in patria ma anzi a sostenerli in Russia; dall’altro, il regime russo, che da questi si difende con il proprio apparato di sicurezza, non ha remore di sostenerli in Occidente. È un gioco a somma negativa i cui soli vincitori possono essere proprio i potentati economici che, dalla Siria alla Francia, tentano di destabilizzare il governo democratico.
Quando si tratta di Russia e di Putin, anche la più piccola bazzecola diventa un avvenimento epocale.
Si parla di manifestazioni moltitudinarie ma che in realtà hanno portato in piazza poche migliaia di persone, si parla di Navalny come di un grande leader dell’opposizione, nonostante la sua scarsa rilevanza politica, si parla di una feroce repressione nonostante i più vivaci dimostranti si faranno, se gli andrà male, non più che qualche giorno di carcere. Si parla soprattutto di un regime autoritario ma che in realtà differisce poco o nulla dalle logiche di funzionamento dei paesi occidentali.
Certo, Putin e Medvedev non sono certo due libertari e sicuramente l’alto numero degli arresti fa pensare a un azione molto decisa, ma si tratta di un esito tutt’altro che anomalo e piuttosto in linea con quanto accade abitualmente quando c’è una manifestazione ad esempio a Washington. Se poi le lezioni di democrazia vengono da paesi come l’Italia dove, fra le altre cose, il movimento No Tav è trattato alla stregua di un’organizzazione terrorista o la Francia il cui governo mentre gestiva il dissenso a suon di manganello forzava l’approvazione della riforma del lavoro senza passare dalla discussione e dal voto parlamentare, è evidente che siamo in presenza di una grave distorsione della realtà.
Nella vicenda russa, l’aspetto forse più triste è l’idealizzazione di Navalny che lungi dall’essere un paladino della libertà e della democrazia come a molti fa comodo pensare, è un semplice blogger ultra-nazionalista anti-corruzione, insomma una sorta di fusione sui generis di grillismo e salvinismo. Putin non è un paladino della libertà e della giustizia (ed è, a scanso di equivoci, un nemico della sinistra), ma purtroppo c’è anche di peggio, tanto in Russia che in Occidente.
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.