È veramente incredibile vedere come si utilizzi il cinema italiano dei tempi d’oro come fonte d’ispirazione. Il caso più emblematico fu quello di “Giù al nord” (2008). L’attore e regista francese Dany Boon si ispirò a “Totò, Peppino e la malafemmina”. Il film ebbe un successo clamoroso. Nel 2010 in Italia uscì il remake “Benvenuti al sud” di Luca Miniero con Bisio e Siani. Risultato ancora più incredibile: undicesimo incasso italiano di tutti i tempi con poco meno di 30 milioni di euro.
Adesso non solo i coreani, gli americani, i francesi, ma anche gli spagnoli. Che, per inciso, sono ridotti come noi se non peggio.
E noi ce ne siamo inermi a non capire. Il ministro Franceschini continua a ribadire che la cultura è il settore trainante dell’Italia, ma al momento si vedono solo macerie. Gli investimenti saranno massicci, pare. Al momento però il settore culturale è quello dove il covid e poi la guerra hanno fatto più danni della grandine. Il nostro cinema è completamente distaccato dalla realtà e non ha idee, seguendo di fatto Hollywood. E c’è sempre meno qualità e tanti film di medio livello.
In controtendenza è invece “Il capo perfetto”, arrivato nelle sale italiane sotto Natale. Fernando Leon de Aranoa è un regista-sceneggiatore che pochi conoscono. Eppure ha fatto film interessantissimi come I lunedì al sole, Escobar (entrambi con Javier Bardem) e Perfect day (con Tim Robbins e Benicio Del Toro). Ha lavorato anche in Italia con la sceneggiatura di “Una famiglia perfetta”, insieme a Paolo Genovese.
“Il capo perfetto” si muove leggiadro tra i film europei di Brizé (In guerra, La legge del mercato e Un altro mondo) e Loach (Sorry we missed you, Io Daniel Blake), con toni diversissimi da commedia nerissima, mescolando elementi di denuncia sociale e satira con humour nero e un po’ di grottesco.
Ma c’è anche tanta Italia in questo film: impossibile non citare “In nome del popolo italiano” (1971) di Dino Risi con Vittorio Gassmann e Ugo Tognazzi. L’imprenditore Santonocito, interpretato da Gassmann, assomiglia molto al Blanco di Bardem. Il capo perfetto ha conquistato il record di 24 nomination ai Goya (gli Oscar spagnoli) vincendo in sei categorie (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura, miglior attore – Javier Bardem, miglior colonna sonora originale e miglior montaggio). Il tema vero di questo sorprendente film è la rappresentazione della Giustizia. In Italia ormai non si più cosa sia. Si chiacchera di riforme, ma poi finisce tutto a tarallucci e vino. La bilancia è emblema dell’equilibrio, di equità.
Il regista spagnolo critica in maniera aperta il sistema capitalista, smascherando i vizi e le virtù della borghesia. “Il capo perfetto” è l’altra faccia de “I lunedì al sole”: stavolta si guarda alla gestione aziendale, ma la disoccupazione e gli operai rimangono sullo sfondo. Protagonista il solito magistrale, contemporaneamente diabolico, beffardo e sardonico, Javier Bardem che ricorda un incrocio tra Sordi, Gassmann e Tognazzi dell’epoca d’oro della commedia all’italiana, con il grottesco dei fratelli Coen. La scelta di Bardem non è casuale, visto che ha fatto “Non è un paese per vecchi”. Interpretava il killer glaciale Anton, con sguardo da psicopatico. A fare la differenza, tuttavia, fu il look del personaggio con un’acconciatura grottesca piuttosto ridicola che fece la fortuna di Bardem. Qui interpreta Blanco, imprenditore che ereditato dal padre l’azienda di bilance che porta il suo cognome. A livello di aspetto ricorda molto l’ex amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, compreso il suo essere “manager col golfino”.
La descrizione del personaggio non è casuale: occhialuto, dai capelli sale e pepe con vistosa pancetta da borghese imbolsito. Quest’uomo è una sorta di deus ex machina, un padre premuroso che deve salvaguardare la faccia della sua azienda attraverso la produzione. Nella vita privata però è ingabbiato in un matrimonio di facciata, non ha figli (cosa non da poco) e si porta saltuariamente a letto le stagiste in cerca di visibilità.
È inutile dire che localmente è un posto fondamentale, che dà lavoro a tantissime persone. Il film inizia con Blanco che “catechizza” i suoi dipendenti perché sta per iniziare la settimana in cui l’azienda potrebbe ricevere un premio. Il comitato, che deve giudicare, sta per arrivare a fare le sue valutazioni. “Siamo una grande famiglia. Qui le relazioni vanno oltre ciò che è nei contratti” – dice ai suoi. Purtroppo non è vero. All’interno dell’azienda a caratteri cubitali rossi, su una parete un po’ scorticata, si legge il mantra dell’azienda di Blanco: “Esfuerzo, equilibrio, fidelidad”. Tradotto: l’impegno (dei lavoratori, s’intende), l’equilibrio (caratteristica fondamentale del prodotto), la fedeltà (verso il consumatore, ovviamente).
Aranoa ci mostra i giorni precedenti, ci fa respirare l’aria dall’interno e ci fa capire lo “storytelling” che Blanco ha costruito.
Tant’è che ben presto questa narrazione diventa retorica sui valori aziendali, sfociando poi in cinismo. Una pubblicità dice infatti «La Giustizia usa bilance Blanco», il che rappresenta la sintesi del suo modo di essere. L’elite borghese incarnata da Blanco è ricca di contraddizioni: man mano che la narrazione avanza, scopriamo che è un uomo ambiguo, manipolatore, seducente, affascinante e leccaculo, colluso, carismatico e opportunista. Inoltre nella vita privata non ha figli, ma in azienda dice di trattare i dipendenti come tali. Finendo poi per usare il suo potere per portarsi a letto le più vulnerabili, le stagiste che lavorano gratis (o quasi).
Ma la cosa in cui il regista Aranoa riesce a colpire è la satira politica: Blanco è un conservatore che sicuramente sarebbe stato bene con Francisco Franco, invece oggi si sente divulgatore di democrazia senza sapere cosa sia. Dopotutto a lui interessano solo i soldi e il potere che questi esercitano. In un’intervista a Repubblica, Bardem dice giustamente che “tutti, non solo le star del cinema, hanno una certa dose di potere e il problema è capire come utilizzarlo. Penso che farebbe bene a ciascuno farsi una domanda: fino a che punto siamo disposti ad arrivare pur di preservarlo e dominare gli altri?” (il richiamo a Weinstein è abbastanza evidente).
Intorno a Blanco il panorama è quello che è. Ci sono personaggi sull’orlo di una crisi, come lo storico braccio destro, che è stato tradito dalla moglie, che sbaglia tutte le forniture, la stagista che finisce a letto con Blanco che ha un segreto, le persone licenziate che protestano accampandosi sull’esterno dell’azienda.
Gli altri sono costretti a star zitti per paura di perdere il posto. Tutti questi personaggi sono usati da Aranoa come mezzi di distruzione dell’ego e delle bugie di Blanco. Nel mezzo un insieme di immagini simboliche ci fanno capire che non tutto appare com’è: la vecchia bilancia rotta collocata all’ingresso dell’azienda, la bilancia simbolo di giustizia a uso e consumo del marketing.
I problemi non tarderanno ad arrivare e Blanco dovrà decidere il da farsi. Cosa fare allora per essere il capo perfetto? “Truccare la bilancia per mantenere la pesa giusta” è il giusto metodo per combattere la mediocrità ormai diffusa?
L’equilibrio non spetta solo alle bilance, ma anche alle persone. L’imprenditore, in particolar mondo, deve trovare il giusto mix tra interessi personali e collettivi, tra padrone e dipendenti, tra lavoro e vita privata. Blanco, cognome non casuale che indica purezza, lo è di nome, ma non di fatto (splendida in tal senso la scena della rabbia nel bagno della fabbrica, davanti allo specchio). Lo stesso sorriso cinico di Blanco si può notare in Draghi con la famosa scelta tra la pace e il condizionatore acceso. Dopo tutto chi è ricco casca sempre in piedi. E l’equilibrio? ‘Sti cazzi!
IL CAPO PERFETTO ****
(Spagna 2021)
Genere: Commedia nera, Drammatico, Grottesco
Regia e Sceneggiatura : Fernando Leon De Aranoa
Cast: Javier Bardem, Manolo Solo, Almudena Amor
Durata: 1h e 55 minuti
Fotografia: Pau Esteve Birba
Al cinema dal 23 dicembre 2021, in DVD e Blu Ray dal 20 aprile
Distribuzione: BIM
Trailer Italiano qui
La frase: Nel momento in cui i tuoi problemi privati danneggiano la mia impresa, sono problemi miei.
Fonti: Comingsoon, Cinematografo, My Movies, Movieplayer, Repubblica
Regia **** Film **** Interpretazioni **** Fotografia ***1/2 Sceneggiatura ***1/2
Immagine da mymovies.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.