Rise for Climate, una serie di manifestazioni a Bruxelles che ha unito la lotta per il cambiamento climatico con la mobilitazione delle nuove generazioni., così sono state rinominate le manifestazioni svoltesi a Bruxelles che, ben cinque volte in due mesi, hanno visto la discesa in piazza di giovani generazioni e non solo per protestare e chiedere politiche di contrasto al cambiamento climatico.
È un movimento che si sta allargando anche a Londra, Berlino e Sydney, questa settimana il Dieci Mani se ne occupa.
Niccolò Bassanello
La questione ambientale è un insieme di problematiche pressanti e complesse, che per essere affrontato in maniera minimamente soddisfacente richiederebbe di per sé un notevole sforzo di volontà nel voler mettere in dubbio le certezze del nostro antropocentrismo e una notevole umiltà nel voler abbandonare l’idea prometeica – ma pure carica di malcelato razzismo eurocentrico – di un essere umano padrone e fattore dell’universo.
I fenomeni dalla crisi ambientale, pur nell’esplicita correlazione reciproca, sono di natura apparentemente diversa: dall’inquinamento propriamente detto (l’immissione di nocività nell’aria, nell’acqua o nel suolo) al cambiamento climatico, alla distruzione di specie ed ecosistemi; così come diverse – nel senso di disparate – sono le “soluzioni” timidamente tentate dalla politica.
Se, per esempio, eliminare i vecchi motori diesel aiuta a ridurre l’inquinamento da polveri sottili e da NOx, a livelli micidiali in molte città europee, la produzione di nuovi veicoli ha un costo elevato in termini di consumo energetico ed emissioni di anidride carbonica, i vecchi veicoli diventano rifiuti da smaltire, la catena di distribuzione è costellata di inefficienze e sprechi e via dicendo, in una giravolta infernale in cui pseudosoluzioni contraddittorie garantiscono il ritorno dei problemi di partenza.
La verità è che le soluzione parziali hanno un loro merito, ma se la politica non pensa ad una soluzione complessiva che sappia guardare alla totalità del quadro si condanna al fallimento. Qui sul Becco abbiamo parlato spesso del tema, nella diversità delle posizioni di chi scrive, e un rinvio a quegli interventi sicuramente evita la ridondanza.
Che le piazze si riempiano di persone, specie quei giovanissimi che la retorica dominante dipinge come apatici e apolitici, per attirare l’attenzione su un tema ancora troppo spesso ottusamente relegato a questione di secondo piano dall’insieme delle culture politiche di matrice europea, è ovviamente una cosa estremamente positiva.
L’ostacolo è e rimane l’incapacità di queste ultime di rinnovarsi integrando seriamente la questione ambientale; un’incapacità particolarmente grave per quelle forze che in senso lato si rifanno al socialismo e alla sinistra.
Il clima e l’ambiente hanno un potenziale di ricomporre e di mobilitare ancora in parte inesplorato, e d’altra parte sarebbe possibile farli dialogare con una prospettiva di classe che guardi alle condizioni di vita delle fasce più deboli, al di là dei consumi.
Può non essere sempre facile, ma sicuramente è più produttivo di nascondere la testa nella sabbia di fronte alla catastrofe.
Piergiorgio Desantis
È sempre confortante e beneaugurante vedere persone in carne e ossa (ovvero senza alcun tipo di intermediazione tecnologica di sorta) che, liberamente e ripetutamente, scendono in piazza per chiedere ai governi nazionali di muoversi su problemi assai importanti e vasti e, contemporaneamente, urgenti qual è quello del cambiamento climatico.
Ebbene, sarebbe il caso di risalire alla Rivoluzione Industriale per indagare approfonditamente e capire le connessioni e le sconnessioni tra ambiente e modello economico capitalista; però piace l’approccio di questi giovanissimi che, pur nella loro inesperienza, riescono a comprendere e a fare una scelta anomala e controcorrente rispetto a tanti, tantissimi loro coetanei.
La questione ambientale si sta declinando sempre di più quale nucleo dialettico di fratture e ricomposizioni intorno a un obiettivo che coinvolge l’umanità tutta.
Forse è anche uno dei bandoli dell’intricata matassa che permetterà di declinare e di formare nuove generazioni di uomini e donne consapevoli e pensanti.
Cosa che di questi tempi ha del miracoloso.
Alex Marsaglia
La questione ecologista è la più cogente per questa generazione che non ha tempo di rimandare alle prossime il problema che ricadrà sulle loro vite prima di quanto si possa pensare.
È altrettanto chiaro che le soluzioni che vengono proposte al problema generato dal capitalismo basato sulla crescita infinita della produzione, a discapito dell’ambiente, sono di natura palliativa.
In questo genere di non-soluzioni il capitalismo ha ovviamente già trovato il modo di costruire un nuovo business per tornare a vendere nuove merci. Le auto nuove ora sono green, gli elettrodomestici sono a basso consumo, le industrie rispettano parametri sempre più stringenti per una produttività in escalation continua.
Le normative statali ovviamente assecondano tale catena consumistica imponendo cicli di vita sempre più brevi alle merci acquistate, un esempio su tutti è il mercato delle auto che viene ora aiutato indirettamente proprio dalle normative statali che rendono illegale il transito in molte città ai motori non omologati agli standard ecologici europei.
L’irrilevanza di simili misure per l’ambiente è chiara ai più ma dovrebbe esserlo anche a un movimento ecologista che spesso si lascia ancora abbagliare dal capitalismo e dal suo greenwashing.
La lotta ecologista è una battaglia storica troppo importante per lasciarla cadere nel vuoto, fagocitata dal capitalismo eco-friendly.
Dmitrij Palagi
Le nuove generazioni ignorano forse cosa fosse la Sinistra l’Arcobaleno. L’uscita di tutto quello che era a sinistra del neo-nato Partito Democratico seguì alla nascita di una lista dove si ambiva a far convergere diverse tradizioni, tra cui quella ecologista, teoricamente rappresentata dai Verdi.
Oggi l’affermazione nel vecchio continente del “sole che ride” sembra aver ridato speranza a chi ha fatto del tema ambientale la sua connotazione politica caratterizzante.
Ai tempi della campagna elettorale del 2008 la lista arcobaleno aveva stampato bandiere di colore rosso e altre di colore verde. Doveva apparire simbolicamente chiaro lo spazio alle varie culture.
Poco dopo, iniziato il processo di frammentazione di quel percorso, Sinistra e Libertà avrebbe cambiato nome in Sinistra Ecologia e Libertà.
Sul Becco abbiamo già intervenuti sul tema ambientale e le altre mani hanno scritto anche questa settimana cose che non voglio ripetere.
Colgo l’occasione per ricordare cosa non deve fare la sinistra. Pensare al tema ambientale come una moda da cui raccogliere un po’ di consenso.
Il conflitto capitale-ambiente impone a chi vuole superare questo sistema di cose presenti di avanzare proposte concrete e immediate. La transizione di lungo periodo è qualcosa che questo pianeta non pare potersi più permettere e colonizzare altri mondi non pare un’opzione credibile nel breve periodo…
La sfida delle proteste in piazza è sempre quella di dare delle prospettive in positivo, di cambiamento nel caso delle sinistre “di classe”.
Jacopo Vannucchi
Nonostante l’affermarsi negli Stati Uniti di un’amministrazione fortemente ostile alle regolamentazioni ambientali (e che ha di fatto messo in sonno l’EPA, l’Agenzia federale per la Protezione Ambientale) e il ritiro del Paese dagli Accordi di Parigi, la consapevolezza della questione ecologica pare crescere e generare una nuova schiera di militanti.
C’è una differenza fondamentale con la prima grande onda ambientalista, quella degli anni Ottanta: al tempo la denuncia era in larga parte circoscritta al rifiuto dell’energia nucleare; oggi invece è l’intero sistema produttivo ad essere sottoposto a una critica che intende ripensarlo completamente. Il mutamento concettuale non è di poco conto, sebbene gli effetti pratici possano essere, almeno in questa prima fase, molto limitati.
Personalmente non ritengo possibile la via “trovare soluzioni di mercato ai problemi ambientali”, caldeggiata da alcuni ambienti di capitalismo illuminato, per un motivo molto semplice: il mercato è orientato verso il profitto, e in particolare verso il profitto immediato, per cui non è pensabile che in esso risulti maggioritaria un’opzione di costosa riconversione industriale che darà i suoi frutti negli anni o nei decenni.
Sono invece gli Stati – o quelli che sono sufficientemente forti da farlo, come gli Stati Uniti o la Cina – a potere indirizzare, se non costringere, la produzione su binari “verdi”.
È di pochi giorni fa la notizia che al Congresso USA la deputata Alexandria Ocasio-Cortez e il senatore Ed Markey, entrambi democratici, stanno lavorando a una proposta di legge di Green New Deal che dovrebbe occuparsi esaustivamente di riduzione delle emissioni, creazione di posti di lavoro e riconversione delle infrastrutture.
Markey, che è stato eletto nel 1976 e ha quindi una forte conoscenza parlamentare, è sicuramente il politico degli Stati Uniti più marcatamente impegnato sui temi ambientali.
Come già molti movimenti progressisti del passato anche quello ambientalista non sfugge però alla morsa della maggioranza conservatrice, che ormai è anche molto poco silenziosa.
Si è visto bene in Francia quali siano gli ostacoli che la pancia della società, magari imbeccata da potenze esterne, frappone alle politiche di transizione ecologica.
Proprio per questo è necessario iniziare una militanza attiva e organizzata anche sulla questione ambientale, che pone la vita stessa del genere umano sull’orlo di un’orribile morte lenta.
Alessandro Zabban
La storia di Greta Thunberg, la ragazzina svedese che ogni venerdì protesta davanti al parlamento del suo paese per l’ambiente, ha avuto un ampio risalto mediatico, complice la sua ammirevole determinazione e il suo essere diventata un po’ il simbolo delle rivendicazioni di una generazione nata agli inizi del nuovo millennio e che sta piano piano prendendo coscienza del mondo che la circonda e dei suoi enormi problemi.
Anche la manifestazione a Bruxelles di un nutrito numero di coetanei di Greta sembra inserirsi nello stesso filone narrativo di una generazione che sta iniziando, almeno in Occidente, a comprendere la situazione catastrofica in cui ci troviamo.
Situazione che per una serie di motivazioni culturali ed anagrafiche non è invece percepita come così incombente dalla maggioranza degli appartenenti alle coorti più anziane.
La crescente sensibilità dei più giovani nei confronti dei cambiamenti climatici sembra dunque essere un fatto, il problema è che non c’è abbastanza tempo per aspettare che una nuova generazione più decisa a portare avanti una radicale agenda ecologista si faccia strada. E questo gli adolescenti scesi in piazza sembrano capirlo, dato che l’appello lo lanciano ai loro governi in modo che facciano molto di più e molto più in fretta.
Il problema è che chi detta le regole del gioco è abbastanza cinico da insanguinare un intero paese per accaparrarsi le sue ingenti riserve petrolifere (a proposito di energia pulita e fonti rinnovabili!), figuriamoci come possa intenerirsi di fronte a dei ragazzini che sfilano in strada.
Il dramma è che non ti stai battendo con una fionda contro Golia e nemmeno contro un ben più temibile Leviatano, qua stai affrontando la piovra del capitalismo globale la cui unica legge è quella del profitto.
Le proteste per pretendere politiche ecologiche serie sono giuste e ammirevoli, soprattutto quando partono da ragazzi così giovani ma in mancanza di un movimento di massa globale in grado di affrontare nell’agone politico questo sistema, il coraggio e l’abnegazione di Greta e degli altri rischiano di diventare l’ennesimo spot per qualche grande organizzazione umanitaria, utile dal punto di vista dell’immagine ma del tutto inefficace nel promuovere effettivamente quella rottura drastica che è oramai indispensabile.
È da decenni che il capitalismo sfrutta la retorica delle rinnovabili, della transizione ecologica, del digitale, dell’innovazione, della green economy per far vedere quanto le élite si stanno impegnando a salvare il pianeta ma l’unica realtà oggettiva è che nel 2019 sono ancora tutti pronti a fare la guerra per le risorse petrolifere mentre aumentano sempre di più le emissioni di CO2 e si avanza spediti verso la catastrofe.
Immagine di copertina liberamente ripresa da www.valigiablu.it
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.