L’intervento di Draghi all’assemblea di Confindustria ha marcato, sia nelle parole che nelle forme, una passione – non nuova, negli industriali – per l’uomo forte al comando. Un moderno console la cui autorevolezza (vera o presunta), trasformata in autorità, può essere usata per pacificare una nazione indisciplinata. In questo scenario, i partiti sono parte del problema: le complessità della politica sono un freno per l’economia. Ma è compatibile questa visione con la democrazia?
Leonardo Croatto
La speciale relazione di Draghi con l’imprenditoria che conta si è misurata nei gesti e nelle parole: il lungo applauso finale, tutti in piendi, è stato metro e misura dell’affinità, la comune antropologia e l’unità di visione.
L’intervento di Draghi era articolato in due parti: una valutazione di contesto e prospettive anche piuttosto scontate (la ripresa che si vede, l’importanza della transizione verde e della digitalizzazione, il sud, l’eccezionalità del PNRR, la pandemia… le solite cose, insomma), una seconda parte più politica. E’ questa seconda che ha attratto l’attenzione dei commentatori più attenti: “buone relazioni industriali” e “unità produttiva” contrapposte alla conflittualità sociale: rispetto agli altri paesi europei “Da noi, col finire degli anni 60, invece si assiste alla totale distruzione delle relazioni industriali”, e per questo si sarebbe, secondo Draghi, bloccata la crescita nel nostro paese. Serve, secondo il Primo Ministro “un patto economico, produttivo, sociale del Paese”, “una prospettiva economica condivisa”, e ancora: “Il nostro compito, il compito del Governo, è far sì che il gusto del futuro continui a restare nelle vostre scelte di imprenditori”.
Bonomi, a sua volta, è chiaro sulle relazioni tra gli industriali e il parlamento: si augura che Draghi “continui a lungo nella sua attuale esperienza”, “senza che i partiti attentino alla coesione del governo pensando alle prossime amministrative con veti e manovre in vista della scelta da fare per il Quirinale”; Draghi “uomo della necessità”, per Confindustria, impegnato a lavorare per una pacificazione sociale volta ad assicurare alle imprese libertà di azione. Poteva andare peggio: poteva definirlo “uomo della provvidenza”.
Piergiorgio Desantis
Gli applausi a scena aperta per Draghi da parte della platea di Confindustria sono la rappresentazione plastica di una identificazione quasi totale degli industriali con l’uomo venuto a “salvarci” perché portatore di “buona politica dei competenti”. Gli animi degli astanti si sono accesi di facile (semi)presidenzialismo, mentre la Costituzione di carta tende sempre più a essere marcescibile e, con essa, la funzione storica assegnata ai partiti e ai corpi intermedi in Italia. Quest’ultimi sono così deboli, affascinati e succubi di questa maggioranza variopinta e multiforme che li rende difficilmente distinguibili. Pertanto, saranno sempre più costretti a svolgere un ruolo ancillare al fianco di tecnici ben saldi nelle loro convinzioni e nelle loro idee (per lo più superate). A ciò si aggiunga lo stridore con i recenti alti lai di Bonomi nei confronti del governo Conte 2. Il precedente governo, nonostante una maggioranza che conteneva forze politiche identiche a quella attuale che è più allargata, aveva scatenato dalle parti di Viale dell’Astronomia ira e riprovazione perché aveva messo – timidamente e confusamente – in discussione alcuni dogmi della narrazione liberista. Ad esempio si pensava a un ruolo dello Stato anche nell’economia e si iniziava a intravvedere l’apertura a un mondo, ormai da tempo, multipolare. Alla luce di queste brevi considerazioni ci si aspetta che gli attuali partiti continuino a essere una variabile poco significativa negli scenari che si aprono e che assumeranno posizioni legate a scadenze sempre più ravvicinate senza alcuna visione. Poi, la Storia e l’evoluzione (o involuzione) ci aiuterà a capire se, in Occidente, ci potrà essere lo spazio per un altro sistema politico e ideale.
Francesca Giambi
La standing ovation per Draghi da parte degli industriali è qualcosa non tanto di scontato ma soprattutto di estremamente pericoloso.Il Patto per l’Italia vuol dire soprattutto “fuori i partiti”, la ricostruzione sia affidata alla triangolazione tra governo e parti sociali.E la nostra costituzione, difesa da vari referendum, viene dimenticata così? Facendo diventare la nostra democrazia parlamentare in una Repubblica Presidenziale? E Draghi, prima ancora di diventare Presidente della Repubblica, si diverte a fare il premier tutto-funzioni?
È vero che la politica, nel senso dell’arte politica, sembra qualcosa di vecchio. Ora si fa politica, o pseudo tale, sui social, con post continui, ma i contenuti?È terribile assistere a tutti questi omuncoli di partito appoggiare il grande burattinaio Draghi solo per sedere al tavolo dove saranno distribuiti i soldi…Paragonare Draghi a De Gasperi e a Ciampi, come ha detto Bonomi è ancora più terrificante…
De Gasperi era uno degli uomini della rinascita dalla guerra, Ciampi doveva ricomporre dopo tangentopoli… ed infatti la prima cosa fu la nuova legge elettorale maggioritaria…Per la prima volta di è parlato di governo del Presidente, questo forse è l’unica cosa uguale.E lo squallore a cui quotidianamente assistiamo è solo l’affermazione dell’esistere e di mettere bandierine…E intanto i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri, il lavoro è solo precario ed i diritti dei lavoratori sono sempre più calpestati, per non parlare dell’ambiente che doveva essere il punto principale… lotte per le energie rinnovabili attuate dai potentati… favori alle compagnie petrolifere…E questo è il governo dei migliori, questo è il padre della patria Draghi, che non ricorda nemmeno più cosa significhi essere cristiano… potrebbe chiedere al papa…Ma conosce la nostra classe imprenditoriale?Draghi vuole decidere ma solo per “non fare danni”.
Questo sarebbe sufficiente? Si toglie il reddito di cittadinanza perché inutile o perché lo vuole la destra… deciso da gente che guadagna diverse migliaia di euro al mese è scandaloso…Purtroppo la guerra di Draghi è la prosecuzione di quella di Montezemolo contro la casta… contro l’inutilità dei partiti…I partiti, è vero, si sono macchiarti di tante colpe ma la più evidente è quella di non aver fatto politica seriamente, su poche idee ma chiare, quali il rispetto della nostra costituzione e il lavoro.
Questo porta ad una considerazione molto amara… In questo bluff della ricrescita, ci si dimentica dei problemi reali della gente comune. Ci vorrebbe assolutamente una “patrimoniale”, una riforma delle tasse, ci vorrebbero idee di sinistra per opporsi a questa destra “bottegaia”.
In Germania la SPD torna ad essere il primo partito tedesco e lo fa con due temi centrali: aumento del salario minimo e imposizione patrimoniale sui redditi più alti. Prendiamo esempio e come cittadini facciamo una opposizione reale… no presidenzialismo ma una repubblica laica e democratica.
Jacopo Vannucchi
In una delle vette dell’antiberlusconismo di tre-quattro lustri fa, «Quando c’era Silvio», a contrasto del Berlusconi impresario pataccone veniva presentata un’intervista a Gioia Falck, che ricordava l’atteggiamento del padre Giovanni nei confronti della politica: “una cosa che veniva amministrata a Roma” e da cui non ci si doveva lasciare coinvolgere. Paradossalmente il distacco dalla politica veniva presentato cioè come una forma di rispetto della divisione di campo fra interessi economici e attività legislativa. Il distacco, ma diciamo pure la sfiducia, il senso di superiorità, da parte di una classe che si autorappresenta come creatrice di ricchezza, nei confronti di un ceto politico di chiacchieroni e scrocconi; Milano come capitale morale in contrasto a Roma-Bisanzio capitale della corruzione.
Ça va sans dire, la realtà è ben più prosaica e spesso è stata l’industria italiana a vedere nella politica un vitello grasso da menare per il naso e poi macellare. Ad esempio, Giovanni Agnelli non tollerava le ingerenze del regime fascista nella FIAT, pur se il fascismo gli era stato molto utile per stroncare l’agitazione operaia.
Qualcosa di simile è accaduto anche con il governo Draghi. Il discorso di Bonomi ne ricorda uno molto simile di un suo predecessore, cioè quello di Montezemolo nel 2007. Il tono antipolitico è lo stesso, diversa è solo la tattica: all’epoca si voleva partecipare da padroni all’assalto contro un poco popolare governo Prodi, oggi invece ci si vuole intestare un governo più popolare e più favorito dallo scenario globale. Ha buon gioco Renzi a ricordare che durante la crisi di otto mesi fa Bonomi si spese pubblicamente per difendere Conte e Gualtieri. Forse anche in quel caso vi erano interessi industriali da tutelare.
Nel suo intervento Draghi ha citato diversi punti di strategia industriale e occupazionale, ma forse la vera spia del solco che corre tra lui e Confindustria è la tagliente serie di considerazioni finali, condensata nel motto: «avete fatto la vostra parte. Oggi vi chiedo di fare di più». Una divisione che riguarda chiaramente le modalità di spesa e di fruizione del Piano Nazionale di Ripresa.
Immagine da commons.wikimedia.org
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