di Chiara Del Corona e Valeria Del Corona
Affrontare il tema dell’identità culturale, e i concetti ad esso correlati, quali razza, razzismo, nazionalismo, non è mai facile, perché il rischio di cadere in banalizzazioni e semplificazioni è spesso dietro l’angolo. Partendo dalla prospettiva dell’antropologia culturale è possibile però tentare di smantellare alcuni luoghi comuni e cercare di inserire il tema all’interno di un discorso che ne ripercorra brevemente la storia.
Molto spesso, nel linguaggio comune, si fa riferimento alla nozione di etnia, o di confine etnico, come se si parlasse di realtà naturali, ontologicamente date e scientificamente provate, senza comprendere che, svuotando tali concetti della dimensione culturale e “in divenire” che è loro propria, si rischia di avallare una rappresentazione dicotomica ed escludente della realtà, in cui l’alterità, etnicamente concepita, è vista in termini svalutanti e delegittimanti.
Il concetto di etnia inteso in un’ottica peggiorativa trae le proprie radici all’interno della cultura occidentale, nell’ambito del pensiero classico greco: il termine ethnos indicava infatti sia gli stessi greci non organizzati in villaggi, sia i barbari, ovvero coloro che non parlavano la lingua greca; l’accezione presentava una sfumatura negativa, in quanto stava ad indicare quei popoli che, non organizzati all’interno di un sistema normativo e istituzionale positivamente dato, come la polis, fondavano la loro appartenenza esclusivamente su legami di sangue. Tale idea peggiorativa e fluida venne fatta propria ed estremizzata nel corso della storia politica e culturale dell’Occidente, andando a legittimare, sotto l’alveo di una presunta superiorità etnica, crimini e nefandezze perpetuate ai danni di diverse popolazioni e minoranze.
La costruzione del discorso razzista, inteso come la definizione di una gerarchia tra individui e popoli scientificamente provata, iniziò a prendere campo sempre più prepotentemente nell’Europa del XVIII secolo, caratterizzata dal punto di vista sociale dall’affermazione egemonica della borghesia. Fu proprio la distorsione del principio dell’uguaglianza nei termini ossimorici di “uguaglianza elitaria”, che, esaltando in modo assoluto le proprietà della ragione e la necessità di una imposizione universalistica dei principi esaltati dall’Illuminismo e consacrati dalla Rivoluzione francese, permise la rivendicazione del diritto di conquista e di dominio da parte dell’uomo occidentale sul resto del mondo, tanto che “fu proprio nell’era dell’Illuminismo che il commercio degli schiavi e le piantagioni delle Indie occidentali godettero di maggior prosperità”1.
Fu però nell’Ottocento che l’edificazione di prospettiva classificatoria degli individui fondata su presupposti biologici e scientifici venne consolidata ed avallata da medici, scienziati e uomini di cultura: la deformazione delle ricerche prima di Lamarck, e in seguito di Darwin e Mendel, permise la manipolazione dei concetti di evoluzione ed ereditarietà in termini biologici e razziali: nel 1861, ad esempio, il chirurgo e antropologo Paul Broca sosteneva l’esistenza di un collegamento tra il volume celebrale e lo sviluppo dell’intelligenza, in una piramide che vedeva gli uomini superiori alle donne, ed alcune razze superiori ad altre.
Lo psichiatra Morel, nel 1859, dette vita al concetto di “degenerazione”, aprendo la strada all’“antropologia criminale”, il cui padre fu Cesare Lombroso, che vedeva nell’analisi dei tratti fisiognomici degli indizi delle condizioni mentali. Nel 1883 Galton coniò il termine eugenetica, una forma di igiene razziale secondo cui solo i portatori di caratteri ereditari considerati più “vantaggiosi” avrebbero dovuto portare avanti la continuazione della specie.
Sebbene i personaggi sopra citati vadano inquadrati nel contesto storico e sociale in cui operavano e dunque le loro finalità – soprattutto per quanto concerne la psichiatria ottocentesca – si inscrivessero in una visione positivo-evoluzionistica della società che aveva lo scopo di riformare le condizioni dei malati mentali2, indubbiamente contribuirono alla legittimazione del “razzismo biologico” e alla discriminazione del “deviante sociale”. A metà dell’Ottocento, inoltre, J. Arthur de Gobineau, considerato il primo teorico dell’idea moderna di razzismo, propose una lettura decadente della storia secondo cui la storia dell’umanità sarebbe andata incontro a un inevitabile regresso dovuto alla “contaminazione razziale”, che avrebbe portato alla scomparsa del “genio culturale originario” proprio della razza ariana.
Fondamentali poi a delineare i prodromi di una teoria razzista furono quei movimenti, soprattutto tedeschi, che si rifacevano al Romanticismo inteso come tensione di un Popolo verso l’unità originaria e divina che sentiva perduta. Secondo il filosofo Herder, ad esempio, ciascun popolo possedeva una sorta di “spirito interiore” mai mutato al di sotto dell’organico sviluppo storico, e che si rivelava nel popolo tedesco attraverso la forza fisica e i caratteri discendenti dall’ideale di bellezza classica3.
Il razzismo, superata la fase positivista, assume dunque le caratteristiche del mito, in cui i tratti originari del popolo nordico vengono sublimate fino a conferirgli un’aurea di superiorità elettiva. Dall’antropologia, alla scienza, alla letteratura, fino alla musica (basti pensare alle opere wagneriane), si svilupparono quindi teorie atte a veicolare una lettura imperialista, nazionalista e razzista della storia, che avrebbe portato, in Italia, alla promulgazione nel 1938 delle leggi razziali, e in Germania, all’ascesa di Hitler, fino alla tragedia dell’Olocausto. L’idea di una gerarchia tra razze, e di uno “spazio vitale”4 che escludesse coloro che venivano considerati geneticamente inferiori e non adattabili, dagli ebrei, alle popolazioni Rom e Sinti, ai neri, fino ai malati mentali e gli omosessuali condusse perciò alla catastrofe, avvenuta proprio nel cuore della civile e avanzatissima Europa.
Una manifestazione particolare di razzismo di Stato altrettanto drammatica fu quella che si è verificata nella Repubblica Sudafricana e che prende il nome di Apartheid. Il quadro storico in cui si inscrisse vide fondamentale la componente religiosa e fideistica inserita all’interno di dinamiche razziali: nel XVIII Secolo infatti, i figli dei coltivatori boeri di origine olandese e religione calvinista, minacciati dalla massiccia immigrazione di coloni anglofoni voluta dal governo britannico, abbandonarono le fattorie dei padri e si spinsero verso oriente, conferendo alla conquista di nuove terre un alone messianico e alla dominazione dei popoli neri un senso divino-militaristico.
Nel 1852 il governo inglese riconobbe la proclamata Repubblica boera del Transvaal con capitale Pretoria e una propria costituzione che tra l’altro recitava: “il popolo non permetterà alcuna uguaglianza tra persone di colore e abitanti bianchi, né nella Chiesa, né nello Stato” a dimostrazione che il futuro stato sudafricano fondava le sue basi strutturali sul razzismo.
Negli anni Quaranta, raggiungendo l’apice nella metà degli anni Cinquanta del XX secolo, il Razzismo di Stato raggiunse la sua piena formalizzazione del modello nazionale di uno stato teocratico attraverso la codificazione di una serie di norme che legittimavano la segregazione razziale e territoriale tra la minoranza bianca al potere, e la popolazione nera, completamente asservita; “si trattava di un complesso di provvedimenti che segregava in modo totale e assoluto, per l’appunto a norma di legge, quindi legalmente, tutti coloro che per via della loro pelle scura non risultavano facenti parte della “razza superiore” bianca, escludendoli da qualsiasi diritto civile, sociale e politico, in pratica trasformando i quattro quinti della popolazione sudafricana in reietti, unicamente destinati al più brutale asservimento alla minoranza bianca al potere”5
In Sud Africa si sanzionò così il precetto di una “superiorità permanente, non temporanea, di differenza assoluta, fisica, fra razze superiori e inferiori”6, che venivano per legge escluse all’accesso di determinate professioni e a cui venne impedito l’utilizzo di aree riservate ai bianchi.
Grazie ai movimenti di liberazione guidati dal Nobel per la Pace Nelson Mandela e al Presidente Frederik Willem de Klerk, il Sud Africa smantellò il sistema di segregazione razziale e avviò un processo di riforme sociali e civili.
Ancora oggi un’idea binaria di Stato imperniato sulla divisione dei popoli è presente in numerosi movimenti e partiti politici, e in Italia può essere incarnata dalla Lega che, almeno fino a poco tempo fa, fondava il proprio consenso e il proprio programma politico sulla separazione tra un Nord Italia “civilizzato” e un Sud Italia “arretrato”. A tal proposito scrive Teti, etnologo e antropologo calabrese, che le discriminazioni basate su pregiudizi etnici non servono a risolvere i problemi sociali di determinate aree geografiche, ma anzi fungono da linfa per il mantenimento del potere delle classi dominanti, come era accaduto nel Meridione con il dominio feudale degli Agrari e con la legittimazione della repressione mafiosa al tempo del Risorgimento.7
Purtroppo, inoltre, la società contemporanea è caratterizzata anche dal fenomeno del fondamentalismo, ovvero, un “sistema di credenze unitario, apodittico, irrinunciabile, personale, autoreferente”8; quando si parla di fondamentalisti, in genere, si fa erroneamente riferimento esclusivamente a gruppi estremisti di matrice islamica, sostenitori di uno Stato teocratico fondato su un’interpretazione rigida e parziale dei precetti del Corano, che prevede la distruzione di tutti i “nemici” dell’Islam mediante la jihad, termine e concetto complesso che però viene semplificato e strumentalizzato per giustificare la “guerra santa”contro gli oppositori. A differenza della credenza comune, però, il fondamentalismo non riguarda solo una parte dell’Islam, ma è purtroppo diffuso anche in Occidente, basti pensare a certe organizzazioni estremiste cristiane, fondate su principi manichei, come l’Opus Dei, i Testimoni di Geova, altre Sette e Movimenti carismatici e fanatici, fino all’organizzazione segreta razzista e violenta statunitense conosciuta come Ku Klux Klan.
Per superare il razzismo e i fondamentalismi e costituire una società realmente fondata sulla parità tra individui e in cui, come recita l’articolo 3 della Costituzione italiana, “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, è necessario appropriarsi del valore del concetto di differenza. Lo studio antropologico, che assume per definizione l’umano come oggetto della propria ricerca, spogliato definitivamente di tutti quei pregiudizi che rendono falsata e distorta ogni prospettiva di arricchimento culturale, può rappresentare uno strumento essenziale nella valorizzazione delle molteplicità in una prospettiva di costante confronto dialettico con l’altro.
A una visione caratterizzata da un orizzonte univoco di norme e valori gerarchicamente definiti, è necessario sostituire un discorso che comprenda e abbracci una pluralità di situazioni ed esperienze. Tale relativismo culturale non va però esso stesso assolutizzato in una prospettiva statica ed acritica, ma deve servire a sfuggire dalla presunzione di possedere verità precostituite e ad aprirsi alla complessità dei punti di vista, attraverso un dialogo continuo che permetta la costruzione di una società consapevole e aperta alla commistione di culture, e che mantenga come imperativo categorico la valorizzazione della dignità umana.
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Cfr. DAVIS D.B., The Problem of Slavery in Western Culture, Cornell University Press, Ithaca 1966 ↑
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M. Conte, Psicofarmaci ↑
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G. Mosse, Il razzismo in Europa, p. 25. ↑
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cfr. M. Foucault ↑
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L. Ruggiero, Lager Sudafrica, Kaos, Milano 1983. ↑
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H. Arendt, Le origini del totalitarismo, p. 181 ↑
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TETI V., La razza maledetta, Manifestolibri, Roma 2011; ID., Maledetto Sud, Giulio Einaudi Editore, Torino 2013. ↑
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GIAMMANCO R., Fondamentalismo in bianco e nero. Nazione sotto Dio e Chiesa afro-americana, in ID. (a cura di), Ai quattro angoli del fondamentalismo. Movimenti politico-religiosi nella loro tradizione, epifania, protesta, regressione, La Nuova Italia, Firenze 1993, p. 5 ↑
Immagine Bundesarchiv, Bild 102-16748, liberamente ripresa da commons.wikimedia.org
Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.