Si “chiude” la trilogia di Francesco Filippi sul pessimo rapporto dell’Italia con la sua memoria pubblica. Dopo Mussolini ha fatto anche cose buone (2019) e Ma perché siamo ancora fascisti? (2020), Bollati Boringhieri pubblica Noi però gli abbiamo fatto le strade (2021), con cui si affronta il tema del colonialismo italiano.
Il titolo di quest’ultimo libro recupera un corollario del luogo comune sugli italiani brava gente, secondo un paradigma utilizzato anche dai Monty Python in Brian di Nazareth, quando vengono elencate le “opere” realizzate dall’imperialismo romano: l’esportazione di civiltà in terre selvagge e considerate primitive, in cui la popolazione locale si ritroverebbe avvantaggiata dal vivere in una condizione di dominio.
A livello istituzionale c’è stato qualche tentativo di istituire momenti pubblici con i quali definire le responsabilità del razzismo italiano, in particolare rispetto al continente africano, magari con una giornata nazionale dedicata alla memoria dei molti crimini compiuti prima, durante e dopo il fascismo: molto pochi e al momento tutti rimasti privi di efficacia.
Mussolini è il perfetto capro espiatorio, da usare per esorcizzare un espansionismo iniziato sostanzialmente per caso dalla monarchia sabauda, molto prima della marcia su Roma del 1922 (siamo alla vigilia del nefasto centenario): l’autore evidenzia molto bene le diverse fasi con cui l’opinione pubblica si è confrontata con le colonie, insistendo sugli aspetti legati all’immaginario e alla percezione di un’alterità che è finita per essere completamente rimossa.
Per questo Noi però gli abbiamo fatto le strade ci parla della contemporaneità, di cosa si dovrebbe evitare nell’affrontare la tematica dei cambiamenti climatici e degli impatti specifici che questi hanno in diverse aree del pianeta, quella dei flussi migratori e quella dei sentimenti di intolleranza ancora significativamente presenti nelle nostre società.
Mettere al centro il nostro rapporto con la memoria pubblica diventa un ottimo modo per ricordare quanto in Italia si rimuova l’alterità. Se nel Giorno della Memoria c’è la tendenza a ipotizzare che in fondo l’Olocausto è responsabilità esclusiva del nazismo (la Risiera di San Sabba, per esempio, è ancora un luogo eccessivamente sconosciuto a troppe persone), nel Giorno del Ricordo la “complessità del confine orientale” (orientale per l’Italia, si intende), citata dalla legge, scompare in un atteggiamento di vittimismo che cancella il comportamento degli “italiani brava gente” nei confronti delle popolazioni slave.
Purtroppo abbiamo fatto molto di più (e di gran lunga di peggio) della costruzione delle strade, in Africa. Ancora oggi – anche su quotidiani come Il Manifesto – si possono leggere editoriali pacifisti e internazionalisti che parlando con estrema tranquillità degli “interessi” che “abbiamo” (?) in Libia, umiliati da Francia, Stati Uniti e altri paesi occidentali.
La sinistra non è esente dai problemi con l’altro e l’altra: sull’ultimo numero della rivista Passato e Presente sono pubblicate parole di grande interesse sulla cesura rappresentata dal 1960 nel rapporto con «gli anni dell’Africa», assurti in alcune fasi a simbolo della decolonizzazione e dell’antimperialismo, con sguardo spesso segnato da paternalismo e eurocentrismo, o comunque incapace di evitare di applicare le proprie categorie a fenomeni “distanti”.
Noi però gli abbiamo fatto le strade non è un compendio di storia, ma un libro capace di aprire importanti riflessioni sul futuro: parla dei silenzi che abbiamo ereditato, rendendoci incapaci di interpretare un pezzo della realtà che pure viviamo. Un testo da “usare”, oltre che da leggere.
Immagine di copertina Bollati Boringhieri
Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.