Anticomunismo e autoritarismo a Londra e nell’Est
L’adozione di una nuova Costituzione polacca che limitava i poteri del Presidente causò l’indebolimento della posizione di Piłsudski, che in breve tempo lasciò anche la carica di Capo di Stato Maggiore. Tuttavia la crescente instabilità politica in Polonia e l’arrivo dell’iperinflazione prepararono il terreno per il suo ritorno al potere tramite un colpo di Stato militare a maggio 1926. Sostenuto ancora anche da parte della sinistra, Piłsudski proclamò la necessità di lottare contro la «parlamentocrazia» e di svolgere un «risanamento» (sanacja) della vita nazionale: con questo termine divenne noto il periodo del suo regime.
A muovere Piłsudski erano state nuovamente considerazioni di politica estera: già dal 1922 il Trattato di Rapallo aveva segnalato l’emergere di un forzato connubio tra i due grandi esclusi da Versailles, la Germania e l’Unione Sovietica. A questo asse, già di per sé pericoloso per le ambizioni della Polonia, si era aggiunto nel 1925 il Trattato di Locarno, che, con l’obiettivo di normalizzare le relazioni franco-tedesche, confermava i confini occidentali della Germania stabiliti a Versailles ma lasciava quelli orientali passibili di revisione.
Al tempo stesso, l’ombra della Gran Bretagna tornava ad affacciarsi in Europa orientale.
Le relazioni tra Gran Bretagna e Unione Sovietica, stabilite formalmente nel 1924 dal primo governo laburista, nello stesso anno erano già state incrinate a causa della falsa «lettera di Zinov’ev». In vista delle elezioni generali seguite alla caduta dell’esecutivo, la stampa di destra aveva infatti pubblicato una falsa missiva – probabilmente creata da emigrati russi e passata ai giornali dal servizio segreto britannico – indirizzata da Zinov’ev, segretario generale del Comintern, al Partito Comunista di Gran Bretagna; in essa si ordinavano atti insurrezionali sostenendo che il riconoscimento diplomatico dell’URSS avesse creato un propizio terreno rivoluzionario nella classe operaia britannica. Dalle urne emerse un nuovo governo conservatore che intese risolvere i problemi economici postbellici scaricandone i costi sulla classe operaia; in particolare, nel marzo 1926 una commissione governativa propose di aumentare l’orario di lavoro dei minatori riducendone nel contempo il salario. Il 1° maggio i sindacati proclamarono uno sciopero generale – l’unico nella storia britannica – che si esaurì dopo una settimana aprendo la strada alla reazione padronale; la destra accusò i sovietici di aver finanziato l’agitazione – un finanziamento di oltre due milioni di rubli era stato effettivamente offerto, ma rifiutato dal sindacato.
A settembre il governo democristiano della Lituania concluse con l’URSS un trattato di non-aggressione che, tra le altre cose, riconosceva i diritti lituani su Vilnius. A dicembre, con il dichiarato e non credibile intento di impedire una rivoluzione comunista, l’esercito lituano depose il governo instaurando un regime nazionalista di destra. Il golpe acquietò i timori britannici – e in generale dei Paesi capitalisti – riguardo l’agibilità internazionale dell’URSS e di fatto tacitò per il momento anche la questione di Vilnius.
Il colpo di Stato a Varsavia e quello a Kaunas furono letti dall’URSS come opera dell’influenza anticomunista britannica, e in connessione con il massacro di Shanghai di aprile 1927, con cui il Kuomintang – presumibilmente garantito da Londra – rompeva, uccidendone a migliaia, l’alleanza coi comunisti cinesi su cui Mosca aveva per tanti anni investito. A maggio il governo britannico condusse una perquisizione della rappresentanza commerciale sovietica a Londra, violando l’immunità diplomatica garantita dagli accordi bilaterali, e affermando senza prove che essa fosse un centro spionistico. Downing Street ruppe le relazioni diplomatiche con l’URSS; la sensazione di accerchiamento e di pericolo di guerra fu acutizzata a giugno dall’uccisione del plenipotenziario sovietico a Varsavia Pëtr Vojkov per mano di un emigrato bianco.
Questi sviluppi internazionali, così come l’emarginazione dei comunisti da parte di altre forze antifasciste (ad esempio in Italia e in Austria), indussero il Comintern a varare la dottrina del socialfascismo al VI congresso nel 1928; nello stesso anno si tennero le ultime elezioni libere in Polonia, il cui risultato frammentato non consentì ad alcuna delle forze maggiori – la Sanacja e l’opposizione di centro-sinistra (socialisti, contadini, cattolici) – di costituire un governo stabile. Questo intoppo dette il via a una radicalizzazione del regime; due mesi prima delle successive elezioni del 1930 il Ministro dell’Interno, senza alcuna convalida giudiziaria, eseguì l’arresto di venti capi dell’opposizione, che furono rinchiusi nella fortezza di Brest. Il respingimento delle liste elettorali di opposizione in diverse circoscrizioni e i brogli nello scrutinio consentirono alla Sanacja di ottenere la maggioranza in quella che divenne nota come «l’elezione di Brest».
Indebolito da un ictus, e probabilmente già dal cancro che lo avrebbe ucciso, Piłsudski, le cui condizioni di salute non erano note al pubblico, cedette sempre più potere ai capi delle forze armate; questi, allarmati dai tentativi di riavvicinamento franco-tedesco, condussero una politica estera inizialmente difensiva con l’obiettivo di tutelarsi da guerre contro nemici pericolosi: un patto di non-aggressione fu concluso nel 1932 con l’URSS e un altro nel 1934 con la Germania, il cui neo-Cancelliere Adolf Hitler aveva un analogo interesse a guadagnare tempo diplomatico in vista di un riarmo che avrebbe violato i trattati sottoscritti dai suoi predecessori.
L’era di multilateralismo che sembrava annunciata dal Patto Briand-Kellogg del 1928, e confermata dal ristabilimento delle relazioni britannico-sovietiche dopo il ritorno dei laburisti a Downing Street nel 1929, fu spazzata via dalle conseguenze sociali della Grande Depressione: non soltanto l’instaurazione del regime nazista in Germania, ma anche la caduta del governo laburista nel 1931 e la sua sostituzione con un governo “nazionale” di conservatori, liberali e laburisti di destra.
1933-1938: la radicalizzazione nazionalista in Germania e Polonia
Dopo l’ascesa al potere di Hitler in Germania i rapporti russo-britannici sembrarono però ulteriormente divaricarsi. In URSS la linea isolazionista divenne insostenibile, ma neppure era possibile riaprire l’iniziale progetto di intesa franco-tedesco-sovietica contro l’imperialismo britannico; guadagnò quindi influenza la posizione del Commissario agli Esteri Litvinov di un’intesa anglo-sovietica per la pace. Anche grazie alla ritrovata unità antifascista fra socialdemocratici e comunisti, provocata sul campo dalle brutali prospettive dei regimi di Hitler in Germania e Dollfuss in Austria e dal tentato colpo di Stato fascista in Francia, il Comintern varò nel 1935 la politica dei fronti popolari; proprio, però, mentre il governo di Downing Street si orientava verso accordi e concessioni alla Germania nella speranza di evitare una guerra e di risolvere per via diplomatica quelle che erano ancora ritenute legittime rivendicazioni tedesche di rivedere gli iniqui termini di Versailles.
Nello stesso 1935 in Polonia morì Piłsudski; i militari che gli succedettero alla guida dello Stato mantennero la visione imperialistica di una Grande Polonia che era stata propria del Maresciallo, abbandonando, però, il principio multietnico. I primi a farne le spese furono le minoranze bielorussa e ucraina. Gli effetti più visibili si ebbero in Volinia, dove fu interrotto il progetto autonomistico di creare un’identità ucraina leale alla causa polacca e gli ucraini nell’amministrazione e nell’esercito furono sostituiti da polacchi etnici. L’uniformazione forzosa, dettata anche dalla volontà di evitare quinte colonne interne in caso di guerra contro l’URSS, si estese altresì ai campi religioso e scolastico. Questa radicalizzazione nazionalista del regime polacco non fece che esacerbare l’opposizione da destra da parte dei nazionalisti ucraini.
Nella seconda metà degli anni Trenta le crisi internazionali si moltiplicarono. A febbraio 1936 il fronte popolare ottenne il suo primo grande successo elettorale in Spagna; a marzo il regime nazista rimilitarizzò la Renania, denunciando il Trattato di Locarno; la proposta sovietica di imporre sanzioni alla Germania fu bloccata alla Società delle Nazioni dal Regno Unito. A maggio il fronte popolare vinse le elezioni anche in Francia; a luglio militari fascisti spagnoli tentarono di rovesciare il governo di Madrid ma fallirono, dando inizio a una lunga e sanguinosa guerra civile. La guerra di Spagna fu la vera cartina di tornasole dello schieramento diplomatico europeo: Regno Unito, Francia, Germania, Italia e URSS si accordarono sul patto di non-intervento, che presto venne clamorosamente violato dai regimi fascisti in un ipocrita e completo silenzio di Londra. Nelle parole di Litvinov, per timore di un’Europa dei blocchi – come quella che aveva condotto alla deflagrazione del 1914 – la diplomazia britannica stava consentendo la formazione di un blocco fascista.
L’apice di questa condotta fu il Patto di Monaco del settembre 1938. Londra e Parigi dapprima accettarono l’annessione dei Sudeti alla Germania, poi si astennero dal partecipare alla commissione arbitrale che avrebbe dovuto vagliare le rivendicazioni ungheresi e che quindi restò composta dalle sole Italia e Germania. L’arbitrato di Vienna che ne scaturì assegnò all’Ungheria la Slovacchia meridionale e la Transcarpazia; la Polonia, che pure contestava i confini cecoslovacchi, aveva provveduto per proprio conto ad annettere con la forza Těšín e la Trans-Olza.
La partecipazione di Polonia e Ungheria allo smembramento della Cecoslovacchia non era in contraddizione con la campagna propagandistica che il regime nazista stava lanciando riguardo i diritti, in quei due Paesi, delle minoranze etniche tedesche. Quanto all’Ungheria, essa come la Germania era infatti interessata alla revisione dei confini di Versailles e ambiva a recuperare la Transilvania, la Slavonia, la Voivodina, eccetera; inoltre, il regime reazionario dell’ammiraglio Horthy subiva sempre più la pressione delle Croci Frecciate – il partito nazista locale – e, ad esempio, aveva già varato leggi razziali contro gli ebrei.
Ma anche in Polonia il più moderato Presidente Mościcki era stato sempre più emarginato dai militari nazionalisti; in particolare il Ministro degli Esteri colonnello Beck e, soprattutto, il comandante delle Forze Armate, generale Rydz-Śmigły, che aveva ricevuto ufficialmente l’eloquente titolo di “Secondo Uomo dello Stato”. Come partito politico a sostegno di quest’ala radicale era stato fondato nel 1937 il Campo di Unificazione Nazionale (Obóz Zjednoczenia Narodowego); il simbolo, costituito da una N e una Z sovrapposte e iscritte in una O, richiamava palesemente la bandiera nazista, mentre il programma politico chiedeva una riduzione della popolazione ebraica, considerata un elemento estraneo alla nazione polacca.
Al tempo dello smembramento, la Cecoslovacchia era legata da patti bilaterali di mutua assistenza con la Francia e con l’Unione Sovietica; se il primo fu platealmente tradito dal governo conservatore di Daladier, l’URSS manifestò invece l’intenzione di difendere la Cecoslovacchia con le armi come già accadeva con la Repubblica Spagnola; fu lo stesso governo cecoslovacco, una volta compreso di non avere l’appoggio degli occidentali, a rifiutare l’aiuto militare sovietico. Germania, Polonia e Ungheria –alle cui spalle stava il Regno Unito, vero padre dello spirito di Monaco – avevano un comune interesse antisovietico e comuni, seppur non coincidenti, atteggiamenti revanscisti.
Nel caso della Polonia, questa micidiale combinazione si era già manifesta a marzo: nei giorni in cui la Germania annetteva l’Austria, il governo di Varsavia aveva consegnato alla Lituania un ultimatum per il ristabilimento di regolari relazioni diplomatiche, il che avrebbe significato imporre al Paese baltico la rinuncia alla rivendicazione di Vilnius. L’URSS, che sosteneva la lituanità di Vilnius, informò la Polonia che il patto di non-aggressione fra Mosca e Varsavia era a rischio; al tempo stesso, preoccupata dall’espansionismo giapponese e non volendo combattere una guerra su due fronti, chiese agli occidentali di moderare la Polonia. Interessato a usare a propria volta la Polonia come pedina nel gioco di specchi con Hitler, il Regno Unito rifiutò di intervenire in favore della Lituania; inoltre, anche la Germania richiedeva ai lituani la restituzione di Memel.
Tanto nel Baltico quanto in Europa centrale, quindi, si era formato un vasto e composito schieramento anglo-tedesco-polacco, unificato dalla comune volontà di sacrificare le piccole nazioni pur di mantenere un argine antisovietico.
Immagine da picryl.com
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.