Per il secondo anno consecutivo l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha rilasciato in anticipo l’annuale World Energy outlook: l’anno scorso a causa della pandemia Covid-19, questo ottobre in vista della COP26 (la Conferenza delle Parti che l’ONU promuove per parlare del clima), che si terrà a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021. La relazione è consultabile gratuitamente (ma è in lingua inglese) qui. Nella complessità dei dati riportati, alla stampa internazionale e italiana è arrivato un messaggio chiaro: non si sta facendo abbastanza, rispetto agli obiettivi presi dalle diverse nazioni.
Pochi giorni fa l’ispiratrice del movimento Fridays For Future si era espressa con parole poi riprese dal sistema politico e di informazione: al pianeta non servono «bla, bla, bla», ma azioni concrete. La gestione dell’emergenza sanitaria e la “ripresa” di questi mesi hanno peggiorato la situazione, in termini di consumi delle risorse ed emissioni inquinanti. Tra le conseguenze l’aumento dei prezzi delle “materie” e delle bollette.
Questione sociale e questione ambientale tornano a incrociarsi nel definire il futuro delle società, coinvolgendo i modelli di sviluppo e l’utilizzo delle risorse pubbliche previste per rispondere alla “crisi” legata a SARS-CoV-2. Di questi aspetti torniamo a parlare nella nostra rubrica settimanale a più mani.
Leonardo Croatto
La più sconcertante contraddizione di questi tempi, a mio avviso, è la tensione tra avanzamenti tecnologici e sfiducia nei confronti della scienza.
In un mondo in cui la tecnologia è sempre più pervasiva, sempre più a portata di mano, sempre più parte della vita di tutti i giorni, una fetta non trascurabile degli utilizzatori stessi di quella tecnologia, inimmaginabile anche solo trenta anni fa, manifestano una incomprensibile sfiducia nei confronti della scienza che ne è generatrice.
Sembra che, mentre è facilmente assimilabile l’intervento di strumenti che modificano in meglio le nostre vite individuali (chi ha fatto resistenza alla diffusione degli samrphones? chi si è opposto al passaggio da Tuttocittà a Google Maps?), sia molto più difficile immaginare azioni che intervengano in maniera rigenerativa sulla collettività: su scala nazionale, internazionale o addirittura planetaria.
E’ evidente che dietro la resistenza all’accettazione della necessità di interventi di dimensione globale per contrastare le modificazioni climatiche ci siano anche gli interessi economici di pochi, ma deve anche preoccupare il fatto che nel XXI secolo ancora sia diffuso un ampio sentimento antiscientifico che mette in moto meccanismi di “cessione di fiducia” dannosi per la collettività: è diffusamente carente, anche nell’occidente sviluppato, la comprensione di cosa voglia dire veramente: “è dimostrato scientificamente”, e questa mancata compresione produce valutazioni e azioni che, quando riguardano un numero importante di persone, assumono dimensione politica e condizionano il consenso verso le idee politiche, i partiti che le rappresentano e, di conseguenza, i governi che si insediano nelle democrazie liberali e le decisioni che vengono prese dai parlamenti.
Dmitrij Palagi
Dare la colpa ai comportamenti individuali e proiettare la speranza di possibili soluzioni alle singole persone è un ottimo modo per non fare passi in avanti sul tema dei cambiamenti climatici. L’attuale modello di sviluppo è compatibile con una vera transizione ecologica? Per cosa si cambia, quale è la direzione che si intende intraprendere?Negli articoli usciti in questi giorni sulla stampa ci sono due riflessioni facilmente collegabili al Word Energy Outlook 2021.
Sul Domani del 16 ottobre si ricorda come nei punti vendita della grande distribuzione sia facile trovare frutta e verdura non di stagione, confezionata con significativi sprechi di imballaggio. La sostenibilità e le corrette abitudini sono poco convenienti per i portafogli. Su Le Monde diplomatique italiano di ottobre, uscito da pochi giorni, è stato tradotto un lungo articolo sull’impatto del digitale nella distruzione del pianeta. Da una parte le materie prime utilizzate per la creazione di sempre più diffusi dispositivi, dall’altra la realizzazione delle infrastrutture necessarie per pratiche invasive nella nostra quotidianità, di cui la cittadinanza mediamente non ha consapevolezza. Mettere al centro del dibattito pubblico il funzionamento della logistica potrebbe essere una priorità politica che farebbe molto bene al pianeta e anche al superamento di un modello economico alla base di numerose ingiustizie sociali che erroneamente vengono raccontante – talvolta – come inevitabili per potere essere più “verdi”. Il costo della vita è destinato ad aumentare. La salute e condizioni ambientali adeguate rischiano di diventare un lusso.
Governare le principali contraddizioni delle nostre società, senza voler agire alla loro radici, rischia di essere una fatale illusione per il nostro futuro.
Jacopo Vannucchi
Sebbene l’impennata dei costi dell’energia sia un fenomeno probabilmente transitorio, dovuto a un temporaneo squilibrio fra le velocità di ripartenza di diversi settori industriali, le ricadute in termini di politica energetica rimandano a problemi non più rinviabili.
L’aumento del prezzo del gas, ad esempio, è stato poco percepito negli stati ancora basati fondamentalmente sul carbone, come la Polonia, e il differenziale gas/carbone è salito a livelli tali da rendere più conveniente l’uso del secondo combustibile, nonostante il costo delle quote per l’emissione di anidride carbonica sia ovviamente più alto che nel gas. Per tale ragione anche in Germania si è avuto un recente, sia pure parziale e temporaneo nelle intenzioni, ritorno dal gas al carbone. In altre parole, è evidente che il mercato delle emissioni in Unione Europea non assolve efficacemente al compito di contrastare l’inquinamento da fonti fossili.
Un altro confronto utile è quello con l’energia nucleare. La Francia, che ottiene gran parte dell’energia elettrica dalle proprie centrali nucleari, è stata tuttavia contagiata dal rincaro dell’energia importata dall’estero e ha indicato la soluzione nell’espansione del potenziale nucleare interno. Il che, in attesa di reali sviluppi nella tecnologia nucleare, pone i noti problemi di stoccaggio delle scorie. Soltanto in Cina sta muovendo i primissimi passi la produzione nucleare basata sul torio in sostituzione dell’uranio.
D’altra parte le energie rinnovabili scontano un problema evidenziatosi in Germania già a inizio 2020: producono più energia di quanta le attuali infrastrutture ne possano sopportare, conducendo addirittura a prezzi negativi. La soluzione prospettata all’epoca fu che l’energia in eccesso potrebbe essere impiegata per produrre idrogeno “verde”, ossia ottenuto per elettrolisi dell’acqua. Una fonte energetica che potrebbe essere esportata tramite gasdotti oppure stoccata. Ma anche in questo caso il collo di bottiglia sono i rari (platino) o rarissimi (iridio) materiali necessari.Appare evidente che soltanto un forte investimento in termini di ricerca – del genere di quello riversato sullo sviluppo in tempi serrati di un vaccino contro la Covid-19 – potrà produrre soluzioni praticabili.
Alessandro Zabban
Di fronte alla rapida crescita del costo dell’energia, che sta già avendo degli effetti molto concreti sull’aumento delle bollette di gas e luce, si può essere tentati di dare la colpa alla transizione ecologica e alle rinnovabili in particolare.In realtà l’aumento dei prezzi è principalmente dovuto a una ripresa economica e produttiva post-pandemica superiore alle attese, che ha colto molti Paesi impreparati. I timidi obiettivi climatici che i governi hanno promesso di conseguire, sono alla base di una altrettanto timida diminuzione nella dipendenza di molte economie (soprattutto quelle avanzate) dalle fonti di energia più inquinanti, in particolare il carbone. La rapida ripresa economica, ha mostrato però che a una diminuzione nell’uso dei combustibili fossili non è corrisposto un aumento altrettanto significativo degli investimenti nelle energie rinnovabili. Il problema è che dunque scontiamo la grande inerzia politica nell’affrontare con serietà il problema non più rimandabile dalla transizione ecologica.
Questa situazione apre a diversi scenari. Da una parte, l’aumento dei costi di gas e carbone potrebbe spingere i governi a intraprendere con più determinazione la strada della sostenibilità ambientale ma, d’altra parte, potrebbe anche portare alcuni governi a insistere sui combustibili fossili per rispondere nell’immediato al rischio di una crisi energetica, magari tramite un incremento dei già assurdamente ingenti incentivi ai combustibili fossili.
Il Word Energy Outlook 2021 mostra con chiarezza che maggiore è lo sforzo verso un modello a zero emissioni, minori sono i costi che i consumatori si trovano a doversi sobbarcare in bolletta. In generale, dunque, gli investimenti in fonti di energia rinnovabile tendono ad abbassare il costo dell’energia e non il contrario, come una lettura superficiale di questa crisi energetica potrebbe far erroneamente intendere.
La crisi energetica in corso, che rischia di incidere pesantemente sulle già acute sofferenze di molte persone, può essere risolta solo guardando a un futuro di sostenibilità. Se la transizione subisse invece degli ulteriori rallentamenti, i costi sociali (non più purtroppo solo in termini di bollette) ricadrebbero primariamente sui ceti sociali più deboli. Si tratta di scelte politiche precise, che influiscono e influiranno sempre più sulle nostre vite. Anche la lotta per l’ambiente è lotta di classe.
Immagine da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.