Sull’incontro storico tra Moon Jae-in e Kim Jong-un
L’incontro tra il presidente sudcoreano Moon Jae-in e il leader nordcoreano Kim Jong-un ha rivitalizzato le speranze di una pace duratura nella penisola coreana, proprio dopo mesi in cui sembrava che sui due Paesi si stessero addensando cupe nubi di guerra.
Promettendo la denuclearizzazione ed un trattato di pace tra le Coree che superi l’attuale precario armistizio il vertice intercoreano ha suscitato un certo ottimismo sulle prospettive del più volte annunciato incontro tra il presidente americano Trump e Kim.
Vera svolta o illusione destinata a deludere? Ne parliamo “a otto mani”.
Dunque quel Kim Jong Un, rappresentato dai media occidentali come un pazzo intento a realizzare i propri deliri di onnipotenza affamando il popolo del suo regno, aveva un piano non schizofrenico. Dopo aver realizzato dei missili intercontinentali a testata nucleare in grado di colpire il territorio statunitense, garantendo alla Corea del Nord la sicurezza dagli attacchi dell’imperialismo americano che aveva già inserito il paese nella lista della spesa, si è dedicato alla realizzazione della pace nella penisola coreana.
A Panmunjeom, nella Casa della pace in territorio sudcoreano, i leader delle due Coree hanno firmato una dichiarazione congiunta. L’impegno reciproco a non usare la forza militare, ridurre il budget militare, riaprire canali di collaborazione economica e “cessare le ostilità” per ridurre le tensioni mira ad uno storico Trattato di Pace. Questo sarebbe il preludio della riunificazione coreana, essenziale per smontare le mire espansionistiche statunitensi che infatti nel 1953, alla fine della guerra di Corea, firmarono soltanto un armistizio.
Insomma la strategia di Kim Jong Un si sta rivelando saggia, poiché è dallo sviluppo dei rapporti di forza che si ottiene l’equilibrio necessario alla pace.
Dmitrij PalagiL’ingiustizia della politica italiana non ha visto rieletto il Senatore Antonio Razzi, voce isolata a sostegno del processo di integrazione della Repubblica Popolare Democratica di Corea nel contesto internazionale.
Il problema è che per larga parte dell’opinione pubblica italiana, schiacciata sul pregiudizio privo di informazioni corrette, solo dei “personaggetti” potevano interloquire con le nazioni orientali. Kim Jong-un il folle aveva sostanzialmente tentato di rubare il Natale, mentre Moon Jae-in nessuno sapeva bene chi fosse.
Per fortuna il globo non si esaurisce negli Stati Uniti d’America e i processi possono svilupparsi anche fuori dall’ombra della Casa Bianca – che comunque gioca ruoli non marginali, come le altre principali potenze economiche (ovviamente principalmente Cina in questo caso).
Quanto provinciale è l’occidente? Questa svolta potrebbe darci una risposta, ancora prima di qualsiasi valutazione.
Abbandonando l’ottica eurocentrica finiremo per ricordarci anche di come gli stessi Stati Uniti abbiano scarsa considerazione del vecchio continente nel nuovo contesto…
La svolta coreana è comunque sicuramente un tassello potenzialmente positivo per il nuovo equilibrio globale. Sarebbe illuminante se servisse anche a noi per sviluppare maggiore consapevolezza di quanto siano ridicoli i nostri limiti.
Fin da quando è salito alla guida del Nord Corea nel dicembre 2011 Kim Jong-un è stato dipinto dalla stampa occidentale come un tragicomico dittatore provinciale che ama far esplodere dei grossi petardi, concedendosi qualche intervallo con sadiche esecuzioni da grand-guignol. Più di una volta Kim e Trump sono stati satirizzati come grassi e flaccidi maschi immaturi impegnati in una competizione tra falli piccoli compensati da missili enormi.
La fantasia di questa stampa – anche delle testate teoricamente più serie – era talmente fervida da smarrire il dato di realtà: ossia che le esecuzioni efferate le attuano Daesh e gli Stati Uniti (non vorreste sentire i dettagli di esecuzioni “maldestre” nella patria dello Zio Sam) e che mentre Kim effettuava test o lanci in mare Trump sganciava la MOAB in Afghanistan e decine di missili, a più riprese, contro la Siria.
Il tempo è galantuomo e ora tutti possono vedere come la politica del songun («prima l’esercito») ha rafforzato non solo il Nord Corea come avamposto antimperialista ma anche, di conseguenza, la pace. Trascorsi 65 anni dall’armistizio, Nord e Sud sono pronti per firmare un trattato di pace che, sebbene manchi l’obiettivo massimo della riunificazione della Corea, non può che essere salutato per i suoi effetti distensivi.
Per aver raggiunto questo risultato Kim e il suo omologo Moon Jae-in meriterebbero senza dubbio il Nobel per la Pace, già riconosciuto in casi analoghi: Vietnam, Sudafrica, Palestina, Irlanda del Nord.
Ma proprio il raffronto con la Palestina fa capire quante incognite ancora pesino sulla pace nella penisola. Anzitutto è da valutare la reazione di Washington a un percorso che non solo non rovescia il regime del Nord, ma al contrario lo legittima, analogamente a quanto accaduto tra le due Germanie nel 1972. In secondo luogo è da valutare la sorte fisica del Presidente Moon, che come Rabin potrebbe cadere vittima di un fanatico estremista – un esito che magari potrebbe non dispiacere al National Security Council, che secondo indiscrezioni già aveva suggerito l’uccisione di Kim.
Il disgelo fra le due Coree ha sicuramente una valenza storica. Kim ha stupito un po’ tutti passando nel giro di pochi mesi da minacce non proprio velate ad un atteggiamento estremamente conciliatorio. Ma in realtà questa prima fase di riappacificazione è stata possibile dal cambiamento drastico nella politica estera di Seul: il neopresidente Moon Jae-in ha promesso che avrebbe lavorato per migliorare i rapporti con il Nord e i risultati non si sono fatti attendere. Significativo anche l’incontro, in Cina, il mese scorso, fra Kim e Xi Jinping: è molto probabile che ciò sia stato determinante nel convincere il leader nordcoreano a cambiare la sua strategia diplomatica.
Nonostante le reciproche diffidenze dovute a due sistemi politici ed economici molti diversi, i coreani del Sud e del Nord si percepiscono come un unico popolo, con una stessa cultura e storia. Per questo sono in molti a sognare una riunificazione che ad oggi appare però ancora una prospettiva piuttosto remota anche perché invisa dalle grandi potenze: una Corea unificata sarebbe virtualmente la quarta potenza mondiale, sconvolgendo i fragili equilibri geopolitici dell’est asiatico.
Intanto però dobbiamo ancora una volta sottolineare che chi ha voluto rappresentare Kim come un pazzo in preda a deliri di onnipotenza sia stato completamente smentito. Il leader nordcoreano ha sviluppato un arsenale missilistico e un apparato militare notevoli non per i suoi capricci o ossessioni ma nella convinzione che questo fosse l’unico modo per sedersi al tavolo delle grandi potenze ed evitare di fare la stessa fine di “stati canaglia” come Afghanistan e Iraq. La sua strategia lungimirante ha pagato e ora può provare a raccoglierne i frutti, che verosimilmente dovrebbero coincidere, almeno nel breve periodo, nel cercare di strappare quegli accordi commerciali col Sud che permetterebbero di rilanciare la crescita e di togliere la Corea del Nord dal suo isolamento decennale. I prossimi mesi ci diranno se il disgelo sarà solo simbolico o se, come per ora sembra, avrà degli effetti politici ed economici su larga scala.
Immagine di copertina liberamente ripresa da pxhere.com
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