Alex Garland ci ha abituato bene. Dapprima come sceneggiatore di 28 giorni dopo, Sunshine e Non lasciarmi. Poi nel 2015 la svolta alla regia, prima con l’ottimo “Ex Machina” (con Alicia Vikander e Domhnall Gleeson), poi con “Annientamento” (con Natalie Portman) nel 2018. Il regista londinese è passato alla “Quinzaine”, sezione del Festival di Cannes, dove ha presentato “Men”. Questo film vede la prima storica distribuzione nel Belpaese della società spagnola Vertice 360. Stavolta però tutto è allegorico, ma niente è velato. Già dal titolo si capisce l’obbiettivo, ma anche il problema del film: gli uomini. Secondo Garland, la crisi del genere maschile è in corso. Il passo successivo è l’annullamento. Per rimanere a galla e per la “sopravvivenza” della specie, molti uomini ricorrono alla violenza. Nella sostanza il concetto è questo. Non è un film per tutti. Bisogna avere materia cerebrale.
Secondo Garland, l’oppressione delle donne nella vita quotidiana è causata dalla manipolazione psicologica, dalla logica del branco, dalle molestie sessuali, ma anche dalla cultura del silenzio. Il rischio di cadere in uno stereotipo è molto molto grande: le donne sono tutte brave e intelligenti e vittime, gli uomini sono tutti privilegiati, stronzi, imbecilli e violenti. E anche patriarcali.
Ciò non è un bene per il film. Non è questo l’obbiettivo di Garland, ovviamente. Però il regista sceneggiatore insiste più volte nel ribadire il concetto e cade nello stereotipo nella sequela di parti (innaturali) dove ogni uomo ne genera altri come lui. Per venire incontro a Garland, mi tocca citare Stieg Larsson: diciamo che ci sono uomini che odiano le donne.
Episodi di violenze familiari ce ne sono stati parecchi in Italia soprattutto nel periodo del lockdown, facendo emergere una netta fragilità maschile. I femminicidi poi sono diventati prassi: ultimamente c’è la media di una morta ogni 3 giorni. Al 30 giugno 2022, a metà anno, si conta già più di 50 donne uccise. Nel 2021 sono state 109 in tutto l’anno, 101 nel 2020, 92 nel 2019. Numeri che mostrano una tendenza decisa in tutta Italia. Un vero e proprio fenomeno trasversale (leggi qui).
Veniamo alla trama.
Harper (Jessie Buckley) decide di passare qualche giorno di vacanza in campagna per trovare tranquillità. Guida 4 ore per allontanarsi dal dolore. Finisce per andare a staccare una mela nel giardino dell’Eden. Ma il serpente torna a sibilare e a strisciare. “Ogni paradiso ha il suo inferno”. Dal suo volto si percepisce che è successo qualcosa: il dolore di un matrimonio finito in tragedia. Il suo ex marito (Paapa Essiedu) si è suicidato dopo aver saputo che lei voleva divorziare. Finisce per affittare un cottage nella campagna inglese. Ad accoglierla però arriva un uomo, il custode, il cui volto cela in Harper uno strano effetto. I giorni passano, l’inquietudine resta nella testa della donna. Garland ci dimostra che il male peggiore è quello insito dentro di noi.
Passeggiando nei boschi che circondano la casa, vede un uomo completamente nudo che la osserva, un altro spunta al fondo di una galleria tra i boschi e sembra seguirla, un prete che si ferma a parlare con lei cerca di farla sentire in colpa per quanto accaduto a casa. La lista non finisce qui. Tutti i men del film sono personaggi disturbanti, problematici, violenti, bigotti e anche pervertiti. Tutti hanno la maschera di un unico attore, ad eccezione dell’ex marito di Harper: il volto è quello di Rory Kennear, già ottima spalla di Daniel Craig in 007 da “Quantum of Solace” in poi (era l’agente Tanner). Ma si insinua un antico dubbio: non sarà che la povera Harper abbia qualche problema?
L’interpretazione è chiaramente lasciata allo spettatore, ma non sempre è un bene. Dipende dall’intelligenza di chi guarda. E’ qui che casca l’asino. Ci sono anche chiese con simboli pagani, riferimenti alla mitologia greca (Ulisse, le sirene, Leda e il cigno), ma anche alle storie gotiche di Arthur Macher (Il grande Dio Pan). Secondo quest’ultimo, le brughiere inglesi pullulavano di demoni perversi.Il conc etto che Garland vuole darci è giusto, ma purtroppo si “mangia” il film. Questa mascolinità tossica si moltiplica, si riproduce in continuazione. Come se gli uomini fossero tutti in questo modo. Una tesi francamente eccessiva che mi ha lasciato interdetto. Soprattutto perché Garland è uno che cerca una costruzione filosofica in ogni sua pellicola. In fondo sembra che più che la protagonista sia lo spettatore l’allucinato.
“Men” sarebbe un buon film, ma purtroppo Garland strizza l’occhio a Charlie Kaufman. Qua e là vorrebbe (non riuscendoci) evocare il geniale “Anomalisa” e vanta la presenza dell’attrice Jessie Buckley. Ovvero la coprotagonista di “Sto pensando di finirla qui”, ultimo gioiello di Kaufman. Quello in cui Garland è maestro è sicuramente la costruzione dell’atmosfera. Forse solo Aster, Peele e Eggers oggi riescono a fare quello che fa lui. La sceneggiatura è abbozzata in alcuni tratti per poi rimarcare determinati concetti che ritornano a intervalli fin troppo regolari. C’è un forte dominio del verde dei boschi e del rosso carne e del sangue che rischia di cannibalizzare la tavolozza cromatica. L’immagine della locandina ricorda un po’ una scena importante de “La ragazza del treno”. In effetti i due film hanno più di un punto in comune.
Il regista inglese purtroppo tende a strafare perché mescola il body horror alla Cronenberg con elementi fantastici alla Del Toro (l’Uomo Verde), un po’ di döppelganger in stile “Noi” di Jordan Peele, un po’ di fantascienza, qualche elemento cervellotico stile Kaufman ed elementi chiaramente horror. Troppa roba. Manca l’amalgama che invece caratterizzava l’ottimo “Ex Machina”. Se prendiamo “Millennium – Uomini che odiano le donne”, David Fincher nel finale riusciva a farci capire con grande equilibrio, fedelmente col romanzo di partenza, perché Lisbeth Salander era così incline a fidarsi delle persone (in particolar modo degli uomini). Quando conosce Mikael Blomkvist a poco poco si scioglie, ma nel finale viene spiazzata.
Qui non c’è questo equilibrio e viene un dubbio. Sono d’accordo con Clarisse Loughrey di “The Independent” che scrive che Garland fa di tutto “per guadagnare le sue credenziali femministe mostrando uomini che fanno cose cattive”. Nell’atto finale purtroppo il film perde consistenza e genera qualche risata involontaria. Manca la misura.
Va segnalata però la bravura del regista nella direzione degli attori: Rory Kennear dimostra la sua duttilità in ben 6 ruoli, Jessie Buckley conferma quanto visto in “Sto pensando di finirla qui”. Il prossimo anno la vedremo nell’atteso “Women talking” a fianco di attrici carismatiche come Frances McDormand, Rooney Mara, Claire Foy. Nel complesso “Men” è un buon film, ma questa “ansia” del regista di raccontare la sua tesi tende a rompere l’equilibrio generale della pellicola. Il segreto dell’opera prima di Garland, “Ex Machina”, risiedeva proprio lì.
Regia ***1/2 Fotografia ***1/2 Interpretazioni ***1/2 Sceneggiatura **1/2 Film ***
Fonti principali: Cinematographe, Coming soon,, Bad Taste, Cinematografo, My Movies
MEN ***
(Regno Unito 2022)
Genere: Drammatico, Horror
Regia e Sceneggiatura: Alex Garland
Cast: Rory Kennear, Jessie Buckley, Paapa Essiedu, Gayle Rankin
Fotografia: Rob Hardy
Durata: 1h e 40 minuti
Distribuzione: Vertice 360
Trailer italiano qui
Uscita italiana: 25 Agosto 2022
La frase cult: Quindi ti chiedi perché l’hai spinto a farlo?
Immagine da i400calci.com
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.