Nel 2006 Ridley Scott voleva dirigere un film sulla dinastia Gucci, dopo aver acquisito i diritti del libro del 2001 “The House of Gucci: A Sensational Story of Murder, Madness, Glamour, and Greed” di Sara Gay Forden. Nel cast ci dovevano essere Di Caprio e la Jolie. Poi il progetto è naufragato fino al 2019, quando proprio Scott è stato richiamato per dirigere il film. Ma si è dovuto aspettare il 2020, in piena emergenza Covid, per girare la pellicola. Ridley Scott infatti doveva terminare prima “The last duel” (arrivato nei cinema a ottobre 2021 causa pandemia). Per l’Italia è stato un bene, dal punto di vista economico, perché la pellicola è stata girata interamente sul nostro territorio, tra la Valle d’Aosta (che nel film è St Moritz in Svizzera), Milano, Firenze, Roma, Milano e il Lago di Como. Per il resto invece non è affatto un bene.
Secondo l’amministratore delegato di Gucci, Marco Bizzarri, la casa di moda ha collaborato con la produzione e ha dato loro pieno accesso ai propri archivi per il guardaroba e gli oggetti di scena. Tuttavia sia Patrizia Reggiani sia la famiglia Gucci hanno detto che sono rimasti terribilmente delusi dal film. Il 30 novembre, una settimana dopo l’uscita negli Stati Uniti, c’è stato un forte inasprimento delle posizioni. “I membri della famiglia Gucci si riservano ogni iniziativa a tutela del nome, dell’immagine e della dignità loro e dei loro cari” – si legge in un comunicato ufficiale (potete leggere qui). Tuttavia il film ha generato anche positività ai Gucci. Secondo Mf Fashion, le vendite dei prodotti Gucci sull’e-commerce hanno registrato un +80%, con le borse come categoria più desiderata e il cappellino con il monogramma come articolo singolo più ricercato. Ed è solo l’inizio perché in molti Paesi il film non è ancora uscito.
Ci sono state diverse polemiche, soprattutto per il taglio da dramma “camp”. Ovvero un uso deliberato, confuso, consapevole e sofisticato del kitsch (letteralmente di cattivo gusto) nell’arte, nell’abbigliamento e negli atteggiamenti. Soprattutto per il ruolo della pop star Lady Gaga. Francesca De Martini, attrice e coach dialettale sul set per Salma Hayek, ha affermato che “l’accento di Gaga non è esattamente un accento italiano, suona più russo”. Purtroppo aggiungo che a tratti sembra di sentir l’accento delle badanti provenienti dai Paesi dell’Est Europa.
Per Lady Gaga questo film è una chiara operazione mediatica perché è attivissima anche nel campo della moda. Ma c’è anche un altro problema: l’approccio al personaggio. Non bastano parrucche da 10.000 dollari e chili di cerone. La stessa Gaga, pur essendo magnetica e credibile, ha ammesso che “la mia Patrizia Reggiani è umana, sognava in grande e voleva una vita migliore, non è la donna raccontata dalle cronache”.
In ogni caso però questa cosa è smentita dai fatti. Il personaggio è stato diluito. La Reggiani è un’uxoricida dichiarata, per niente pentita di ciò che ha fatto (in tal senso il finale del film è coerente). Tant’è che è stata soprannominata “Vedova nera”. La Reggiani qui è una sorta di Lady Macbeth shakespeariana, ma troppo pop rispetto al tono del film. Questo “giochetto” è creato ad arte per strizzare l’occhio alle spettatrici giovani e, perché no, alle fan di Lady Gaga per ragioni di botteghino. Soprattutto perché la stessa cantante è imprenditrice nel campo della moda. A giudicare dalle prevendite, ha funzionato. Ma c’è di più: quando dice, ripetutamente nei fatti, “dov’è il mio Maurizio?”, esprime un concetto molto forte di possesso. Tant’è che Adam Driver è molto contenuto e assopito nella sua performance. Questa è una chiara scelta di sceneggiatura. Si nota e questo non giova alla pellicola, nonostante la pop star si impegni molto per rendere credibile la performance.
Un altro problema è la cronaca che è stata annacquata e romanzata. Mi raccomando, per una volta non guardate il film in lingua originale: il mix di inglese con accento italiano è raccapricciante. Dà proprio l’idea che, per gli americani, l’Italia è una loro colonia e fondamentalmente è un Paese di idioti. Come in “Tutti i soldi del mondo” anche qui ci prendono in giro a ripetizione, rendendoci ridicoli. I Gucci sembrano dei mafiosi di Little Italy con un mix grottesco di inglese, italiano maccheronico e accento russo. Mancano solo pizza, pasta, mafia e una strimpellata di mandolino. Gli stereotipi abbondano: il padre padrone conservatore (Rodolfo Gucci), il puttaniere evasore stile Berlusconi (Aldo Gucci), il secchione babbeo che si fa comandare e bacchettare dalla moglie (Maurizio Gucci), il pazzo ed eccentrico scemo del villaggio (Paolo Gucci).
Sinceramente non è la prima volta che Ridley Scott, venerato maestro del cinema, finisce per essere coinvolto in progetti dalle sceneggiature non entusiasmanti. I recenti “Tutti i soldi del mondo” e “The last duel” lo confermano. Dispiace dirlo considerando che il regista inglese, 83enne, ha iniziato la carriera con pellicole incredibili come I duellanti, Alien e Blade Runner. In ogni caso la storia è molto cinematografica ed era molto invitante.
Il pregio maggiore del film è mostrare un fenomeno che in molti fanno finta di non vedere: il tramonto del capitalismo “a conduzione familiare” e l’ascesa di quello delle multinazionali. Un passaggio epocale non solo italiano, soprattutto globale. Ne sappiamo qualcosa in Italia, visto che il tessuto sociale è fatto soprattutto di piccole-medie imprese. Ecco perché Scott punta sul grottesco per evitare le sabbie mobili dello “spiegone”. Il regista sembra puntare molto sull’effetto scintillante del marchio Gucci e sul glamour del grande cast assemblato. La fotografia del polacco D. Wolski, collaboratore abituale di Scott, è sicuramente la cosa migliore del film.
I problemi del film sono tanti. Gli attori non sono diretti e lasciati a briglia sciolta. Lady Gaga si impegna, somiglia parecchio alla Reggiani, ma è più una cantante che un’attrice. Tuttavia il film è costruito proprio sul suo personaggio, sul suo glamour, sul suo status di pop star modaiola. Il migliore alla fine sembra essere Al Pacino (anche se sembra un boss mafioso, scimmiottando “Il padrino”). Jeremy Irons e Salma Hayek sono quasi insignificanti. Jared Leto è troppo sopra le righe, un’interpretazione troppo esagerata. Secondo me è il personaggio peggiore del film. Già il trucco e le protesi facciali lo rendono una macchietta, è troppo estremizzato per essere credibile. L’esempio tipico è la scena in cui urina copiosamente su una sciarpa Gucci. Non è solo una mia impressione. Anche il regista e stilista Tom Ford, autore di memorabili film come A single man e Animali notturni nonché collaboratore di lunga data di Gucci, ha detto in un’intervista che gli sembrava di essere uscito da un uragano dopo la visione del film. “La bravura di Jared Leto come attore viene letteralmente sotterrata dai trucchi prostetici in lattice. Entrambi gli attori hanno avuto la licenza di fare i gigioni. Devono essersi davvero divertiti. Paolo Gucci, che ho incontrato diverse volte, era effettivamente eccentrico e fece alcune cose stravaganti, ma il suo comportamento non era assolutamente paragonabile al folle e apparentemente ritardato personaggio interpretato così da Jared Leto”.
Il film è troppo lungo (2 ore e 40 minuti), è una sorta di mash-up irregolare tra uno spot pubblicitario, diatribe familiari stile “Il padrino” e una soap opera stile “Beautiful”, risultando un po’ sconnesso. Citando, con convinzione di causa, ancora Tom Ford “a causa del livello e della fama del cast, la sceneggiatura viene piegata al servizio degli attori. L’impressione è che alcuni ruoli siano stati ampliati unicamente per attirare e soddisfare queste star. Mano a mano che il tempo scorre, gli spettatori vengono sottoposti a scene inutili e a volte confuse che sembrano esistere unicamente per permettere ai protagonisti di recitare”. La prima parte è sicuramente migliore perché Scott sa introdurre lo spettatore negli ambienti e sa come farti benvolere i personaggi. Poi nella seconda parte tutto è più prevedibile (anche se non si conosce la storia).
Onestamente tutto è piuttosto estremizzato, sopra le righe e viene un dubbio: è un film drammatico o una satira? Francamente la vicenda della famiglia Gucci è stata una tragedia, a tratti grottesca, non una cosa da prendere così alla leggera come se fosse uno sketch da Saturday Night Live. La parte ambientata a St Moritz sembra un omaggio a “Vacanze di Natale” dei Vanzina. Roba da non credere. L’azienda di moda Gucci è un marchio conosciuto in tutto il globo terrestre. Come tutte le cose umane, la storia di questo storico brand italiano ha conosciuto anche momenti di grande sofferenza. Nel 1982 Gucci diventa una società per azioni di cui Rodolfo (Jeremy Irons) possiede il 50% mentre il restante 50% era diviso tra Aldo e i suoi figli. Alla sua morte, nel 1983, il figlio Maurizio (Adam Driver) inizia una guerra legale contro lo zio Aldo Gucci (Al Pacino) per ottenere il controllo totale del marchio. Nel 1986, a 81 anni, Aldo viene condannato a un anno di prigione negli Stati Uniti per evasione fiscale. Il 27 marzo 1995 però si arrivò oltre i limiti, ma di quello che accadde quel giorno sembra non interessare particolarmente a sceneggiatore e regista.
Patrizia Reggiani, sposata con Maurizio Gucci, direttore dell’azienda fino al 1993, organizzò l’omicidio del marito dopo che quest’ultimo la lasciò per una donna più giovane, Paola Franchi (Camille Cottin, già vista ne “La ragazza di Stillwater” con Matt Damon). Patrizia Martinelli Reggiani, nata a Vignola nel 1948, non era sicuramente di sangue blu e non era ben vista dal padre di Maurizio, Rodolfo. Inizialmente non approvò il matrimonio e riteneva che Patrizia fosse “un’arrampicatrice sociale che non ha in mente altro che soldi”. In effetti era così, ma la donna fu importante per avvicinare il marchio Gucci ai salotti dell’alta borghesia newyorchese, alle feste mondane, a eventi di moda. La Reggiani era molto amica con Jackie Kennedy, nonostante non fosse molto istruita. Ma era determinata e metodica. La Reggiani, soprannominata “la Vedova nera”, ingaggiò il killer Benedetto Ceraulo per uccidere il consorte. Fu giudicata la mandante e fu condannata a 29 anni di carcere, ridotti in appello a 26. Nel 2017 però la donna è stata rilasciata per buona condotta, dopo aver tentato il suicidio in cella. Secondo i pubblici ministeri, il movente di Patrizia era un misto di gelosia, denaro e risentimento verso l’ex marito. Sostenevano che voleva il controllo della tenuta Gucci e voleva impedire al suo ex marito di sposare Paola Franchi. L’imminente matrimonio avrebbe dimezzato i suoi alimenti a $ 860.000 all’anno, che secondo lei ammontavano a “una ciotola di lenticchie “. Il sicario, il proprietario di una pizzeria pieno di debiti Benedetto Ceraulo, è stato scoperto essere stato assunto da Patrizia attraverso un intermediario di nome Giuseppina “Pina” Auriemma, una sensitiva dell’alta società e amica intima di Patrizia. Nel film è interpretata da Salma Hayek. Per legge, non le era più permesso usare il cognome Gucci, ma ha continuato a farlo lo stesso, dicendo: “Mi sento ancora un Gucci, anzi, il più Gucci di tutti”. Più semplicemente Patrizia Gucci.
Fonti: Cinematografo, Movieplayer, Mymovies, Bad Taste, Cinematographe
Regia *** Interpretazioni *** Fotografia ***1/2 Sceneggiatura **
HOUSE OF GUCCI **1/2
(USA 2021)
Genere: Drammatico, Biografico, Commedia nera
Regia: Ridley Scott
Sceneggiatura: Roberto Bentivegna
Cast: Lady Gaga, Adam Driver, Jeremy Irons, Al Pacino, Jared Leto, Salma Hayek
Durata: 2h e 37 minuti
Fotografia: Dariusz Wolski
Prodotto da MGM e Scott Free
Distribuzione: Eagle Pictures
Dal 15 dicembre al cinema
Trailer Italiano qui
La frase: Ai Gucci serve nuova linfa. Occorre fare un po’ di pulizia.
Immagine (dettaglio) da www.luccacinema.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.