La scadenza delle elezioni europee si avvicina, e già si avvertono sentori da campagna elettorale. Nella galassia dell’ex centrosinistra e della sinistra si agitano proposte legate a diversi personaggi e a traiettorie organizzative e programmatiche non sempre compatibili. A queste proposte e allo stato della sinistra in Italia è dedicato il confronto a più mani di questa settimana.
Niccolò Bassanello
Dal definitivo tramontare del centrosinistra la sinistra non sembra riuscire a trovare un assetto politico e organizzativo stabile. Sigle, partiti, appelli e coalizioni si susseguono vorticosamente, vivendo nello spazio di pochi mesi un’esistenza sempre più vuota.
Si compiono scissioni per preservare settarismi e identità, si lanciano anatemi contro il capro espiatorio di turno, colpevole di non aver rispettato le regole di purezza concepite da qualche ridicolo aspirante Lenin; o al contrario si aggregano quanti più soggetti sconfitti – ovviamente esclusi dal mettersi in discussione – attorno ad autonominati leader e a manifesti fumosi. Le persone che nella società dovrebbero fare da riferimento a queste forze, perlopiù, ne ignorano l’esistenza o non sono più in grado di capirne le dinamiche.
Che l’Italia alle prossime europee possa essere da questo punto di vista la pecora nera, perdendo quel poco di rappresentanza collocata tra la sinistra di S&D (Possibile e MdP) ed il GUE (l’ex Altra Europa), non sorprende.Sorprende piuttosto la coazione a ripetere nel proporre le stesse ricette fallimentari di gruppi dirigenti diffusi evidentemente incapaci di recuperare una minima bussola di cultura politica; e che anzi sembrano sempre più immersi, come una buona fetta di mondo militante, in astrusi dibattiti (il populismo, remoti eventi storici, approcci filosofici, visioni di politica internazionale, ma si potrebbe continuare all’infinito…) completamente slegati da un lavoro teorico che richiederebbe quantomeno un ritorno ai fondamenti e un minimo di sistematicità: discutere di questioni politiche di per sé non è un male, lo è quando diventa volo pindarico e pratica funzionale al narcisismo da bolla social. Estrarre dai processi di soggettivazione e puntare sulle frantumazioni identitarie si dimostra ancora una volta una scelta oculata del capitalismo contemporaneo. L’urgenza di costruire una realtà politica che sia ontologicamente e pragmaticamente differente dallo squallore del presente però resta, e interroga tutti coloro che si ostinano a rifarsi al campo ampio della sinistra, dentro o fuori dai soggetti organizzati. Forse bisognerebbe prima di tutto, al di là della scadenza elettorale, farsi un’idea dei soggetti sociali cui riferirsi, senza mimesi e appiattimenti posticci e senza forzarne frettolosamente la ricomposizione in categorizzazioni vaghe e alla lunga insoddisfacenti, ma senza tabù e senza aver paura di pensare in un orizzonte di trasformazione del capitalismo. Rappresentare un pezzo di società, nell’ottica di restituire uno sbocco costruttivo a rivendicazioni e malesseri del presente e di lottare per un programma minimo di urgenze materiali, senza l’arroganza settaria di voler avere e imporre a tutti i costi una posizione tagliata con l’accetta su temi sproporzionati alle forze in campo, potrebbe in questo spirito essere una valida meta cui aspirare. O almeno un’alternativa accettabile all’irrilevanza.
Piergiorgio Desantis
Si è perso ormai il conto delle mutevoli e molteplici forme e format con cui si è presentata la sinistra alle elezioni dopo la fine del PCI e del PSI in Italia. C’è chi si è divertito a scrivere libri sul tema, oggetto di studi e dibattiti per una sempre più ristretta cerchia di addetti ai lavori sempre più fuori da ciò che sembrava una stanza dei bottoni.
Si potrebbe sorvolare sull’ipotesi “Listone Calenda” dove alberga il tutto e il contrario di tutto con contorni programmatici non meglio identificati tranne che per l’antisalvinismo, foriero di certe sconfitte, e con ben chiaro, invece, le classi e i ceti di riferimento che caldeggiano quest’operazione politica.
A sinistra, invece, a pochi mesi dalle elezioni europee continua a regnare sovrana la fumosità, l’assenza di ogni tipo di prospettiva politica. Tutto gira intorno a almeno due proposte elettorali (potrebbero anche essere quattro o cinque, ma staremo a vedere). La linea di demarcazione e divisione ruota attorno al sovranismo/antisovranismo ovvero al tema Europa/NoEuropa, in parte ribadendo la subalternità della sinistra rispetto a progetti politici ben più forti e chiari a destra, in parte lanciandosi accuse reciproche – insensate – anche perché l’uscita dall’UE non sembra essere all’ordine del giorno.
Chi scrive vorrebbe però avere la possibilità di poter votare (e iniziare a costruire alla svelta) una sinistra popolare e di classe che abbia come punto di riferimento la difesa e il rilancio dei diritti sociali e civili, unitamente, senza tralasciare né gli uni né gli altri, anzi rafforzandoli a vicenda.
Faccio parte della generazione che non “voleva la luna” (ahimé) ma almeno di uno spazio a sinistra, quello sì, ne sente il bisogno.
Dmitrij Palagi
Se la mia iscrizione a Rifondazione Comunista risale al 2006 sono sicuramente meno gli anni in cui posso dire di aver praticato la politica con maggiori informazioni rispetto a quanto si può apprendere solo seguendo la sinistra italiana attraverso il sistema di informazione e la comunicazione pubblica delle diverse organizzazioni. Nonostante questo fatico a credere allo stato in cui siamo. Ogni tornata elettorale si presenta con la promessa di essere il punto più basso toccato. Invece prosegue la discesa negli abissi, complice una società in cui partecipare a qualcosa pare essere poco social. Si prosegue troppo spesso per mode e per slogan, ormai schiacciati su un piano della comunicazione più subito che praticato. L’assenza di energie non riesce a compensarsi e ogni tentativo sembra destinato ad affogare in una sconfitta storica di dimensioni enormi, troppo spesso sottovalutata (e iniziata ben prima della caduta del Muro di Berlino). Se le proposte non ci sono diventa difficile misurare il consenso. Restano vaghe necessità: lo spazio simbolico è ancora indicato. Diritti sociali, diritti civili, contraddizioni del sistema di cose presenti nel sistema produttivo e insostenibilità (ambientale e umana) dell’attuale modello di sviluppo. Ognuno però sembra voler fare capolino in solitaria, o in piccoli gruppi. Serve un meccanismo politico capace di innescare partecipazione e coinvolgimento, con cui travolgere l’esistente. La confusione della sinistra italiana, più che nella difficile fase con cui si costruiranno le carrozze delle europee, si potrà misurare guardando come arriva alle scadenze delle amministrative. Probabilmente quando le liste saranno depositate si potranno fare commenti più articolati. Per adesso basta dare un occhio ad Abruzzo e Sardegna…
Jacopo Vannucchi
Sono trascorsi ormai quasi dieci anni, per mia sfortuna, da quando un amico impegnato nella campagna elettorale di esordio di Sinistra e Libertà (europee 2009) mi disse che la lista avrebbe avuto un buon successo «se gli elettori la percepiranno come un progetto e non come una riunione di sigle».
Fedele al detto che il medico pietoso fece la piaga purulenta non potei trattenermi dal fargli notare che agli elettori non importa minimamente (le mie vere parole furono più colorite) diprogetti o quant’altro. Il consenso elettorale deriva dalla capacità che gli elettori attribuiscono al partito X di realizzare i punti che essi ritengono fondamentali (e che possono essere i più vari: il controllo delle finanze pubbliche, una tolleranza bonaria nei confronti dell’evasione fiscale, la difesa delle prestazioni sociali, eccetera).
Ora, a mio avviso la “sinistra radicale” aveva dimostrato con il risultato elettorale del 2008 di aver perso tale credibilità. Il suo precedente elettorato si può forse dividere in tre parti. 1. Chi privilegiava la responsabilità sulla convinzione (mi si concedano i termini weberiani). 2. Chi privilegiava la convinzione sulla responsabilità.
3. Chi forniva meramente un voto antisistema.
A causa dell’incostante atteggiamento nei confronti dell’Unione e del Governo Prodi, il primo gruppo si spostò sul centrosinistra a trazione PD e, per il momento, fu seguito anche da una buona parte del terzo gruppo che si orientò perlopiù sull’Italia dei Valori.
Restava il secondo gruppo, che era però insufficiente a un sostanzioso traguardo elettorale.
Con il trascorrere degli anni la situazione si è soltanto aggravata.
Per esempio: mentre l’ex PdCI, partito a cui mi sentii molto vicino nella mia adolescenza, giuoca a rifare il PCd’I prima e il PCI poi, indovinate a chi va ora il voto antisistema.
Se già all’epoca pensavo che non ci fosse spazio per la sinistra radicale se non dentro un partito di centrosinistra, l’evoluzione successiva non ha fatto nulla per convincermi del contrario.
Immagine di copertina liberamente ripresa da pixabay.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.