L’avvicinarsi della data del 25 aprile segna, come quasi ogni anno, lo scoppio di polemiche intorno a una così importante festa per l’Italia. Quest’anno, contrassegnato dalla guerra in Ucraina, è stato lanciato fin da subito il paragone tra quest’ultima e il periodo della Resistenza in Italia. Oltre a ciò, c’è stata la proposta di portare nei cortei del 25 aprile le bandiere non solo dell’Ucraina anche quelle della Nato. L’ANPI, tramite il suo Presidente, ha espresso una posizione contraria alla presenza delle bandiere dell’alleanza atlantica, attirando le ire di quasi tutto il mondo della politica e anche quello dei mass media. Sono molti i temi del Dieci mani di questa settimana, ma proveremo a sviscerarli da più posizioni.
Leonardo Croatto
Che le destre siano sempre in deficit di riferimenti culturali e simbolici presentabili in contesti civili è cosa nota. E’ una pratica oramai conosciuta quella di tentare di appropriarsi di personaggi, temi, idee, simboli, degli altri per piegarli alla propria narrazione.
Non stupisce quindi il tentativo delle forze reazionarie organizzate di questo paese – tanto i partiti di governo quanto la stampa borghese – di appropriarsi del mito della Resistenza e piegarlo ad uso della propaganda bellicistica, che, a sua volta, ha il suo corollario interno nella promozione dell’economia di guerra.
Ho forti dubbi che scontrarsi, in ottica puramente difensiva, sui giornali – quindi sul campo da gioco dell’avversario – abbia una reale utilità. E’ una posizione intrinsecamente debole, di rimessa.
Le idee, specialmente le idee rivoluzionarie, possono vivere solo se hanno una loro assoluta autonomia d’iniziativa. La promozione, in questo momento storico in particolare, della pace nella sua forma più radicale, come elemento parziale di una complessiva ristrutturazione positiva delle relazioni umane (che parte dalla critica al capitalismo, di cui l’imperialismo è un aspetto) non può semplicemente limitarsi alla risposta alle critiche.
Piergiorgio Desantis
Ancora una volta il 25 aprile si contraddistingue per essere una data divisiva. Con estrema facilità, anche quest’anno, scoppiano polemiche su più aspetti di politica quotidiana. È prassi, ormai consolidata, l’utilizzo della Resistenza e del Fascismo per etichettare e disprezzare personaggi e situazioni storiche del presente. Non è necessario certo essere uno storico di professione per smascherare intendimenti prevalentemente propagandistici dietro operazioni politiche di bassa levatura. Il paragone tra la guerra in Ucraina e la guerra di Resistenza in Italia ha fatto sorgere molti dubbi e non solamente agli storici. Purtroppo, quest’anno c’è anche l’aggiunta della possibile presenza di bandiere della Nato al corteo per il 25 aprile, proposta poi rilanciata dai Radicali e da +Europa. La posizione dell’ANPI, che le ha definite quantomeno inopportune, è non solo buon senso ma anche una chiara posizione politica anche perché accompagnata dalla contrarietà all’invio delle armi in Ucraina e all’aumento delle spese militari proprio per l’adesione alla stessa Nato. A distanza di quasi ottanta anni, il 25 aprile resta fondamentale, forse ancor più oggi che in passato, non solo come appuntamento celebrativo ma anche come momento per chiedere il cessare il fuoco in Ucraina, un tavolo di trattative tra le parti in causa e fermare questo riarmo che può portare solo ad un’ulteriore escalation militare foriera di ben più estesi e tremendi conflitti mondiali.
Jacopo Vannucchi
La proposta del Direttore del Museo della Brigata ebraica di Milano di portare in piazza il 25 aprile non solo le bandiere dell’Ucraina ma anche quelle della NATO suscita qualche perplessità. Non tanto per il contenuto in sé – ormai, con la sparizione dei partiti, si trova sempre qualcuno che la dice grossa – quanto perché essa proviene da un professionista della memoria, che quindi dovrebbe aver contezza della delicatezza di certi accostamenti storici.
Già la sola proposta della bandiera ucraina, infatti, è molto scivolosa. A chi porta la sua solidarietà la Brigata ebraica? Se la bandiera ucraina vuol simboleggiare la peculiare identità culturale del popolo ucraino contro progetti grande-russi, è una solidarietà che non genera grandi contraddizioni. Se invece essa vuol simboleggiare tutto l’attuale apparato statale e militare ucraino, allora la Brigata ebraica rischia di schierarsi a sostegno anche di formazioni neonaziste e di atteggiamenti antisemiti.
Se la risposta è che neonazismo e antisemitismo esistono anche nella Federazione Russa e si ritrovano anche fra i sostenitori dell’intervento russo in Ucraina, è una risposta spia di un grave equivoco di fondo. Respingere il neonazismo e l’antisemitismo in Ucraina, e più in generale denunciare la mancata applicazione in Ucraina degli Accordi di Minsk, non implica automaticamente schierarsi a favore del militarismo grande-russo, essere – come dicono? – “putiniano”, “filo-russo”, “Putin-versteher”, “né-néista”.E la proposta di portare la bandiera della NATO è il frutto più maturo di tale grave equivoco. Anzitutto, visto il grande peso nella Resistenza italiana di comunisti, socialisti e azionisti di sinistra (movimenti cioè che furono contrari all’ingresso nel Patto atlantico nel 1949), si sarebbe dovuto capire che tale proposta era di per sé divisiva. Poi si sorvola sulle circostanze che condussero alla costituzione del Patto: la violazione da parte USA-UK degli Accordi di Potsdam, ossia la denuncia del confine orientale della Germania sulla linea Oder-Neisse, con annessa la proclamazione unilaterale della Repubblica Federale di Germania ad ovest. (Lo so, la storia è noiosa, ma purtroppo ogni tanto va studiata perché identità nazionali e guerre sono materie da maneggiare con cura.)Ma soprattutto, soprattutto, più di ogni altra cosa va nettamente respinta la nozione che il rifiuto di schiacciarsi sulla posizione statunitense-britannica riguardo l’Ucraina significhi o aderire alla posizione russa o rifiutare di scegliere. Esiste una quarta opzione: scegliere l’Unione Europea, scegliere una mediazione che garantisca sia l’Ucraina sia la Russia, che disinneschi la guerra in Europa e che conduca ad uno sviluppo pacifico e ordinato di tutto il continente europeo.
Certo è una posizione difficile da trovare, quando la Presidente della Commissione UE dice che l’Ucraina può completare il processo di adesione alla UE nel giro di settimane (si può ridere per non piangere?) e l’Alto Rappresentante per la politica estera soffia sul fuoco dicendo un giorno che l’Ucraina vincerà sul campo e il giorno dopo che la Russia deve fermarsi senza condizioni. Ma è una posizione degna di essere difesa fino in fondo, perché è giusta. En passant, i due personaggi testé citati appartengono una al PPE, l’altro al PSE. Due partiti che hanno clamorosamente fallito.
Alessandro Zabban
La Resistenza non ha nulla a che vedere con l’aggressione subita dall’Ucraina. Se c’è una resistenza al nazifascismo questa eventualmente andrebbe rintracciata nell’autodifesa delle milizie del Donbass rispetto alla brutale campagna oppressiva condotta da otto anni da Kiev. Sappiamo che le bande neonaziste dopo il colpo di stato del 2014, pienamente riconosciute e inserite fra i ranghi dell’esercito regolare, hanno sparso il terrore nelle aree russofone. Kiev ha inoltre intrapreso sin da allora una inaccettabile politica antidemocratica di oppressione della minoranza russa e dei comunisti ucraini e continua a venerare come eroe nazionale il criminale nazista Bandera. Difficile quindi trovare qualcosa di paragonabile alla nostra Resistenza, combattuta con tutt’altro spirito e con tutt’altri ideali.
Ciò non giustifica in nessun modo l’escalation di Putin, intrapresa nell’ambito di un più ampio scontro fra blocchi e non certo per motivi nobili come potrebbe essere quello dell’autonomia del Donbass. Sul terreno martoriato dell’Ucraina e sulla pelle dei civili, ci si gioca una partita fondamentale per l’egemonia. E a scontrarsi sono Russia e NATO. Per questo motivo anche la presenza di bandiere della NATO durante le celebrazioni del 25 aprile rappresenterebbe un abominio inaccettabile. Con il benestare dell’alleanza atlantica si sono condotte le più atroci guerre e giustificata qualsiasi forma di ingerenza e provocazione.
Un 25 aprile di pace significa dire no allo scontro armato fra blocchi contrapposti che molti vedono come inevitabile (in troppi persino lo auspicano!), significa accettare un mondo multipolare basato sul rispetto reciproco e sull’equilibrio del potere, in modo che non ci sia più una parte del mondo che possa pensare di poter dettare legge su tutto il resto dell’umanità.
Immagine da pixnio.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.