“Soul Music! La musica soul è al centro di ciò che facciamo! La musica soul è musica di sangue, sudore, terra, cielo, rimpianto, rabbia, gioia, sesso, amore”.
Bruce Springsteen 2012
Due anni dopo il successo di “Letter to You”, riecco il Boss. Only the strong survive. Solo il più forte sopravvive. Definitelo pure un dinosauro, ma la sua forza è quella di reinventarsi continuamente. Nel 2023 Bruce Springsteen compirà 50 anni di carriera. Almeno stando alla pubblicazione del suo primo album “Greetings from Asbury Park” (1973). Una cifra che va impallidire i giovani che oggi decidono di fare musica.
In realtà ha già superato la fatidica cifra, visto che già alla fine degli anni Sessanta era attivissimo. Nell’ultimo decennio Bruce Springsteen ha fatto quel che gli riesce meglio: lo sperimentatore. Ha fatto concerti dove ha rivisitato i suoi album per intero, ha fatto una tournee teatrale a Broadway raccontando la sua vita (Springsteen on Broadway lo trovate su Netflix), ha scritto un romanzo (Born To Run), ha fatto una colonna sonora western (Western Stars), un album rock con la E-Street Band (Letter to you) e ben 2 documentari (Western Stars e Letter to you con il sodale Thom Zimny). Non male per un “ragazzino” di 73 anni che nel frattempo è diventato pure nonno.
Eravamo rimasti proprio a quel disco uscito in piena seconda ondata di pandemia (ottobre 2020). Un album magnifico sugli amici di infanzia, la sua prima band (i Castiles), sui ricordi, sui fantasmi degli amici che non ci sono più (Clarence Clemons e Danny Federici della E-Street Band, George Theiss dei Castiles). Sulla scia di questa nostalgia, il 73enne Bruce Springsteen è uscito con un disco di cover di musica R&B e soul. È il suo secondo album di cover dopo “We shall overcome” (2006).
L’influenza soul su Springsteen però era presente in tantissimi lavori: “Human Touch” (1992), “Wrecking ball” (2012) e “High Hopes (2014) su tutti. Dimenticate la E-Street Band. Qui c’è solo Soozie Tyrell, la violinista, che si occupa dei cori. Ha “lasciato a casa” anche la moglie Patti Scialfa. Queste 15 canzoni sono state formative per il Boss, quando iniziava a strimpellare la chitarra. “Se hai suonato in un bar nel New Jersey negli anni Sessanta e Settanta, suonavi musica soul” – ha detto in un’intervista a Rolling Stone. Questo disco nasce proprio nel periodo del lockdown durante intense registrazioni di studio, assieme al produttore Ron Aniello. In queste canzoni Springsteen è protagonista soprattutto con la sua voce e spiazza i suoi tanti fan. Come riportato da Pink Cadillac, “ho scelto le canzoni che amo – ha detto Springsteen – ma ho dovuto lavorare molto duramente sul mio modo di cantare in questo disco”. Di fatto, Bruce non è mai stato considerato un cantante dall’ugola pura, con la sua voce ruvida e virile con molta potenza polmonare e una modulazione lenta.
Questo disco dimostra che anche come cantante Springsteen ci sa dannatamente fare. “Ho preso ispirazione da Levi Stubbs, David Ruffin, Jimmy Ruffin, the Iceman Jerry Butler, Diana Ross, Dobie Gray, Scott Walker, tra gli altri. E ho provato a rendere giustizia a tutti loro e a tutti gli spettacolari autori di questa musica gloriosa. Il mio obiettivo è permettere al pubblico moderno di fare esperienza della bellezza e gioia di queste canzoni, così come ho fatto io fin dalla prima volta che le ho sentite. Spero che amiate ascoltarle tanto quanto ho amato io realizzarle” – ha detto il Boss.
La prima parte del disco è sicuramente più forte. Il brano di apertura, scritto nel 1968 da Jerry Butler, con Leon Huff e Kenny Gamble, fu inciso perfino da Rod Stewart e Elvis Presley. Vanta un recitato iniziale e un doppio cambio di ritmo. Poi c’è il duetto con Sam Moore in “Soul Days”. Un inno autentico alle persone, ai legami duraturi, alla comunità e ai valori fondanti. Solo con certe qualità possiamo uscire da questo momento difficilissimo. Poi c’è la meravigliosa “Nightshift”, cover del celebre pezzo del 1984 dei Commodores. Nello stesso anno il Boss pubblicava “Born in the USA”. Springsteen abbassa leggermente il ritmo e scalda con la sua voce intensa. Il brano era dedicato a Marvin Gaye e Jackie Wilson che in quell’anno morirono entrambi. Sono loro i protagonisti della canzone.
È un album dove dimostra che ama cantare, ama far capire che non è bravo solo nel comporre musica e testi. Da consumato amante del cinema, il Boss è un camaleontico attore protagonista che si sa ritagliare più ruoli: lo scavatore di casse (Do I love you), il commemoratore anziano (Nightshift), il pentito del perdono (I forgot to be your lover, dove duetta nuovamente con Sam Moore), l’uomo che ridefinisce i canoni (The Sun Ain’t Gonna Shine Anymore di Frankie Valli). Poi si ricorda di essere un grande ammiratore di James Brown ed inizia a fantasticare sulle notti d’estate in cui suonava in riva al mare alle “girls in their summer clothes”.
Il momento di “rottura” arriva con “Don’t play that song”, rilettura del classico di Ben E. King e Aretha Franklin. Non è il miglior album di Springsteen, ma stavolta il cantautore americano dimostra tutta la sua bravura di cantante. Manca la E-Street Band, a livello musicale c’è meno cura del solito con gli arrangiamenti che, in fondo, sono piuttosto fedeli alle canzoni originali. Sicuramente rimarrà spiazzato chi si aspetta un disco rock muscolare. Lo stesso Springsteen ha detto chiaro e tondo che intendeva in questo disco puntare prevalentemente sulla voce. Da questo punto di vista il disco funziona. Nel 2023 il Boss tornerà in lungo tour mondiale, passando per l’Italia a primavera (a maggio Ferrara e a Roma, a luglio a Monza). Visto che il tour di “Letter to you” è saltato per la pandemia, sarà una grande occasione per ascoltare i brani di Western Stars, Letter to you e Only the strong survive. Beato chi potrà andarci. Purtroppo i biglietti per le date italiane sono già esauriti.
Ma veniamo ai pezzi.
Only the strong will survive: Successo di Jimmy Butler del 1968, già incisa anche da Rod Stewart, Paul Young e Elvis Presley.
Soul days: Cover del brano del 2001 di Dobie Gray. Insieme al Boss c’è Sam Moore che ha duettato con Springsteen nell’album Human Touch.
Nightshift: Dopo la morte di Jackie Wilson e Marvin Gaye nel 1984, i Commodores registrarono questa hit. La canzone più bella del disco.
Do I love you (indeed I do): Cover del brano di Frank Wilson. Primo estratto del disco, tutt’ora sulle radio nazionali.
The sun ain’t gonna shine anymore: Cover del brano del 1965 di Frankie Valli.
Turn back the hands of time: Cover del 1970 di Tyrone Davis
When she was my girl: Cover dei Four Tops del 1981
Hey, Western Union man: Ancora un brano di Butler, dopo Only the strong survive
I wish it would rain: Cover di un brano dei Temptations del 1967. Se pensate alla canzone di Phil Collins (con la chitarra solista di Eric Clapton) sappiate che manca la parola “down”: in parole povere non c’entra niente.
Don’t play that song: Canzone del 1962 di Ben E. King. Esiste però anche una cover popolare di Aretha Franklin. In Italia fu pubblicata anche da Ricky Gianco, Peppino di Capri, Rocky Roberts e Adriano Celentano. Dopo “Nighshift”, questa è la canzone migliore del disco.
Any other way: Cover del 1962 di William Bell.
I forgot to be your lover: Ancora William Bell, in un pezzo del 1968. Al fianco di Springsteen c’è ancora Sam Moore.
7 Rooms of gloom: Cover dei Four Tops del 1967.
What becomes of the brokenharted: Cover del classic di Jimmy Ruffin del 1966. Esiste anche una versione di Paul Young.
Someday we’ll be together: Springsteen aveva già pubblicato questo pezzo nel 2010 nell’album The promise. Il pezzo è una cover del 1961 di Johnny & Jackey. La canzone fu resa famosa da Diana Ross, otto anni dopo.
ONLY THE STRONG SURVIVE ***1/2
Ascolta il disco per intero qui
Bruce Springsteen presenta il disco a Virgin Radio
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.