Premessa
In questo 2022 ci sono due esempi di cinema italiano in controtendenza. “America latina” dei fratelli D’Innocenzo (recensione qui) e “Io sono l’abisso” di Donato Carrisi. Oltre alla presenza di Sara Ciocca in entrambe le pellicole, le due storie hanno in comune temi importanti: il maschio disfunzionale, il male, persone indifferenti, traumi, solitudine e tanta acqua. Sono film di un genere che in Italia non fa (quasi) più nessuno. Eppure un tempo i registi italiani erano indiscussi maestri. Donato Carrisi è uno dei più importanti scrittori italiani contemporanei, ma è anche firma del “Corriere della Sera”, sceneggiatore e regista cinematografico. L’esordio al cinema fu nel 2017 con “La ragazza nella nebbia” (Donato ricevette il David di Donatello come miglior opera prima dalle mani di Steven Spielberg) e poi “L’uomo del labirinto” nel 2019, entrambi finanziati da Colorado Film e Medusa. Ma qualcosa è andato storto. Il primo film sfiorò i 4 milioni di incasso, il secondo sfiorò i 2. Il finale del secondo film alludeva a un potenziale franchise: la trasposizione cinematografica de “Il suggeritore”. Già mi pregustavo qualcosa di importante.
Perché “L’uomo del labirinto” fa parte della quadrilogia di romanzi su Mila Vasquez. Ma il progetto è stato messo in stand by. “L’uomo del labirinto” non aveva incassato abbastanza. A peggiorar la situazione l’avvento del Covid 19. Vision Distribution e Palomar hanno creduto in Carrisi perché è uno dei pochi registi italiani che fanno thriller di qualità nel Belpaese. Orfei, amministratore delegato di Vision, ha ammesso che questo genere in Italia è difficile da fare. Nonostante il lungo ponte di Ognissanti, però gli italiani hanno preferito virare su altri film (in primis “La stranezza”). “Io sono l’abisso” è arrivato a racimolare appena 200.000 euro in cinque giorni.
Recensione
“Io sono l’abisso” non è un film perfetto, ma almeno Carrisi ha la sua idea di cinema che riesce coerentemente a trasmettere. Girato molto bene, con una splendida fotografia (la sequenza iniziale è notevole) e delle ottime performance attoriali. “Il male è un cerchio” e spesso è generato da altro male. È la conseguenza di abusi, traumi irrisolti e la duplicazione della malvagità che domina sul bene. Questa è fondamentalmente la tesi di fondo.
Carrisi si è laureato con una tesi su Luigi Chiatti, il mostro di Foligno. “Io sono l’abisso” nasce proprio dagli studi del personaggio. “Era affetto da un disturbo narcisistico della personalità, per cui era felice che qualcuno si fosse accorto di lui. Si vantava degli omicidi che aveva commesso ed era brutale nel suo racconto, che era molto dettagliato. Però non parlava della sua infanzia, che noi abbiamo appreso dai testimoni. Si trattava di un’infanzia tremenda, e in quel momento mi sono accorto che provavo compassione per il mostro, nonostante un serial killer sia il male assoluto. Volevo ottenere lo stesso risultato con un racconto, un romanzo e in un film. Voglio che il pubblico si commuova per il mostro. Se i serial killer fossero mostri, sarebbe facile catturarli. In realtà sono banali, seriali in tutte le loro cose, ecco perché riescono a diventare imprendibili per anni” – ha raccontato il regista scrittore. Tuttavia la genesi di “Io sono l’abisso” si è sviluppata alla nascita del suo secondo figlio Vittorio: come dice il regista/scrittore su Ciak “nel pieno di un dramma mondiale mi chiedevo che mondo aspettasse questo bambino”. La cosa si nota soprattutto nella parte finale. Una domanda che ci poniamo un po’ tutti
Può piacere o non piacere, ma è fra i più importanti registi in Italia attualmente. Porta avanti coerentemente un’idea di cinema. Carrisi si è ispirato ai grandi thriller anni Novanta: The game e Seven di David Fincher, Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, I soliti sospetti di Bryan Singer. Senza dimenticare Alfred Hitchcock: il regista italiano ammette di aver tratto spunto dal maestro inglese per creare il brivido, lo stupore senza fare realmente paura al pubblico. Anche se il serial killer protagonista della storia sembra un mix tra “Almost Blue” di Infascelli, “Manhunter” di Michael Mann e il vero mostro di Milwaukee. Carrisi ha imposto a tutti di non rivelare il cast e il ruolo che gli attori rivestono, seguendo un fattore sorpresa che usò Kevin Spacey nel film “Seven” di David Fincher. Il nome dell’attore premio Oscar, che interpretava il serial killer con il gusto per i peccati capitali, non compariva nei titoli di testa e creò stupore negli spettatori.
Qui però questo effetto non funziona. È l’ego di Carrisi che vorrebbe funzionasse, sfruttando il vuoto totale del cinema italiano odierno. Con tutto il rispetto, ma Montesi – Ciocca – Cescon non valgono Spacey. Invece di puntare su una saga (che sarebbe stata rischiosa a livello produttivo), è stato scelto “Io sono l’abisso”: uno dei suoi romanzi recenti di maggior livello. Ricordo che il romanzo è uscito nel 2020. Da lettore compulsivo dei suoi libri, prima è necessario ricapitolare la storia di Donato Carrisi scrittore. Le sue storie trattano quasi sempre di criminologia, di buio, degli abissi, della mente umana come scena del crimine. Il Carrisi scrittore esordisce nel 2009 con “Il suggeritore”. Doveva essere un film, ma poi il produttore Achille Manzotti disse a Carrisi che era meglio farne un romanzo. Aveva ragione. Al momento attuale ha venduto oltre 3 milioni di libri nel mondo e circa 1.7 milioni in Italia con 12 romanzi (tutti editi da Longanesi): la quadrilogia di Mila Vasquez (Il suggeritore, L’ipotesi del male, L’uomo del labirinto, Il gioco del suggeritore), la trilogia di Marcus (Il tribunale delle anime, Il cacciatore del buio, Il maestro delle ombre), la saga di Pietro Gerber (La casa senza ricordi e La casa delle voci, entrambi ambientati a Firenze e dintorni). E poi ci sono romanzi di gran livello come La ragazza nella nebbia, La donna dei fiori di carta e Io sono l’abisso. Proprio da quest’ultimo nasce questo film. Il prossimo 8 novembre tornerà nelle librerie con “La casa delle luci” (editore Longanesi), romanzo che chiuderà la trilogia su Pietro Gerber. Detto questo veniamo al film che darà filo da torcere anche a chi ha letto il romanzo.
Per Carrisi l’abisso è “quello che tutti quanti ci portiamo dentro e teniamo ben coperto. Ma non è detto che qui si trovino solo cose spiacevoli”. La maggior parte delle persone pensa (o vorrebbe dimostrare) di essere buona. Purtroppo però non tutti riescono a dimostrarlo sempre. Molti assassini non credono di essere tali e prima di diventarlo, sono stati persone normalissime, insospettabili. Lo spunto di questa pellicola nasce dal luogo: il lago di Como. Dimenticate “I promessi sposi” del Manzoni. D’accordo che è un luogo ambito dai turisti e dai vip americani (George Clooney su tutti), ma è anche uno dei posti più patiti dai residenti e fra i più “accoglienti” per i suicidi e per nascondere gli omicidi. In più sotto quelle acque apparentemente tranquille ci sono delle correnti violentissime. Molti non sanno che Nesso (una delle location del film, che è stato girato anche a Lecco, Mandello e Lierna) è la fossa più profonda del Mediterraneo. Anche se la descrizione ambientale rimane sullo sfondo. Il lago però è tutt’altro che silenzioso, passivo. Sono i cittadini che sono passivi, indifferenti, come se non ci fossero. Da questo punto di vista, chapeau a Carrisi. Un’analisi delle periferie italiane difficile da trovare in pellicole anche più importanti di questa. Il lago è una gigantesca idrovora, un luogo chiuso e circoscritto che inghiotte tutto, un po’ come lo era il fiume in “Mystic River” nel capolavoro di Eastwood. La differenza però è che quest’ultimo è più aperto, più esteso.
La storia è incredibile perché narra le vicende, interconnesse, di tre personaggi apparente diversissimi per età, estrazione sociale, eppure hanno sperimentato cos’è il male in forme diverse. Un’altra cosa importante è la mancanza di adesione a un periodo temporale: infatti coesistono nello stesso film uno smartphone, un telefono a gettoni e un cellulare dei primi anni 2000. Gli stessi protagonisti sono tre e le età riflettono chiaramente le tre epoche in cui sono cresciuti. Esistono vecchie ville a ridosso del lago, internet inteso come luogo virtuale in cui si esercita il bullismo e la spazzatura che è l’antitesi dei social network: ovvero dà l’immagine reale dell’individuo e non quella che si vuol far vedere (quella filtrata su Instagram, Facebook, Twitter,ecc..). Il regista fino all’ultimo non ha voluto rivelare i ruoli degli attori, affinché il pubblico rimanesse spiazzato e non avesse empatia. Tuttavia sappiamo che nel cast ci sono Michela Cescon (già vista ne “La ragazza della nebbia” nei panni dell’agente Mayer), Gabriel Montesi (visto anche in “Siccità” di Virzì), Sara Ciocca (vista in America latina” dei fratelli D’Innocenzo), Sergio Albelli, Lidia Liberman e Ettore Scarpa.
Sono d’accordo con Carrisi: se avete letto il suo romanzo “L’ipotesi del male”, il male può presentarsi in varie forme. Spesso anche in una persona confluiscono bene e male e non sempre è facile riconoscere tali virtù. Un esempio calzante è quando nel libro viene mostrata alla gente la foto di un bambino. Tutti si inteneriscono e non riescono a proiettare in lui l’immagine del male. Peccato, dice Carrisi, che quella foto ritragga Adolf Hitler da giovanissimo. Ma veniamo alla trama.
Il film segue fedelmente il romanzo con un bambino che finisce inghiottito dal male nelle acque di una piscina. Capiremo solo alla fine il perché, dopo una selva di colpi di scena. Poi ci addentriamo nei tre personaggi principali, che non hanno nome: sono L’uomo che pulisce (Montesi), la ragazza col ciuffo viola (Ciocca) e la cacciatrice di mosche (Cescon).
Il primo è un uomo volutamente invisibile: un netturbino che dalla spazzatura riesce a interpretare i segreti delle persone. “A differenza delle persone, la loro spazzatura non mente. Si poteva imparare tanto da ciò che la gente gettava via. E, in fondo, quello era anche il suo modo di relazionarsi con gli altri esseri umani. Non con tutti, però. Gli interessavano unicamente i suoi simili. Le persone sole.” Prende ordini da Micky, un padre (molto particolare) che gli parla da dietro una porta verde. “Ovunque andrai ti basterà dipingere un’altra porta di verde, e io verrò da te”.
La seconda è una ragazzina adolescente. L’unica figlia dei Rottinger, una famiglia ricchissima. Non le manca nulla, ma tiene dentro di sé un segreto molto importante che riguarda un fenomeno purtroppo molto attuale. La terza è una donna divorziata, distrutta, divorata dal passato e dai sensi di colpa. Dedica tutto il suo tempo ad arginare la violenza sulle donne. Anche lei ha un fardello sulle spalle che la spinge a comportarsi in quel modo. Molto brava e coraggiosa l’attrice Michela Cescon. Era stata già stata diretta da Carrisi ne “La ragazza della nebbia”. Ma poi un giorno accade un omicidio bizzarro. Una donna bionda, sola, di età tra i 55 e i 60, scompare misteriosamente. Poi il suo corpo viene ritrovato sulle rive del lago.
Contemporaneamente la ragazza col ciuffo viola, la figlia dei Rottinger, finisce nelle acque del lago mentre si sta facendo un selfie. L’uomo che pulisce le salva la vita, ma scardina i suoi principi, mettendo in pericolo la sua invisibilità. Carrisi si diverte a rimescolare i cardini del genere thriller: il serial killer compie un’azione buona! Il mostro è spinto da affetto verso un altro essere umano. Lo spettatore nella parte finale finirà per commuoversi verso il mostro!
Una cosa che si vede raramente nel cinema contemporaneo. Purtroppo per lui lascia un indizio: nella bocca della ragazzina col ciuffo viola c’è il pezzo di un’unghia smaltata di rosso appartenente alla donna bionda. La cacciatrice di mosche interpreta l’indizio e capisce che c’è un potenziale pericolo. Il passato torna a bussare alla porta. Tutti e tre si ritroveranno a confrontarsi con i propri abissi, con quella porta verde che custodisce un importante segreto. Non tutto è perfetto, ma va dato atto a Carrisi di avere un’idea di cinema e di portarla avanti con coerenza. La sceneggiatura ha qualche problema: ad esempio c’è una forzatura nella scena in cui la cacciatrice di mosche ha una colluttazione con l’uomo che pulisce. Non si capisce come fa a sfuggire dopo esser svenuta e ferita. Rispetto al libro poi c’è un altro particolare. Probabilmente, per rientrare nella durata di circa due ore, Carrisi comprime la descrizione della famiglia Rottinger. Nel libro è eccezionale la parte in cui descrive il trauma di questa famiglia borghese che nasce da un segreto tenuto nascosto dal capofamiglia. Purtroppo nel film di ciò non c’è traccia. I Rottinger sono solo sullo sfondo e appaiono in un paio di scene, ma sono praticamente impalpabili. Forse 10 minuti in più avrebbero giovato. Oggettivamente a livello di qualità “Io sono l’abisso” è difficile da trovare nel cinema italiano contemporaneo.
Dopo aver visto questo film, fate attenzione a quando andate a buttar via la spazzatura. Qualcuno potrebbe trovare qualche indizio dei vostri peccatucci.
Interpretazioni ***1/2 Sceneggiatura *** Regia ***1/2 Fotografia **** Film ***1/2
Fonti principali: “La lettura” del Corriere della Sera, Cinematografo.it., comingsoon, FilmTv,, Best movie, Cinematographe, Movieplayer
IO SONO L’ABISSO
(Italia 2022)
Genere: Thriller, Drammatico
Regia, Sceneggiatura: Donato Carrisi
Cast: Michela Cescon, Gabriel Montesi, Sara Ciocca, Lidiya Liberman, Sergio Albelli, Ettore Scarpa
Fotografia: Claudio Cofrancesco
Musiche: Vito Lo Re
Durata: 2h e 6 minuti
Distribuzione: Vision Distribution
Trailer italiano qui
Intervista a Donato Carrisi
Uscita italiana: 27 Ottobre
Tratto dall’omonimo romanzo di Donato Carrisi
Gli altri film di Carrisi: La ragazza nella nebbia e L’uomo del labirinto
La frase cult: La gente non pensa mai a ciò che getta via. Invece lui sa che proprio tra i rifiuti si nascondono i segreti delle persone
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.