Due brevi romanzi dello scrittore polacco Marek Hłasko sono stati meritoriamente pubblicati in Italia grazie alla valida traduzione di Luca Palmarini. Essi sono collegati tra di loro e sono: “La seconda uccisione del cane” e “Convertito a Giaffa”, Edizioni Il Foglio nel 2021.
Entrambe le opere scavano nei meandri delle paure e dell’inquietudini dell’animo umano, attraversando le solitudini dei due personaggi principali: Robert, ex autore teatrale e congegnatore di truffe, e Jacub, attore tormentato ma bravo anche in scene di raggiri. Tra di loro c’è una consorteria finalizzata alla sopravvivenza, ma senza alcuna prospettiva di vita. Spesso entrambi si rivolgono al passato per interrogarlo e riscontrare l’eco delle sconfitte già vissute nel triste presente. Le vittime delle truffe sono, quasi sempre, donne non più giovani ma capaci di versare denari pur di stringere un amore, forse proprio quello ricercato in tutta una vita. Sono donne fragili che hanno subito traumi immensi e che non si sono mai riprese del tutto. Facili prede e protagoniste di tragedie annunciate, ostaggio di ex mariti e figli indisciplinati.
Ma anche i due personaggi sono, a loro volta, vittime della vita e della storia. Si aggirano per Israele entrando a contatto con un caleidoscopio di personaggi dei più vari e vividi: dal falsario di tappeti orientali fino al padre missionario che non riesce a convertire nessuno e si ritrova a piangere perché canzonato e schernito. Sono soprattutto gli ultimi, i reietti, una sorta di lumpenproletariat che Hłasko mette in scena, capaci di tutto pur di procacciarsi pochi spiccioli per alcool e sigarette. Ci sono anche i profittatori, gli sciacalli di tragedie altrui in una società sempre più atomizzata e individualista che, senza scrupoli, finanziano i protagonisti pur di eliminare materialmente chi li può ostacolare.
Comunque sia, appaiono tutti dei loser. Essi sono: “tipi che perdono in continuazione”. Non hanno neanche la forza di rialzarsi dagli stenti e dalle sconfitte e di prendere un’altra strada. La loro fine, nell’immaginario dello scrittore polacco, è, fin dal principio, piuttosto chiara e inevitabile, anche se coltivano ancora velleità artistiche, seppur a livello inconscio. Robert, affetto da alcolismo come Jacub, è quello più incline all’arte e confessa la sua concezione elitaria della stessa: “l’arte è diventata proprietà di tutti. È la fine. Io sono un reazionario.
E adesso la reazione ha perso la sua forza sociale, così l’arte non c’è più. Abbiamo la televisione, le automobili e le lavatrici, cose che si possono comprare a rate, ma non c’è più l’arte. E in fin dei conti non ci sarà più. Ci sono solo Henry Miller e Sartre”. Entrambi i protagonisti sembrano essere l’alter ego dello stesso Hłasko con rinvii evidenti allo stesso Henry Miller ma, anche, a un Eduard Limonov, scrittore e autore che per certi aspetti li ricorda entrambi. Non vi è alcuna speranza di riscatto o di uscita e tutto si muove grazie a questi piccoli espedienti finalizzati all’estorsione di denaro ambientati, prevalentemente, in stamberghe squallide e in locali delle periferie di Tel Aviv o di Giaffa. Ci sono molte storie che raccontano la difficile vita di alcuni degli esuli polacchi, che a volte si sono trovati vis à vis con la violenza delle persone e della società. Essi sono caduti velocemente in un vortice che ha consumato la loro intera vita. A volte compare anche l’orrore del Nazismo e le malefatte perpetrate a Varsavia. Si capisce, quindi, come esso abbia svolto un ruolo assai preponderante anche nei turbamenti dei polacchi parecchi anni dopo la fine delle Terzo Reich.
I due romanzi sono, inoltre, arricchiti dalla fantasia artistica e quasi onirica di alcune tavole opera di Samanta Panichi, compresa la copertina che riporta il volto segnato e sofferente di uno dei protagonisti. Con pochi tocchi e utilizzando i chiaroscuri, i due personaggi sono illustrati con tenuità e a volte con pietà, favorendo l’immedesimazione e l’immersione nel testo che rimane comunque tormentato e dove è facile scivolare nel vortice di emozioni e paure che provoca.
Il traduttore ha il merito anche di scrivere una breve nota biografica dello stesso Hłasko. Per il suo anticonformismo nella scrittura e la forte critica nei confronti del governo comunista polacco è stato osteggiato e riscoperto a partire dall’ascesa di Solidarność e utilizzato quale simbolo di libertà. Al di là di polemiche passate che nonostante tutto animano ancora il dibattito politico e storico, viene voglia di immaginare cosa avrebbe pensato lo stesso Hłasko dei deliri reazionari e nazionalistici degli ultimi governi polacchi, soprattutto rapportandoli al passato comunista. Avrebbe approvato le politiche del proprio paese? Forse, più probabilmente, avrebbe preferito rimanere esule sconfitto a bere stock nelle periferie di uno stato straniero.
Immagine: dettaglio di copertina (da ibs.it)
A volte giurista, a volte demodé, sicuramente un lavoratore, certamente un partigiano.