Le vicende di una nave della ONG Sea Watch, rimasta quasi tre settimane ferma a poche miglia dalla costa maltese e al cui interno era stipati, oltre ai membri dell’equipaggio anche una trentina di migranti raccolti da un gommone che stava affondando, ha riacceso in Italia il dibattito sull’immigrazione e creato dei dissapori interni fra Salvini da una parte e Di Maio e Conte dall’altra. La crisi sembra rientrata nel momento in cui Malta ha acconsentito allo sbarco e la Chiesa Valdese si è offerta di ospitare nelle sue strutture una decina dei migranti sbarcati a Malta.
La vicenda si chiude così senza creare ulteriori imbarazzi a un Movimento 5 Stelle che sembra stia tradendo le aspettative dei suoi elettori di sinistra e senza minare eccessivamente la credibilità di Salvini che può affermare che “i porti italiani restano chiusi” e che l’arrivo dei migranti resta “senza alcun costo” per gli italiani. La questione della gestione dell’immigrazione resta però delicata e pesa sugli equilibri politici interni alla maggioranza anche in vista delle elezioni europee. Su questo tema il dieci mani della settimana.
Piergiorgio Desantis
Quanto accaduto con la nave “Sea Watch” conferma, ancora una volta, la totale assenza politica dell’Europa che si conferma preda dei piccoli calcoli politici elettorali italiani e non solo.
In Italia Salvini e la Lega continuano a dettare la maggior parte dell’agenda politica del governo giallo-nero, tutta incentrata sull’ordine pubblico e sul no a qualsiasi tipo di migrante (donne e bambini poco importa). Il movimento 5 stelle si conferma comprimario e, purtroppo, condivide (anche nelle esperienze di governo comunale) le priorità leghiste, al massimo balbettando e limitandosi al piccolo cabotaggio.
Non resta che confidare, anche per i non credenti, nella bontà e carità della Chiesa cattolica (ieri) e della Chiesa valdese (oggi) per l’accoglienza e la salvaguardia delle vite delle persone in movimento.
Sperando che la politica, anche e soprattutto a Sinistra, accenda i fari e inizi a occuparsi delle prossime migrazioni senza rincorrere, tra l’altro, le destre sul loro terreno di chiusure e di muri, perché trattasi di scelte oltreché sbagliate e disumane, assai fallimentari. La situazione è sotto gli occhi di tutti.
Quanto accaduto durante il cosiddetto “sequestro” della Sea Watch non è altro che il tentativo di applicazione della restrittiva politica migratoria di questo Governo. La chiusura dei confini nazionali non sembra però essere prerogativa di un Governo, poiché tramite le politiche di redistribuzione europee questa politica viene semplicemente aggirata furbescamente. Vediamo quali sono i criteri di tale redistribuzione: dipendono sostanzialmente da accordi ad hoc in base ai quali i paesi che accettano il ricollocamento effettuano controlli preventivi sui migranti da accogliere in modo da accogliere effettivamente solo le persone più vulnerabili, in modo tale i paesi più ricchi dell’UE riescono ad accoglierne meno e Malta addirittura nessuno (vedi immagine diffusa dal Ministero dell’Interno in riferimento agli sbarchi di questa estate ).
Con questa possibilità di deroga ai già iniqui ricollocamenti previsti dal regolamento di Dublino viene ristretta ancora di più la possibilità di completare con successo i ricollocamenti, che diventano così delle mere operazioni di facciata per salvare l’umanità dell’UE che in realtà continua a rifiutare ogni logica inclusiva.
Sulle navi Sea Watch e Sea Eye si è purtroppo dovuto assistere a una ripetizione della nave Diciotti. Ripetizione meno spettacolarizzata, perché le imbarcazioni non erano della Guardia costiera bensì di Ong, e perché sono state in alto mare, lontane dalle videocamere; ma non meno drammatica, anzi: l’odissea per le persone a bordo è stata anche peggiore, trovandosi al largo in balia del maltempo marittimo.
Le responsabilità – diciamo meglio: le colpe – non sono equamente divise tra Italia e Malta, visto che quest’ultima deve sopportare una pressione migratoria ben superiore, se parametrata alle possibilità di infrastrutture e personale dell’arcipelago.
Il salto di qualità (un salto nell’abisso, ovviamente) è però nel crescente delirio megalomane del Ministro dell’Interno, il quale ha detto: «Possono fare appelli, Fabio Fazio, il vescovo, il cantante, il calciatore, ma io rispondo a 60 milioni di italiani», che è un po’ come dire “possono venirmi contro anche 60 milioni di italiani, ma io rispondo a 60 milioni di italiani”. Quello che stupisce, al di là del misto di violenza e razzismo a cui il governo intende abituarci, è che virtualmente inesistenti siano state le voci critiche a tutela non solo dei diritti umani dei migranti ma anche delle istituzioni italiane. Il Presidente del Consiglio ha subìto ancora le decisioni del titolare del Viminale, che fin dalle consultazioni di maggio ha inteso arrogarsi il ruolo di guida del governo; il Ministro degli Esteri, che una certa narrazione liberale vorrebbe argine interno al fascismo (ma come un Galeazzo Ciano?), si è ancora distinto per la sua latitanza; quanto al Ministro delle Infrastrutture, ha candidamente (anzi, neramente) affermato che Sea Eye ha violato la legge perché i migranti andavano respinti in Libia.
Di Maio è passato per quello “com’è umano lei” perché ha proposto lo sbarco in Italia di «donne e bambini»: al di là del fatto che separare i nuclei familiari è orribile non solo quando lo fa Trump al confine messicano ma anche quando lo fa Di Maio nel Mediterraneo, la locuzione “donne e bambini” ha un senso quando i posti per la salvezza sono contati e quindi si dà la precedenza a questi due gruppi. E affermare che in Italia non si contavano 49 (quarantanove) posti è, francamente, insultante per l’essere umano.
I migranti sono stati, ora più che mai, un efficace specchietto per le allodole per distogliere l’attenzione dal deterioramento della situazione economica del Paese. Ma gli elettorati di M5S e Lega (i disoccupati, gli operai, gli autonomi, i piccoli imprenditori) hanno ancora tutto il 2019 davanti per apprezzarne gli effetti.
La vicenda Sea Watch mostra chiaramente tutte le difficoltà del Movimento 5 Stelle, che si è fatto dettare l’agenda sulle politiche migratorie dalla Lega ma di cui non può condividerne del tutto l’asprezza, dati i malumori presenti in un settore dell’elettorato pentastellato, poco incline ad anteporre in maniera così risoluta la ragione di stato ai diritti umani. Non stupisce che in una situazione del genere la posizione di Di Maio sulla vicenda sia risultata del tutto raccapricciante e patetica, con l’offerta piuttosto assurda di mettere in salvo solo “donne e bambini”. Più che una vera contrapposizione alla linea di Salvini, un tentativo goffo e inconcludente di non scontentare nessuno che si traduce ovviamente esattamente nel suo opposto, facendo apparire Di Maio come una brutta copia meno risoluta di Salvini.
Lo stato confusionale del 5 Stelle appare peraltro su altri fronti, come quello economico e delle alleanze europee. Se Salvini mostra di avere le idee chiare, puntando ad un’alleanza nera con le destre di Visegrad (durante la vicenda Sea Watch Salvini era in Polonia) e può rivendicare la messa in atto di misure securitarie aberranti ma che piacciono a una grossa fetta degli italiani, Di Maio sembra non sapere a che santo votarsi, fra flirt andati male con i Gilet Gialli, ambiguità sulla TAV, imbarazzi per le trivellazioni nello Ionio, controversi salvataggi bancari e continui lifting al suo cavallo di battaglia, quel reddito di cittadinanza oramai del tutto depotenziato. Un Salvini che ora può incassare anche il dividendo politico della cattura di Battisti, potrebbe anche pensare di sbarazzarsi dell’impacciato alleato di governo. Le elezioni europee daranno probabilmente il verdetto sulla durata di questo governo gialloverde, sempre più tendente al nero.
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.