L’inchiesta di Fanpage, “Lobby Nera”, mette in evidenza i collegamenti fra la galassia dell’ultradestra nostalgica del fascismo e Fratelli d’Italia. Per qualcuno si tratta semplicemente di poche mele marce usate per screditare il partito di Giorgia Meloni, mentre altri mettono in luce l’ambiguità della destra istituzionale italiana rispetto al ripudio del fascismo. Allo stesso tempo, il caso Morisi, che nelle ultime settimane ha scosso la Lega, al di là delle questioni giudiziarie, ha portato alcuni analisti a mettere in evidenza la violenza della campagna d’odio mediatica e social (detta “la bestia”) portata avanti dal partito di Salvini per incrementare i suoi consensi. Infine, la manifestazione contro il green pass di sabato è degenerata in gravissimi episodi di squadrismo fascista. Cosa ci dicono questi episodi sulla natura della destra italiana?
Leonardo Croatto
L’assalto alla sede della CGIL in Corso d’Italia di sabato non è un evento spontaneo e accidentale messo in atto da un gruppo di facinorosi staccatosi da una manifestazione contro il green pass: quella manifestazione non era affatto una manifestazione no-vax infiltrata da Forza Nuova, ma l’opposto: una manifestazione organizzata da Fornza Nuova verso la quale, immagino con poca fatica, è stata dirottata, a copertura e legittimazione, la variegata galassia dell’antiscientismo italiano.
Data la paternità della manifestazione e le informative circolate nelle settimane precedenti, stupisce la leggerezza con cui alla manifestazione, autorizzata per stanziale, è stato consentito debordare nelle vie laterali e raggiungere obiettivi evidentemente prefissati.
Anche senza immaginare connivenze settantiane, è abbastanza evidente che nel paese si è registrata negli anni una ampia sottovalutazione del fenomeno neofascista, intorno al quale si è costruita una protettiva rappresentazione di marginalità, strumentale a ridurre la percezione di pericolosità. A questa operazione di minimizzazione si sono prestati tutti, con rarissime eccezioni: dai partiti alle figure istituzionali, dalla stampa agli accademici. Dalle operazioni di rilettura della storia del dopoguerra alla costruzione di un vocabolario alternativo usato per evitare di chiamare il fascismo col suo nome sui giornali, fino all’accoglimento delle organizzazioni neofasciste all’interno di partiti politici coi quali si costruiscono ampie alleanze di governo, nessuna delle soggettività con responsabilità politico-istituzionali e culturali ha mai ritenuto di affrontare il problema delle recrudescenze fasciste nel paese.
La sparuta minoranza che ha provato a rappresentare in maniera corretta il rischio posto dai rigurgiti fascisti che attraversavano il paese si è scontrata col radicale antagonismo di tutta la destra politica e sociale senza trovare alcun appoggio dalle forze democratiche e dal mondo della cultura, e questo è il risultato. A cento anni dai primi assalti alle Camere del Lavoro, stiamo ripetendo gli stessi errori.
Jacopo Vannucchi
Il passaggio di Forza Nuova all’azione violenta è dettato con tutta probabilità dall’impressione che uno spazio si stia finalmente aprendo, dopo venti mesi di Covid-19. La strategia di vicinanza a forze e movimenti esterni all’area della destra radicale militante, e perciò non esente da contestazioni nel mondo nero, si è tradotta in questi due anni nella contiguità a movimenti di opposizione alle scelte governative in materia di chiusure aziendali e vaccinazioni. L’obiettivo era, evidentemente, far presa sui ceti dotati di minore organizzazione sociale: proletariato sottoccupato e una parte dei ceti medi (soprattutto esercenti).
Il risultato delle elezioni amministrative avrebbe quindi fatto pensare che l’occasione per tastare sul campo il tasso di radicalizzazione ci fosse: l’evidente, marcato, arretramento della destra e del Movimento 5 Stelle, con tanti loro elettori, provenienti appunto dal basso proletariato o dalla piccola borghesia in via di pauperizzazione, che rifluiscono nell’astensione e il cui consenso è dunque lasciato volatile e pronto a riattivarsi.
La lettura di questo tentativo di spallata da destra alla destra parlamentare deve essere integrata almeno da due ulteriori vicende.In primis, l’inchiesta Fanpage, che mette in evidente difficoltà Meloni e Salvini (questi già logorato dalla vicenda Morisi). Se evitano di schierarsi contro il fascismo, i due leader perderanno, almeno nell’immediato, agibilità politica. Se si schierano contro il fascismo, perderanno elettori. La stessa exit strategy salviniana di lasciare la Lega Nord a Zaia e Giorgetti e imbarcare gli arnesi missini del centro-sud in un nuovo partito nazionalista ne viene messa a repentaglio. Una simile situazione apre in tutta evidenza la possibilità di una ristrutturazione dell’area di destra e destra estrema in Italia.Seconda vicenda: l’analoga ristrutturazione in corso in questi mesi in Francia. Pur essendo a tutt’oggi un candidato solo potenziale e non dichiarato, il pubblicista Éric Zemmour ha mangiato nei sondaggi quasi metà del consenso della Le Pen. Promotore di teorie deliranti quali la sostituzione etnica, letteralmente ossessionato dalla svirilizzazione del maschio nella società, Zemmour sifona i voti degli elettori benestanti di età medio-alta: un bacino che si trova non solo nel Rassemblement National, ma anche nei Républicains.Sebbene sia forse presto per dire quali saranno le conseguenze di questo riassestamento a destra (i Républicains saranno spartiti fra Zemmour e Macron? Che rapporti vi saranno fra la destra lepeniana delle classi inferiori e quella zemmouriana delle classi alte?), l’impressione è di una situazione di grave instabilità, superabile democraticamente solo tramite il coinvolgimento delle masse in progetti più ambiziosi di quello rivendicato da Enrico Letta (e da Olaf Scholz stesso): «il mio modello è quello di Scholz con la Merkel: garantire continuità al governo dentro un percorso complesso».
Alessandro Zabban
In un clima politico, a livello europeo, in cui si equipara con disinvoltura fascismo e comunismo e in un contesto, quello italiano, in cui si permette che la commemorazione delle Foibe eroda terreno simbolico alla Liberazione, non ci si può stupire che si sia assistitoad una sempre maggiore normalizzazione di una destra che in Italia di moderato ha davvero poco.
Il centrosinistra ha delle responsabilità non da poco nell’aver favorito questa parabola, permettendo che il più bieco revisionismo storico sul comunismo e sulle Foibe prendesse piede, spesso persino assecondando questa narrazione. In questo modo si è creato un humus culturale fertile per la relativizzazione dei crimini fascisti. Il nazionalismo, che storicamente alimenta gli estremismi di destra, per anni non è stato combattuto adeguatamente dal centrosinistra, che ha puntato su un vuoto ed innocuo europeismo o ha cercato di inseguire le destre sul loro stesso terreno quando il tema dell’immigrazione egemonizzava la discussione pubblica. Neppure la svolta nazionalista della Lega, l’unico vero colpo di genio di Salvini e del suo entourage, ha smesso la situazione. La destra, non più solo quella liberista ma anche quella definita “populista”, ha così negli ultimi anni sempre più dominato con le sue narrazioni la sfera mediatica, politica e simbolica della società. Il risultato è che la sinistra si è spostata ancora più al centro di quanto non avesse già fatto e proporzionalmente, la destra, si è allontanata dalle posizioni moderate senza per questo perdere consensi (anzi) o ritrovarsi al margine della vita istituzionale.
Così, stupirsi oggi dei legami del mondo fascista con i partiti più votati della destra appare ridicolo ed ipocrita. E a poco vale se la Meloni dice o non dice che non c’è spazio nel suo partito per l’ideologia fascista. Dovremmo piuttosto interrogarci su come sia possibile che ci sia una tolleranza generalizzata per il fascismo tale per cui sia possibile alla coalizione di destra di tenere insieme elettori moderati e nostalgici del ventennio senza eccessivi problemi.
Immagine da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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