La democrazia in Italia, a partire dalle percentuali sempre più risicate di chi si reca alle urne, ha più di qualche problema. Dopo il turno del 12 di giugno che ha abbinato i referendum e le elezioni comunali, il Dieci mani di questa settimana sarà dedicato alla riflessione sulle motivazioni dell’astensionismo tra i vari ceti sociali.
Leonardo Croatto
Un vecchio documento del centro studi della camera degli inizi del novecento, commissionato per valutare gli effetti di un allargamento della base elettorale in direzione di un pieno universalismo, spiegava con grandissima lucidità che il voto, in una democrazia, è solamente uno dei dispositivi necessari perché la questa funzioni correttamente. Secondo gli estensori di quel documento, una democrazia è tale se tutti gli elettori hanno pieno accesso agli strumenti di comprensione delle dinamiche politiche e li possono esercitare quotidianamente, verificando il lavoro svolto dai propri delegati, conoscendo le dinamiche interne agli organi istituzionali, partecipando attivamente alla vita delle organizzazioni politiche.
La trasformazione dei partiti di massa in comitati elettorali al servizio del notabilato e la fortissima personalizzazione della politica, in cui agli elettori è proposta la scelta non tra idee ma tra persone, hanno ovviamente prodotto una rapida perdita di interesse nella contesa elettorale.
A cosa serve buttar via una domenica di primavera per partecipare ad una specie di reality show in cui si vota non un progetto di società, ma il personaggio di una fiction costruita da abili sceneggiatori? Che utilità ha il mio voto se tra me ed il soggetto che ho eletto non esiste nessuna relazione, nessun obbligo di rendicontazione?
La democrazia esiste quando ogni singolo cittadino partecipa da protagonista alla vita politica del proprio paese, attraverso una ampia disponibilità di dispositivi organizzativi. In problema delle democrazie occidentali non è l’astensionismo, ma la chiusura dei luoghi di partecipazione, che ha generato uno scollamento tra elettori ed eletti.
Ovviamente, nessuno si immagina che questo sia accaduto per caso o per errore. La compressione degli spazi di attivazione e controllo dei cittadini è servita a trasformare una democrazia, per quanto imperfetta, in una oligarchia perfettamente funzionante.
Piergiorgio Desantis
Non basta la fine dei partiti storici a motivare il tracollo della partecipazione degli italiani alle urne. È un malessere che ci si porta dietro fin dagli anni ’90 ma che sta assumendo proporzioni davvero pari solo a quelle statunitensi. È proprio quel tipo di riferimento di sistema politico che, almeno per il momento, possiamo prendere come riferimento per spiegare un fenomeno ormai di massa. Oltre ai referendum sulla giustizia svolti il 12 giugno scorso, sui quali appena il 21% degli italiani si è reso disponibile ad esprimersi, anche le elezioni comunali italiane hanno reso evidente il rifiuto del sistema politico esistente attraverso la valvola dell’astensionismo. Appena il 54 % degli italiani si è espresso votando alle comunali, considerando anche a Genova ieri ha votato un elettore su due, mentre a Palermo l’affluenza si è fermata poco oltre il 40 per cento. Interessante notare la composizione di classe di chi si reca ormai al voto. In un’intervista Carlo Buttaroni, sondaggista, presidente di Tecnè pubblicata sul quotidiano Italia Oggi il 17 giugno dice che: “non hanno votato i poveracci”, spiegando che 8 su 10 di coloro che hanno redditi bassi sono rimasti a casa. In particolare il sondaggista afferma che “A Palermo ha votato il 22% dei redditi bassi, il 49% dei redditi medi e il 55% di quelli alti. A Genova il 27% dei redditi bassi”. Insomma sembra affacciarsi, ancora una volta, una gigantesca questione sociale che, purtroppo, resta al di sotto di una fitta coltra di temi politici che solo parzialmente la lambiscono. Infatti, per esempio, per i salari italiani rimasti al palo per oltre 30 anni e sempre più aggrediti da un’inflazione galoppante non viene prevista alcuna soluzione neanche quando l’Unione europea prova a dire qualcosa sul piano del salario minimo. Il riassorbimento della pandemia sembra chiudere la possibilità di ridiscutere i piani sanitari incentrati al ritorno di un sistema sanitario pubblico e universale. Sono solo un paio di temi intorno a cui ricostruire gli spazi di democrazia sempre più ostaggio di sistemi maggioritari e di superate ideologie neoliberali che, come abbiamo visto e vediamo quotidianamente, proprio sull’astensionismo fondano la loro forza.
Francesca Giambi
Il problema più rilevante è cosa significa oggi democrazia. Il demos dov’è?
Le “cosiddette” democrazie occidentali sono dei notissimi contenitori manovrati dal capitale e da gruppi finanziari ed economici. Non c’è più lotta di classe, perché oggi siamo tutti schiavi, asserviti a multinazionali o a imprenditori che non hanno nemmeno lontanamente interesse per il popolo, ma solo per i loro guadagni.
Anche lo strumento del referendum, abusato per problemi che poco hanno a che fare con la vita di tutti, come quello sulla giustizia, indetto non da una raccolta di 500000 firma ma da 5 consiglieri regionali, ne è la dimostrazione. Non è in questa maniera che di interviene sui problemi della giustizia…
La cannabis, il fine vita che avevano raccolto tutte le firme necessarie non sono passati e non si è votato! Come fa un cittadino a non rimanere sconcertato da una politica dei partiti molto misera e vuota di contenuti. Come fa un cittadino a fidarsi di un partito o di un altro quando in fondo sono tutti dettati da interessi personali e privati? Penso al referendum sull’acqua, passato e votato, anche se ad oggi l’acqua è ancora privatizzata (forse pure in modo maggiore rispetto a prima…)!
I partiti tradizionali non ci sono più ed è solo una rincorsa a vedere le intenzioni di voto per procedere a lanciare nuovi slogan. La disaffezione dei cittadini non solo verso il referendum, unica forma di democrazia diretta, ma anche verso le elezioni è frutto di una consapevolezza che i governi e la vita delle persone sono nettamente divisi.
Certo anche i giornali e le televisioni hanno le loro responsabilità nel fomentare rabbia e disillusione. Appare tutto uguale, e soprattutto non c’è mai né sulla carta stampata né nelle varie televisioni spazio per far sentire la voce di ciò che in Italia resta della sinistra. Tacciata come radicale e basata su ideali non di oggi viene fatta tacere proprio perché diventa invisibile… Penso a quanto spazio invece è stato dato alle sardine… una delle più ingombranti bufale degli ultimi anni…
Ma il danno maggiore sia per il nostro paese che per tutto l’occidente è quello del personalismo… non si votano più le idee ed i partiti ma si è legati, per motivi diversi, a leader spesso terrificanti. È la guerra dei social… I giovani che hanno più problemi di tutti devono combattere contro una precarizzazione terrificante, non hanno prospettive di vita e sono obbligati a partite iva penalizzanti, perché così si illudono di avere un peso nella società. E il lavoro? In Italia negli anni settanta e ottanta esisteva il più grande partito comunista e il più forte movimento operaio di tutto l’occidente. E oggi?
Indubbiamente lo smantellamento è dovuto a due cause sostanzialmente. La prima è l’offensiva neoliberista, la seconda l’azione di una destra fascistoide, legalizzata e coccolata come detentrice dei privilegi, dell’individualismo e cieca, o responsabile dell’abbattimento dei diritti.
Berlusconi, anticomunista, è stato l’emblema rassicurante per una borghesia privilegiata e affarista.
Aggrava la distanza dal voto anche una legge elettorale assurda. Assolutamente si deve votare una legge proporzionale, con uno sbarramento, che possa dare voce a tante figure che ci sono in Italia e negli altri paesi. Vedo i cosiddetti politici blaterare sul cambiamento climatico e poi proporre il ritorno al carbone o il nucleare. L’economia non può essere separata dall’ecologia. Ma come possono, ripeto, fidarsi e sperare che il voto possa cambiare lo stato delle cose? Cosa si fa per una evasione fiscale a livelli inaccettabili? Cosa si fa per i salari? Cosa si fa per la dignità dei lavoratori? Certo non basta abolire dal vocabolario personale la parola sfruttamento e al massimo riservarla per i disgraziati emigranti che pero sono tutti giovani, ben nutriti e con lo smartphone…
Tra qualche mese dovremo andare a votare… ma senza una legge elettorale, purtroppo la gente si sentirà ancora più distante. Non ci sono idee che rispondono ai bisogni del popolo. Non ci sono idee che ostacolino le degenerazione del capitalismo, non ci sono idee eticamente rispondenti al benessere delle comunità… Forse non esistono più le comunità…
Alessandro Zabban
Lo stato comatoso in cui versano le democrazie occidentali è sempre più difficile da nascondere. L’erosione dei diritti sociali, la spettacolarizzazione e strumentalizzazione di quelli sociali e politici, sono il risultato delle vicende della lotta di classe, che dagli anni ottanta, con la controffensiva neoliberista, ha cambiato gli equilibri di potere fra capitale e lavoro a vantaggio del primo.
Il risultato ha avuto ed ha tuttora dei riflessi importanti anche sullo stato delle democrazie, ridotte oramai a vuoti contenitori formali. L’elemento portante, il demos, si è perso e le sue istanze non sono più rappresentate. La democrazia si è infatti ridotta a una lotta fra forze liberiste apparentemente contrapposte ma del tutto similari: dei comitati d’affari del capitale che si candidano a gestire lo stato come un manager gestirebbe la sua impresa. Di fronte alla politica come gestione dell’esistente e non più come arte del fare, persino una liberale come Hannah Arendt inorridirebbe. Fatto sta che al centro della lotta politica non c’è più un confronto fra idee alternative di società e modelli di sviluppo ma una sfida fra leader: conta chi si dimostra più carismatico o affidabile o chi gode di maggiore fiducia.
Si tratta dunque di una dittatura capitalista non nella forma ma nella sostanza, dato che le poche forze politiche realmente portatrici di visioni del mondo alternative sono del tutto insignificanti non avendo sufficienti risorse economiche e attenzioni mediatiche.
La conseguenza di questa situazione è la sensazione diffusa nel popolo che i politici e i partiti “siano tutti uguali” e che la politica serva solo ad un élite per arricchirsi. Si va dunque meno alle urne e se si va non si è convinti di chi votare, o si vota quello che si ritiene “il meno peggio”.
Mentre veniamo bombardati 24 ore su 24 sui valori democratici e su quanto gli occidentali siano più bravi, belli e simpatici degli altri popoli, stiamo completamente svuotando la democrazia dei suoi reali valori. Invece di continuare a convincere un mondo che cambia della nostra presunta superiorità morale dovremmo cominciare a lavorare per ricostruire una società degna di essere vissuta e dei valori democratici che non siano solo un mero simulacro capitalista ma dei reali punti fermi per una società più giusta e prospera per tutti.
Immagine da flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.