Lo scorso 17 novembre la Francia è stata travolta da una protesta totalmente inaspettata. Il giorno dei “giubbotti gialli” è stato un enorme successo con oltre 2.000 posti di blocco contro i 1.500 che erano stati annunciati, purtroppo ci è scappato pure il morto nel tentativo di forzarne uno. Una nuova manifestazione con approdo nella capitale parigina si è svolta sabato 24 novembre, e ha replicato il successo del 17 cercando di intavolare un dialogo con le istituzioni che finora sembra essere mancato secondo i manifestanti.
Nel Dieci Mani di questa settimana approfondiamo le rivendicazioni di questo nuovo movimento spontaneo dei “gilets jaunes” per capirne di più.
È una metodologia fuorviante e fallace quella di etichettare subitaneamente i movimenti (di massa e non solo) appena affacciati, utilizzando sempre e comunque la dicotomia destra/sinistra.
Molto meglio fermarsi ad ascoltare e capire l’ascesa del movimento dei gilet gialli in Francia. Una portavoce della protesta ha affermato chiaramente che: «Les Gilets jaunes ne sont ni un parti ni un syndicat, mais nous allons essayer d’établir une liste de revendications communes». C’è un qualche eco ai cahiers de doléances della borghesia e dei contadini ai tempi della Rivoluzione francese nei quali registri scrivevano lamentele e rivendicazioni: tra le altre c’era anche l’ingiusta tassazione che subivano a quel tempo.
Lasciando a margine dispute storiografiche o sociologiche, le proteste nascono dalla decisione del governo francese e del suo presidente Macron di aumentare le accise sulla benzina per finanziare energie alternative e scoraggiare l’utilizzo delle auto.
Questo provvedimento, ingiusto e regressivo colpendo allo stesso modo tutti i contribuenti, ha acuito quel malessere diffuso che si aggira in tutta Europa ammalata di austerity, di salari sempre più striminziti e di contratti sempre più precari. Le condizioni reali della grande maggioranza degli europei continueranno a peggiorare seguendo le politiche economiche scelte a Bruxelles. Pertanto, ci sarà spazio per grandi e piccoli movimenti popolari (si spera anche in Italia). Tutto si muove e saranno tempi interessanti. C’est un début.
Apparentemente il movimento innescato dall’annuncio di un aumento dei prezzi del carburante con la partecipazione di persone che si mettono il giubbotto di sicurezza stradale può apparire effimero ed estremamente improvvisato. In realtà ciò che abbiamo visto nascere in Francia è la prima esplosione di una rabbia più profonda. È la rabbia delle periferie vere, non delle banlieue nate da politiche pubbliche totalmente insensate, ma delle periferie delle periferie storiche e anche delle campagne. Non è il meticciato ad essere sceso per le strade, bensì la popolazione bianca delle aree rurali della Francia, ovvero persone costrette a campare da generazioni viaggiando stabilmente sulla soglia povertà.
Infatti, le condizioni materiali di vita sono al centro delle rivendicazioni dei “gilets jaunes” che non riescono a sopportare l’aumento dei prezzi dei carburanti che si traduce semplicemente in più inflazione sui beni di consumo a fronte di una deflazione salariale ormai decennale anche in Francia e di una pressione fiscale che tende a caricare il suo peso sulle fasce della popolazione più numerosa e che inevitabilmente “fa numero” per le casse statali. Le politiche economiche filoeuropeiste di Macron impongono di spremere il più possibile le tasche dei cittadini francesi ed è bene che le rivendicazioni dei gilet si siano allargate anche all’inversione totale delle attuali politiche economiche ordoliberiste. Persino le politiche ecologiche di Macron si sono rivelate una tassa che solo i ricchi possono permettersi e così l’essere green diventa un lusso che si è deciso di non accettare.
Ci troviamo così di fronte a un movimento spontaneo fatto di proletari che svolgono inevitabilmente diverse professioni e mestieri, ma che si sentono sempre più spremuti dalle casse di uno Stato che sa unicamente scaricare sui cittadini il peso della crisi economica, sociale e ambientale. Direi che non è il caso di snobbarli e tanto meno di etichettarli come sciovinisti o xenofobi unicamente per la composizione sociale di quel movimento che rappresentano e che sta scuotendo la Francia promettendo di rivoltarla.
Quello che il capitale divide, la lotta unisce. Vuote parole per la sinistra europea e le organizzazioni di classe del vecchio continente. Quale credibilità ha il governo francese nella sua battaglia per l’ambiente? Questa può conciliarsi con la difesa di quello stesso sistema economico basato sullo sfruttamento delle persone e delle risorse naturali?
Non esiste niente di spontaneo. Le informazioni in qualche modo circolano, qualcuno prende delle decisioni, si sceglie chi rilascia dichiarazioni. Esistono istanze che intercettano una sensibilità diffusa e riescono ad aggregare in maniera non prevista dal sistema (istituzionale, di informazione, di ricerca). Le contraddizioni del mondo in cui viviamo emergono continuamente, dovrebbero essere quindi ricondotte ai problemi di fondo. Sostenere le giuste ragioni, contestare quelle fuorvianti e saper portare avanti una alternativa credibile.
Dividersi tra spettatori favorevoli e contrari a una manifestazione è quanto di più inutile si possa fare, se si vuole essere qualcosa di più di un movimento di opinione (anche perché è un’opinione che in fondo pare non interessare a molte persone).
Circola una notizia su una convergenza a Montpellier tra gilet gialli e #Noustoutes, mentre in Italia sembra rinnovarsi una griglia interpretativa di contrapposizione tra diritti sociali e diritti civili. Fino a che la lotta non viene promossa con coscienza di classe ha poco senso appuntare la matita rossa, per sottolineare quello che non va o evidenziare commentando “finalmente!”.
Politiche industriali alternative e pubbliche, comprensive di un trasporto pubblico direttamente coinvolto dalla tematica del lavoro e da quella ambientale: ne abbiamo?
Una svampita cinquantenne di Bohal (810 abitanti), esperta di scie chimiche e di parapsicologia, una sera ha preso lo smartphone e si è messa su Facebook a inveire in diretta contro le tasse e i politici.
Dallo sfogo di questa novella Balilla è nato un movimento che ha coinvolto decine di migliaia di persone, prodotto blocchi stradali in tutta la Francia, scatenato guerriglia urbana nel centro di Parigi, minacciato apertamente la guerra civile (1), tentato almeno un attentato dinamitardo (2).
Almeno, questo è quello che la stampa prende per buono, evitando di indagare le fonti organizzative e finanziarie di un movimento tanto ramificato. Nel 1956 Palmiro Togliatti, parlando della rivolta di Poznań, fece presente che “non basta una scatola di fiammiferi per dar fuoco a un palazzo”, identificando invece in quella sollevazione «la presenza del nemico».
Chi è, oggi, il nemico incarnato dai giubbetti gialli?
Commentatori francesi hanno messo in rilievo come il movimento si inserisca nel solco delle rivolte fiscali (3) («una lunga tradizione di contestazione, che cospira contro lo Stato reclamandone però la protezione»), il cui maggiore esponente in Francia fu il cartolaio Pierre Poujade, un ex fascista collaborazionista che negli anni Cinquanta mise insieme un partito qualunquista e di destra estrema che raccolse il 12,6% nel 1956, eleggendo deputato, tra gli altri, Le Pen padre.
In Italia, invece, almeno «la Repubblica» continua a spacciare la fola dei “perdenti della globalizzazione” (armati di smartphone, a quanto pare) e della “rivolta degli ultimi”. Più accurata l’analisi di un editorialista cattolico (4) che descrive la protesta come «guerra civile delle classi medie» (in una parola, il fascismo), specificando inoltre: «Non è la Francia periferica, è “il popolo centrale”, ha detto abilmente Marine Le Pen, che cerca la propria clientela».
Come negli Stati Uniti di Trump, anche in Francia lo spezzarsi del baricentro sociale favorisce il declino del fronte democratico e il saldarsi di settori conservatori al fascismo. Che questa esplosione si sia subitaneamente manifestata dopo le minacce di Trump a Macron, reo di volere un’Europa militarmente autonoma dagli Stati Uniti, è una coincidenza che fa prendere corpo alla «presenza del nemico». Marine Le Pen è stata lesta a far presente la propria vicinanza a un movimento che si dichiara “apolitico” (gli “apolitici”, alle ultime presidenziali, le hanno dato il 37% al primo turno (5) e il 52% nel ballottaggio (6)). Già nel 2015, del resto, l’allora Primo ministro Valls (socialista) aveva messo in guardia che il Fronte nazionale avrebbe condotto alla guerra civile (7).
E la sinistra?
Durante la campagna presidenziale Macron rispondendo a Mélenchon disse che non sognava un futuro senza fabbriche, ma fabbriche senza fumo e ciminiere. La necessità di adottare su larga scala fonti energetiche non inquinanti, a cui il Presidente francese ha dedicato uno specifico Ministero per la Transizione Ecologica, è pressante per la sopravvivenza della specie umana, ma naturalmente osteggiata dagli esportatori di petrolio, in primis gli Stati Uniti. Oggi, come già accaduto altre volte in passato, Mélenchon si ritrova fianco a fianco con Trump e Le Pen, aiutandoli a dividere i progressisti e i democratici e a dipingere un volto bonario sul muso bestiale del fascismo, che si presenta come “apolitico” e “per la democrazia diretta” perché ancora si vergognano di mettersi la svastica al braccio.
P.S.
Il Partito comunista francese ha appena rinnovato la propria dirigenza al XXXVIII Congresso. Rompendo con Mélenchon (meglio tardi che mai!) sembra riavvicinarsi ai socialisti; tuttavia, esprime solidarietà ai giubbetti gialli. Errare humanum est, perseverare autem…
(1) http://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2018/11/24/gilet-gialli-pronti-ad-una-guerra-civile_3af0092f-c7dd-420b-9f61-24ac05b86595.html
(2) https://it.euronews.com/2018/11/24/francia-sventato-attentato-esplosivo-di-un-gilet-giallo
(3) https://www.lemonde.fr/idees/article/2018/11/23/gilets-jaunes-les-habits-neufs-de-la-revolte-fiscale_5387453_3232.html
(4) http://www.lavie.fr/debats/edito/la-guerre-civile-des-classes-moyennes-20-11-2018-94482_429.php
(5) https://www.ipsos.com/sites/default/files/files-fr-fr/doc_associe/ipsos-sopra-steria_sociologie-des-electorats_23-avril-2017-21h.pdf
(6) https://www.ipsos.com/sites/default/files/files-fr-fr/doc_associe/ipsos_sopra_steria_sociologie_des_electorats_7_mai_20h15_0.pdf
(7) http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/12/11/valls-fn-puo-portare-a-guerra-civile_2633827a-dd55-4e22-96e7-58b0ca8fd753.html
Per molti aspetti la protesta dei “Gilet gialli” ha un carattere reazionario. Spinti dal rancore, contro una indifferenziata “casta” e in nome di una politica del risentimento senza filtri e mediazioni, i Gilets jaunes sono nati come reazione indignata alla decisione di Macron di aumentare le tasse sul carburante. Più che “Liberté, égalité, fraternité”, una protesta a prima vista retrograda contro una misura dettata, almeno formalmente, dal nobile imperativo della transizione ecologica.
Ma questa è solo una piccola parte della verità. Perché non servono analisi particolarmente approfondite sul contesto socio-economico francese (non dissimile peraltro da quello italiano sotto molti punti di vista), per rendersi conto del profondo malessere di cui i manifestanti con i gilet gialli sono espressione. Decenni di politiche liberiste hanno completamente ridisegnato la cartina demografica francese, nella direzione di un modello spaziale ghettizzante e classista. La gentrificazione selvaggia ha spinto molti francesi della classi meno abbienti fuori dai grandi centri, in zone poco o per nulla servite dai mezzi pubblici e nelle quali l’unico modo per spostarsi anche solo per comprare il pane e il latte è la macchina. Mentre a Parigi il caro affitti ha obbligato molti ad abbandonare persino le modeste banlieue, troppo care per le nuove masse di working poor, lo sprawl suburbano cresceva a dismisura, rendendo manifesta l’ipocrisia ecologista di chi, come Macron, predica la limitazione dei combustibili fossibili ma poi plasma e rinforza continuamente un modello di società in cui avere la macchina è sinonimo di sopravvivenza, in un contesto di tagli senza precedenti al trasporto pubblico. Se negli anni sessanta e settanta, gli Hinterland alienati erano sinonimo di una vita anonima e grigia ma tranquilla, oggi per la “Francia périhurbaine” persino la sicurezza economica è diventata un miraggio. Così, un aumento del costo del carburante può significare la differenza fra l’arrivare alla fine del mese e il non farcela. Solo a partire da questa situazione di oggettivo degrado e frutto intenzionale di politiche economiche ed urbane dissennate, si può capire il profondo malcontento che scuote la Francia suburbana e semi-rurale.
Se veramente si vuole fare qualcosa per l’ambiente, accanto all’aumento delle tasse sui combustibili fossili, si dovrebbe anche rilanciare il trasporto pubblico, rimettere realmente in discussione il modello della “città diffusa” (che è risaputo avere un impatto devastante sull’ambiente) e combattere concretamente il fenomeno sempre più distruttivo della gentrificazione. Fare l’opposto di questo non rende le élite parigine più smart dei Gilet Gialli, anzi. Negli ultimi decenni la creazione di miseria, impoverimento, solitudine è andata di pari passo con l’incremento del degrado ambientale e delle emissioni di CO2 in un contesto di forsennato rilancio del consumismo dopo la crisi del 2007. Se questo è il modello che le élite illuminate hanno in mente, sorge un dubbio: che la vera Vandea non si nasconda in realtà fra i palazzi del centro di Parigi?
Immagine di copertina liberamente ripresa da www.rtl.fr
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.