Il 2001 è stato un anno che ha segnato in modo particolare l’inizio di un millennio e di un secolo?
La tentazione di periodizzare il tempo con gli eventi storici fa parte del modo in cui le società si raccontano e leggono il presente.Molto è stato detto, scritto e pubblicato, sia nel sistema di informazione ufficiale che sui social. La Casa Bianca voleva che questo ventennale coincidesse con il ritiro dall’Afghanistan, ma le cronache di fine estate hanno evidenziato il fallimento – almeno comunicativo – di quello che è stato il recente impegno militare degli Stati Uniti nel mondo. Nel frattempo l’emergenza terrorismo ha assunto connotati diversi, raggiungendo l’Europa e con un nuovo soggetto (Isis) che ha disarticolato ulteriormente la narrazione di una “civiltà” alternativa e ostile all’occidente. Ne parliamo nella nostra rubrica settimanale a più mani.
Leonardo Croatto
L’usanza di leggere la storia cominciando dall’ultimo evento significativo, sconnesso da tutti i prodromi, funziona senza dubbio nella propaganda, e consente al giornalismo scarso semplificazioni che facilitano la lettura e non impegnano all’approfondimento. L’interruzione della sequenza degli eventi produce, però, ricostruzioni fallaci degli accadimenti rendendo impossibile ricostruire catena di cause e conseguenze che hanno prodotto l’attualità.
In questo senso, l’11 settembre non è affatto una cesura con la storia, un momento di rottura rispetto al passato; l’attacco al World Trade Center è la conseguenza di decenni di politica estera USA, costruita sulla destabilizzazione quando non, direttamente, sull’aggressione. Come ne Il Pendolo di Foucault i nemici immaginari che gli USA si sono coltivati da soli alla fine si sono trasformati in nemici reali: per combattere un pericolo socialista immaginato gli USA si sono trovati a fronteggiare il terrorismo estremista da loro stesso pasciuto.
Allo stesso modo, una maggiore attenzione per la storia avrebbe forse suggerito agli Stati Uniti che invadere l’Afghanistan non era affatto una buona idea. Come in Vietnam, una guerra per procura trasformatasi in guerra sul campo a fianco di un governo fantoccio si è conclusa con una disfatta.
La speranza è che il disastro Afghano sia anche l’ultimo, e che con questa disfatta gli USA chiudano la loro epoca coloniale, visti gli scarsissimi risultati reali.
Francesca Giambi
Il ventennale dell’attentato alle Torri Gemelle è stato discusso e analizzato (non sempre efficacemente) già da una decina di giorni, con un’enfasi incredibile. Molinari su Repubblica ha intitolato, come molti altri, il suo pezzo: “11 settembre, vent’anni dopo il giorno che ha cambiato la storia”. La storia in questi vent’anni è stata cambiata da vari altri fattori, da altre guerre (spesso non considerate, quali quelle in Africa centrale…)
L’11 settembre è stato sicuramente un episodio drammatico e terribile, nella cui narrazione ha inciso molto l’aspetto emotivo, non solo dato dalla modalità di attacco, quasi “cinematografico” ed il numero di vittime, ma anche il fatto che venisse colpita una delle maggiori potenze (anche di intelligence) “a casa propria”, anche se non per la prima volta; un attentato alle basi delle Torri Gemelle con un furgone-bomba esploso nel parcheggio sotterraneo si era infatti già verificato nel 1993 procurando la morte di sei persone.
Purtroppo l’imperialismo americano, dichiarando subito guerra all’Afghanistan, inseguendo i terroristi, ha prodotto una scia di centinaia di migliaia di morti, ed ora ha abbandonato il paese ai padroni della guerra evidenziando il fallimento della loro politica.
Certo sono riusciti ad uccidere il responsabile dell’attentato dell’11 settembre Osama Bin Laden, gettandone poi in mare il corpo, dimenticando quanto avevano dato e accettato dallo stesso Bin Laden per contrastare la Russia.
Gli Stati Uniti hanno di nuovo polarizzato la scena: loro rappresentanti di libertà, giustizia e pace, gli altri i terroristi che rappresentano morte, violenza e omicidio di massa.Ma come? Questo è mistificante. L’America non ha mai portato pace.
Nello stesso giorno, 11 settembre, del 1973 gli USA appoggiarono il golpe militare che rovesciò il governo ed uccise Salvator Allende che rappresentava un pericolo, perché dimostrava che la “via cilena del socialismo” era possibile…Nella stampa italiana non mi sembra che l’uccisione di Allende ed il terribile fascismo di Pinochet (regia USA) sia stato molto analizzato: è cinico contare i morti? È vero che nelle Torri Gemelle le vittime sono state 2977, ma è anche vero che i morti in Cile allora furono circa 30000 e quelli in Afghanistan solo nel primo anno sono stati circa 5000 civili, uccisi nei bombardamenti. Quindi la guerra in Afghanistan è stato solo un problema di sicurezza?
E ora? Che ruolo dovrà avere l’America? Sicuramente cercherà di allontanarsi dalle spinose politiche estere e si preoccuperà maggiormente dei tanti problemi interni. Anche se, probabilmente, quando vedrà scendere in campo Cina e Russia, intravedendo qualcosa di “rossiccio”, entrerà nuovamente in politica estera… proponendo guerra totale al terrorismo islamico. E riportando di nuovo la questione dell’occidente contro l’islam…
Dmitrij Palagi
Venti anni dopo la sconfitta sembra debba essere assegnata al movimento dei movimenti e alla potenza mondiale di chi scendeva in piazza per la pace: sarebbe però una lettura sbagliata, appiattita sulla difesa dello stato di cose presenti.La sconfitta deve essere assegnata a chiunque viva su questo pianeta, devastato da nuove guerre e dall’aumento della violenza in numerose aree del mondo.Bush jr. appare oggi come moderato e progressista, in opposizione a Trump: ma chi mostro al mondo prove false? Chi ha usato l’emotività e la paura delle Torri Gemelle per definire un rafforzamento dei rapporti di forza esistenti in chiave repressiva e regressiva?
C’è chi si è opposto, ne resta traccia, anche se chi si oppone oggi ha meno forze e visibilità. Però sappiamo che la situazione può essere diversa.Lo scontro di civiltà su cui si costruì l’impianto narrativo della Casa Bianca nel 2001 si è definitivamente sgretolato, mentre in questo ventennale la grande rimozione riguarda il mercato delle armi. Senza quelle sarebbe difficile fare le guerre.
Anche l’Italia ha un pezzo importante della sua economia basata sulla morte: difficile credere che i governi occidentali siano interessati alla pace. Figurarsi il capitale.
Jacopo Vannucchi
All’indomani dell’11 settembre 2001 era diffusa, almeno nell’ambiente politico mainstream, la convinzione che si fosse aperto il periodo della Quarta guerra mondiale, seguente alle due guerre “calde” e alla guerra fredda.A distanza di vent’anni, in realtà, l’impressione è che quell’evento non rivesta un forte carattere periodizzante, a meno di non assumerlo come evento meramente simbolico, al pari ad esempio dell’anno 1000 quale crinale del Medioevo.
Gli attentati di quel giorno possono cioè forse riassumere le tante crisi di questo ventennio: la recessione del 2001, la Grande Recessione del 2008, la pandemia di Covid-19 e la conseguente crisi economica, il risorgere delle forze fasciste in Europa, la Brexit, il regime di Trump con annesso tentato golpe, la destabilizzazione del Medio Oriente e del Nordafrica, la crisi ucraina… Anzi, probabilmente una prospettiva storica compiuta retrodaterebbe questa era caotica non a venti, bensì a trenta anni fa, coprendo l’intera generazione post-1989 e includendo fra le crisi lo sfaldamento dell’Unione Sovietica, la dissoluzione della Cecoslovacchia e della Jugoslavia, le guerre nei Balcani, i tracolli economici in Europa orientale (es. la crisi del rublo)…
L’11 settembre è stato veramente periodizzante, invece, nella politica estera dell’amministrazione statunitense dell’epoca, quella di George W. Bush. Gli attentati costrinsero Bush a una colossale virata verso un interventismo cui egli, nella campagna elettorale del 2000, si era contrapposto tanto da aver fatto temere semmai le conseguenze di un ritiro degli Stati Uniti dagli affari mondiali. Bush abbracciò pienamente quella virata e aderì – quanto convintamente, è materia per gli storici del futuro – a una variante del neoconservatorismo che miscelava temi liberali (i diritti umani) e conservatori (lo scontro di civiltà).Questa adesione ebbe un costo gravissimo soprattutto per gli europei, quando dall’Afghanistan si passò ad applicare la dottrina all’Iraq. Con l’aggressione all’Iraq del 2003 fu spezzato irrimediabilmente il rapporto fra l’Occidente e la Russia, proprio mentre l’espansione a Est sia della UE sia della NATO da un lato innescavano in Russia una sindrome da accerchiamento e dall’altro rendevano la UE paralizzata dai suoi stessi meccanismi (non) decisionali.
Dopo vent’anni, con gli Stati Uniti in una chiara fase di riflusso storico e la necessità di rispondere agli sconvolgimenti economici in atto, si apre forse una finestra di nuove opportunità.
Alessandro Zabban
L’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 ha cambiato la storia? Sicuramente la reazione a questo evento tragico ha inaugurato una nuova fase dell’imperialismo americano, non più solo interessato a mettere i bastoni fra le ruote ai paesi socialisti sopravvissuti alla caduta del Muro, ma anche impegnato in prima linea a rovesciare quei regimi del Medio Oriente o dell’Asia Centrale poco inclini a farsi mettere sotto il giogo politico di Washington. Dietro, i soliti interessi economici e geostrategici ma che hanno esacerbato e polarizzato le divergenze politiche e le diversità culturali fra Occidente e mondo musulmano. Sono stati avvelenati i pozzi e purtroppo l’acqua potrebbe rimanere contaminata per molti decenni.Il fastidio di tutta l’insostenibile retorica che accompagna ogni anniversario dell’attentato, sta proprio nel fatto che una simile tragedia sia stata usata come pretesto per portare morte e distruzione per venti lunghi e terribili anni. Una crociata senza senso partita in Afghanistan, continuata in Iraq, culminata con i terribili massacri delle “Primavere arabe” e finita, nell’immagine di un drammatico cerchio che si chiude, proprio in Afghanistan poche settimane fa con il ritiro scomposto delle forze di occupazione occidentali dal Paese.
Dovremmo ricordarci che accanto alle migliaia di vittime innocenti dell’attentato alle Torri Gemelle stanno centinaia di migliaia di civili altrettanto innocenti uccisi in Afghanistan e in Iraq. Se in America la retorica sull’11 settembre ha almeno la logica funzione di rafforzare lo spirito di appartenenza identitaria alla nazione, appare davvero vomitevole il modo vittimistico e servile con cui i media europei ricordano l’11 settembre, come se quella tragedia fosse l’unica degna di nota avvenuta nel mondo negli ultimi venti anni e, come tale, giustificasse la sanguinaria politica estera americana condotta negli anni immediatamente successivi.
Immagine di Jason Powell da flickr.com
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