Chi scrive di un libro ha sempre un rapporto con i suoi contenuti o con chi sta dietro a quella specifica pubblicazione. Spesso si tratta di una relazione intellettuale, capace di attraversare i limiti dello spazio e del tempo. In questo caso però il punto di partenza è materialmente ben determinato.
Ho avuto la fortuna di conoscere Bruno Steri in anni di difficile sopravvivenza della forma partito, nell’avventura extraparlamentare ancora propria delle diverse formazioni comuniste italiane. Con una laurea in filosofia e un dottorato di ricerca in logica dei linguaggi naturali, è stato direttore di una rivista a cui si richiamava un’area politica del Partito della Rifondazione Comunista (Essere comunisti).
Attraverso il percorso dell’Associazione per la ricostruzione del Partito comunista è approdato alla Segreteria nazionale del Partito comunista italiano, nato nel 2016 (nella quarta di copertina DeriveApprodi utilizza il termine “rinato”, ma senza polemica è bene evitare collegamenti formali con qualcosa di ufficialmente sciolto nel 1991).
Da ormai un paio di anni mi pare di non aver avuto più modo di confrontarmi con lui e nonostante questo è stato con piacere che ho visto nel catalogo della casa editrice la pubblicazione di questo Itinerari comunisti. Tra crisi del capitalismo e involuzione della sinistra (in commercio dalla fine del 2018).
Si tratta di una serie di contributi, rielaborazioni di materiale già pubblicato in diverse occasioni, capaci di proporre una sintesi di un dirigente comunista del tempo presente.
La suddivisione in quattro parti, che seguono la prefazione di Vladimiro Giacché, non è esattamente proporzionata al suo interno.
Il primo quarto del volume è dedicato a una lettura critica dell’esperienza sovietica, distante dalla liquidazione e da intenti apologetici, e a un interrogarsi sulla realtà cinese. Centralità ha il viaggio che PRC e PdCI hanno avuto nel 2013, che per Steri rappresenta un’esemplificazione delle occasioni mancate per una riflessione sulle ragioni di fondo di chi persiste a definirsi comunista nella contemporaneità. Meno sfumato appare il capitolo dedicato al 19° Congresso del Partito comunista cinese, dove la proposta di una sintesi della situazione lascia poco spazio all’esercizio del dubbio (che pure non manca di offrirsi in maniera sistematica nelle pagine precedenti).
Nella seconda parte, crisi economica e costruzione dell’Unione europea collocano la proposta di Steri nel campo della non riformabilità della costruzione del vecchio continente. Le coordinate sono quelle di Vladimiro Giacché, Emiliano Brancaccio e Domenico Moro, in un’interlocuzione con le posizioni recenti di Stefano Fassina. La critica alle parole d’ordine di riformabilità dell’UE (o dello slogan altra Europa) si colloca nella necessità di rifiutare ogni ambiguità rispetto alle destre e parte dall’urgenza di smontare i dogmi del capitalismo. La dimensione del vecchio continente non appare così come il principale strumento dell’avversario di classe ai danni delle lavoratrici e dei lavoratori. Si aggiunge un atteggiamento interlocutorio rispetto alle strade da intraprendere per un recupero della dimensione nazionale attraverso la valorizzazione della Costituzione italiana (ripristinandone l’articolo 81, eliminando dunque il pareggio di bilancio, votato anche dal centrosinistra).
Nella seconda metà del libro le pagine sono occupate principalmente dalla terza parte, in cui si prova a dare conto della generosità dell’esperienza di Rifondazione Comunista, evidenziandone i limiti con cui è nata questa realtà nel 1991. Nella lettura degli ultimi ventisette anni non vengono nascoste le pesanti responsabilità del centrosinistra rispetto all’indebolimento della classe lavoratrice, ma non manca un’importante sintesi di denuncia della retorica della «Nuova destra», a partire dallo smascheramento dell’ideologia che sta dietro un autore come Alain de Benoist. Sprazzi dell’epoca di Fausto Bertinotti ritornano, con la categoria della non violenza che tanto fece discutere all’inizio del nuovo millennio e una interessante critica alla coppia Antonio Negri – Michael Hardt (dove le annotazioni arrivano ad abbracciare Nietzsche e Foucault). Si aggiunge una lettura dell’attuale governo «giallo-verde», ritenuto una importante novità post-ideologica su cui si misura il disorientamento di chi non ha smesso di ritenersi comunista. L’invito è quello di costruire un’opposizione capace di insistere nel campo delle contraddizioni tra capitale e lavoro, evitando di confonderla con quelle “opposizioni” compatibili con il sistema di cose presenti, distanti dalle istanze di chi paga un sistema di sfruttamento e disuguaglianze.
L’ultima parte è in realtà di poche pagine, dove vengono proposte alcune note sull’importanza dei movimenti nella fase Genova 2001 – Roma 2003, sulla necessità di una forma organizzata (attraverso un partito) per la classe lavoratrice e sulle ragioni per cui Steri ha scelto di abbandonare l’esperienza di Rifondazione Comunista per una nuova organizzazione.
Steri si dimostra interlocutore prezioso anche per chi non la pensa come lui. I passaggi in cui riflette sullo stalinismo si confrontano, a distanza chiaramente, con Livio Maitan (tra le altre cose, importante traduttore in italiano delle opere di Lev Trotskij).
«Nessun salto di qualità nella cultura politica comune. Superficialità? Timore di confronti laceranti? Me lo chiedo ancora oggi», scrive l’autore a conclusione di un capitolo. Sono quesiti validi per tutto quello che oggi si colloca a sinistra del Partito Democratico.
Itinerari comunisti ha il merito di trasmettere una serena logica argomentativa, in cui si trova spazio per il confronto e da cui emerge la prioritaria intenzione dell’autore: perseguire la costruzione di una società futura socialista, di liberazione della classe lavoratrice. Il tutto può apparire anacronistico ai più superficiali, ma i richiami a Trump e Bolsonaro bene evidenziano quel senso della storia sempre meno diffuso. Le vicende elettorali, in una politica ufficiale svuotata di partecipazione e di radicamento reale nella società, spesso ci fanno dimenticare quanti pochi possano essere cinque anni, a confronto con le sfide di fronte a cui ci troviamo.
Certo all’occidente non appartiene la modalità cinese di programmazione fino al 2050, ma nelle parole di Steri si riflettono le occasioni mancate delle comuniste e dei comunisti nel corso degli ultimi trent’anni, in particolare in Italia. In questo senso si possono anche leggere i temi solo accennati, che meriterebbero invece un maggiore approfondimento.
L’efficacia del volume, come sempre quando si tratta di libri come questo, si misurerà in un impegno diffuso e condiviso di chi saprà discuterne, anche criticamente.
Immagine di copertina liberamente ripresa da web.rifondazione.it/archiviostorico/
Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.