Fra gli eventi editorialmente interessanti in coincidenza del duecentocinquantenario hegeliano (2020) vi è indubbiamente la ripubblicazione in seconda edizione, a due anni dalla scomparsa dell’autore, dello studio del prof. Fulvio Antonio Iannaco Hegel in viaggio da Atene a Berlino. La crisi di ipocondria e la sua soluzione (L’Asino d’oro edizioni, Roma 2021). Partendo da un’adesione convinta alle teorie dello psichiatra Massimo Fagioli, Iannaco intreccia una ricostruzione biografica del giovane Hegel dagli anni in seminario a Tubinga (1788-1793) fino al trasferimento a Jena (1800, concomitante con l’abbandono della professione di precettore privato per l’approdo alla docenza universitaria) con un’analisi genetica del pensiero dello Hegel maturo.
La tesi centrale è che la crisi depressiva («ipocondriaca») che colpì Hegel tra la prima metà del 1796 e l’inizio del 1799 – crisi cagionata, nella ricostruzione, da un connubio fra delusioni professionali anche di derivazione familiare e la disillusione per la degenerazione terroristica e poi l’intorbidimento della situazione politica nella Francia rivoluzionaria – sia stata da Hegel superata tramite un atto supremamente pavido di rinuncia e di accettazione integrale del mondo così come esso si presenta.
L’autore fa uso, a sostegno della propria tesi, di affermazioni rese da Hegel in contesti tanto privati (l’epistolario) quanto pubblici (frammenti non pubblicati e testi editi) e di concetti della psicanalisi quali la coazione a ripetere – la rinuncia, cioè, alla trasformazione dell’organizzazione umana – e il rapporto con la figura paterna. Proprio la morte del padre Georg Ludwig, a gennaio 1799, avrebbe offerto a Hegel l’occasione per trarsi fuori dalla crisi: la cospicua eredità ricevuta gli consentì un periodo di autosufficienza finanziaria bastante per potersi dedicare ad ottenere la libera docenza e a preparare la pubblicazione di un sistema filosofico che Iannaco interpreta come ormai compiuto già dal cosiddetto «Frammento di sistema» (1800), sette anni quindi prima della pubblicazione della Fenomenologia dello spirito.
Pur trattandosi di eventi tanto lontani da essere ormai consegnati all’immobilità dell’analisi storiografica, la determinante politica dell’attualità è più che evidente, soprattutto se si risale alla prima edizione del testo, avvenuta nel 1997, ovvero nell’immediato storico del tracollo dei sistemi socialisti in Europa. Composto dal punto di vista «della generazione che ebbe vent’anni intorno al 1968»[1], il testo seziona la nascita dello hegelismo fondamentalmente per individuare la radice del percepito fallimento del marxismo, ossia il non aver completamente reciso il legame con il filosofo di Stoccarda.
Permanendo sul terreno dell’analisi filosofica, evitando dunque una trattazione specifica della pure interessante questione psichiatrica, approcciarsi a questa accusa contro Hegel/Marx richiede di rispondere in disamina a due domande: qual è il vizio rinfacciato alla dialettica hegeliana? E quale alternativa avrebbe consentito invece quella radicale correzione che avrebbe evitato il fallimento del marxismo?
Il vizio della dialettica: la negazione della negazione
Questo vizio fondamentale, che è la natura stessa dello hegelismo e che poi avrebbe contaminato irrimediabilmente il marxismo fin dall’origine, è per Iannaco la negazione della negazione, che egli interpreta come la negazione del conflitto. Il momento sintetico, infatti, negando l’antitesi dimostra l’identità fra essa e la tesi, ossia l’identità degli opposti. La «dinamica della negazione», ossia della prima negazione, della negazione semplice, è «l’opposizione, il conflitto precedente alla conciliazione».[2] Negando la negazione viene dunque negato il conflitto, che quindi, una volta illuminato dal culmine del movimento dialettico, si rivela come illusorio, dissolto e pienamente spiegato nell’onnicomprensivo Lógos razionale dello Spirito. Il conflitto, per quanto «creduto, e tanto drammaticamente vissuto dall’individuo, era dunque solo apparenza provvisoria, solo certezza di un pensiero scisso, manifestazione superficiale, parziale, di un vero nascosto».[3]
Come una simile teorizzazione abbia potuto, nella ricostruzione di Iannaco, costituire un’efficace cura per l’ipocondria è già auto-evidente.
L’itinerario citato nel titolo dell’opera, «da Atene a Berlino», si riferisce per via metaforica al riorientamento politico di Hegel nel passaggio tra la gioventù e la maturità. In gioventù la “ateniese” ambizione hegeliana era stata infatti di costituire una Volksreligion (tradotta nel testo come «religione popolare»; forse più propriamente «religione del popolo», se non addirittura «religione civile») per fornire, sul modello della comunitaria libertà degli antichi, un’identità immediata fra individuo e società tramite «la partecipazione attiva del cittadino alla cosa pubblica»[4] e quindi colmare quell’abissale vuoto teorico che avrebbe sin da principio condannato la Rivoluzione Francese a non realizzare incontaminatamente i propri obiettivi. A questa ambizione lo Hegel che nel 1799-1800 ha superato la crisi di ipocondria, che diviene libero docente e si inserisce poi fruttuosamente nell’ambiente universitario, sostituisce il programma “berlinese”, ossia di legittimazione ideologica e giustificazione politica dello Stato prussiano.
Vi è un passo nell’opera hegeliana in cui il filosofo descrive in dettaglio le vicende del passaggio dalla gioventù alla maturità: l’aggiunta al § 396 della Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio per la seconda edizione (1827), dedicata alla ricostruzione di tutta la vita singolare dell’uomo dalla sua formazione nel grembo materno fino alla morte. Il passo è appropriatamente riportato per intero nel tomo di Iannaco; il passaggio chiave per la tesi del volume riguarda la presa d’atto, da parte del giovane, dell’impossibilità di realizzare ( = rendere reale) il proprio ideale: «In principio al giovane il passaggio dalla sua vita ideale nella società civile può sembrare un doloroso passaggio in una vita filistea. […] l’impossibilità di realizzare immediatamente il suo ideale può renderlo ipocondriaco. A questa ipocondria […] nessuno si sottrae facilmente. […] Quindi, se l’uomo non vuole soccombere, deve riconoscere il mondo indipendente e compiuto quanto all’essenziale, accettare le condizioni da esso fattegli».[5] Ancora più nette sono alcune frasi successive: «L’uomo per regola crede di dover acconsentire a questo adattamento solo per necessità. Ma in verità questa unità col mondo dev’essere conosciuta non come un rapporto di necessità, ma come il rapporto razionale».[6] Frasi così spietate sembrano porre un’approvazione definitiva alla tesi di Iannaco.
L’alternativa Hölderlin?
Resta da affrontare il secondo punto sopra accennato: quale fertile alternativa avrebbe dovuto percorrere Hegel, sia come singolo sia come pensatore, per non costruire un sistema che replicasse la coazione a ripetere, che replicasse la logica del dominio, tanto da trasmetterla anche ai suoi epigoni come il marxismo? L’autore lo dichiara: «un materialismo che non si basasse sulla negazione e sull’annullamento della realtà materiale umana ‘intera’, sull’annullamento cioè della realtà psichica umana, della dialettica psichica interumana e della capacità umana di creatività psichica».[7] L’onere di una simile svolta, a dire il vero, sembra dovesse ricadere più su Marx che su Hegel, tanto che come radice embrionale di tale ricerca viene citata una lettera del Marx diciannovenne al padre. Hegel, al tempo, era già morto da sei anni.
Anche per Hegel, tuttavia, a giudizio di Iannaco la vita privata avrebbe potuto fornire l’occasione per una guarigione non coattiva, non repressiva, e quindi anche per la formulazione di un diverso pensiero filosofico: in autunno 1796 iniziò a Stoccarda una relazione, sui cui contorni gli storiografi si sono divisi, con Nanette Endel; l’ultima lettera conservataci le è da lui scritta da Francoforte il 25 maggio 1798. Quella finestra sarebbe stata per Hegel l’occasione mancata per provare «il coraggio della bellezza di saper perdere la ragione tra le braccia di una donna»[8], il negarsi per sempre «la capacità di sottrarsi al dominio dell’assolutismo della ragione».[9]
Il punto di confronto biografico più immediato, in questo caso, è certamente quello del coetaneo, amico, compagno di seminario Friedrich Hölderlin, diffusamente citato come autentico controcanto della pavidità hegeliana. D’altro lato, però, proprio il destino di Hölderlin mostra la fallacia dell’alternativa che egli avrebbe simboleggiato, l’impercorribilità di quel sentiero senza andare incontro a conseguenze orribili: il «destino dei ribelli – patibolo, suicidio, follia – […] destino dei rivoluzionari francesi, di Hölderlin, di tanti altri giovani tedeschi di quella loro generazione».[10] Questi giovani tedeschi furono, oltre a Hölderlin precipitato nella follia, Kleist suicida, Novalis annientato dalla tubercolosi, l’amico Stäudlin suicida. Traspare con evidenza, tuttavia, anche un riferimento biografico personale di Iannaco all’ambiente dell’estrema sinistra extraparlamentare nel Lungo Sessantotto italiano.
In ogni caso, Hegel si nega la soluzione di Hölderlin, il quale «chiama la sua Susette con il nome di Diotima, perché Diotima fu il nome di colei che rivelò a Socrate il segreto di Eros, la conoscenza del vero»[11]; però, non solo la relazione con Susette-Diotima si infrange quando il marito di lei li sorprende insieme e caccia di casa il poeta[12], ma proprio mentre Hegel esce dalla depressione l’amico scivola senza rimedio nel male che lo porterà prima alla reclusione in manicomio e poi a un’autosegregazione vita natural durante.[13]
Sembra dunque che la realtà sconfessi la linea Hölderlin-Iannaco e premii invece quella di Hegel, che proprio l’autore del testo riassume in questi termini: «i grandi ribelli, che non trovano mai il punto della ‘rinuncia’ al proprio sogno, servono quasi sempre a spaventare tutti con il loro tragico destino».[14]
Riconciliare soggetto e oggetto: dalla narrazione di Hölderlin alla dialettica di Hegel
Naturalmente a questa lettura di uno Hegel giustificazionista, vero filosofo Vate dello Stato prussiano – in questo senza dubbio opposto a Marx, che dalla Prussia sarebbe stato espulso nel 1843 –, si oppone quella «della “fodera rossa” (un’espressione di Heine, che di Hegel fu allievo) […] cioè di una segreta continuità e coerenza rivoluzionaria di Hegel, solo dissimulata tatticamente da quanto andava pubblicando e dicendo, ma che avrebbe manifestato ai più intimi».[15]
Ma è interessante notare come un confronto tra Hölderlin e Hegel sia compiuto all’esordio del più popolare libro su Hegel uscito negli ultimi anni, Meno di niente.[16] Nella «Introduzione» Žižek sfiora appunto il tema “ateniese” coltivato dal giovane Hegel di come recuperare l’unità armonica con l’Essere tipica del mondo antico e andata perduta con lo sviluppo della società moderna. Accanto alle soluzioni a loro modo immediate di Schiller (l’unità con l’Essere può essere recuperata tramite il bello naturale e il bello artistico) e di Schlegel (è proprio l’irrequietezza della soggettività romantica a ricomporre questa unità), è Hölderlin a fornire una prima soluzione mediata, per certi aspetti contenente perfino germi dialettici: l’unità non può essere recuperata, se non appunto discorrendo della sua irrecuperabilità. La narrazione svolge la funzione di suturare l’incommensurabile. Hegel, nell’interpretazione di Žižek, avrebbe compiuto un passo ulteriore: avrebbe trasposto la separazione tra soggetto e oggetto all’interno dell’Essere stesso.
Secondo il pensatore sloveno nella formulazione di Hölderlin la partizione fondamentale non è più quella, banale, tra soggetto e oggetto, bensì quella tra la loro separazione e la loro unità. La tesi hegeliana dell’identità degli opposti avrebbe integrato, ma non annullato, quella hölderliniana della separazione degli opposti. Gli opposti sono quindi sia uniti sia separati; l’Essere, cioè, sia è unito con il soggetto sia ne è separato; vale a dire, il soggetto è separato dall’Essere proprio perché l’Essere come unione nasce da una separazione di separazione (da “meno di niente”, nella formula žižekiana): «ma, e ciò è fondamentale, questa doppia negazione non ci riporta a una qualche positività originaria».[17]
In questo senso, la riconciliazione narrativa prospettata da Hölderlin emerge non come soluzione secondaria a una separazione incommensurabile tra soggetto e oggetto, ma appunto come forma propria della loro identità: «in termini più paradossali: […] È l’intuizione intellettuale, che è solo una categoria riflessiva, a separarci dall’Essere proprio nel realizzare l’unità immediata del soggetto con l’Essere, mentre il percorso narrativo rende immediatamente la vita dell’Essere stesso».[18] La massima forma di questo percorso narrativo sarebbe, ça va sans dire, la Fenomenologia dello spirito.
L’interpretazione avanzata da Žižek, secondo la quale la hegeliana «pulsione sistematica a spiegare ogni cosa […] non significa che Hegel cerchi di collocare ogni fenomeno all’interno di un edificio globale armonico; al contrario, lo scopo dell’analisi dialettica è dimostrare che ogni fenomeno, ogni cosa che accade e che smarrisce la strada, comporta un’incrinatura, un antagonismo, uno squilibrio entro se stessa»[19], punterebbe naturalmente a uno Hegel costantemente, e inevitabilmente, critico del reale.
Notte preistorica e luce del lavoro: da Hegel a Marx
Vi è veramente, in Hegel, una simile linea di individuare nell’intimità dell’Essere la vena incancellabile dell’antagonismo? E in che rapporti starebbe un tale pensiero con la giovanile ambizione di ricostruire l’unità armonica di cui avrebbero goduto gli antichi Greci?
Qualche indizio in tal senso Hegel lo fornisce proprio nel primo scritto successivo alla crisi di ipocondria, la Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schelling[20]: «L’assoluto c’è già; altrimenti, come potrebbe essere cercato?».[21]
Hegel paragona poi l’assoluto – che appunto «c’è già», viene prima di tutte le cose – alla notte da cui tutto il mondo si è originato: «L’assoluto è la notte, e la luce è più giovane di lei, e la differenza tra di loro, così come l’uscire della luce dalla notte, è una differenza assoluta; il nulla è il primo, da cui è proceduto tutto l’essere, tutta la molteplicità del finito».[22]
Nella notte come origine di tutte le cose si sente l’eco della Genesi e, soprattutto, della Teogonia; è interessante però che il tema della notte venga ripreso due-tre anni dopo, nella Filosofia dello spirito jenese[23]: «L’uomo è questa notte, questo puro nulla […]. Ciò che qui esiste è la notte, l’interno della natura umana – il puro Sé. […] Questa notte si vede quando si fissa negli occhi un essere umano – si penetra in una notte che diviene spaventosa; qui ad ognuno sta sospesa di contro la notte del mondo».[24]
La notte negli occhi dell’essere umano sembra dunque rinviare, non solo per le ascendenze letterarie bibliche e teogoniche, al retroterra più arcaico e primordiale della vita umana, alle radici preistoriche; soprattutto se, come appare lecito ipotizzare, quel «fissare negli occhi» allude all’atto sessuale, a ciò che più di ogni altra cosa àncora l’uomo alla vita immediatamente animale.
Proprio il concetto di immediatezza è utile a comprendere quali rapporti l’assoluto che «c’è già», ciò che precede il percorso umano, intrattiene con il termine di tale percorso, la riunione sintetica con l’assoluto stesso. La luce che esce dalla notte, la scissione che spezza il primigenio che-c’è-già, è l’uscita dell’uomo dalla preistoria, il suo costituirsi in civiltà, il suo costruire società fondate sulla divisione del lavoro e sull’alienazione del lavoro, temi di cui Hegel si occupa in parte nella Fenomenologia dello spirito (dialettica servo-signore) e in parte nei Lineamenti di filosofia del diritto (sistema dei bisogni). In entrambe le opere, sviluppando la critica alla ragione illuministica astratta e alla rousseauiana concezione negativa della civilizzazione, Hegel argomenta che le disuguaglianze prodotte dalla divisione del lavoro sono inevitabili; tuttavia, proprio perché la divisione del lavoro nasce dalla specializzazione dei mezzi e dei bisogni, ossia dal percorso dell’uomo verso l’universale, essa non può non creare un’interdipendenza fra gli uomini che necessariamente lo Spirito come razionalità immanente nel reale articolerà come un organismo armonico.
Marx riprende il tema, rettificando però il processo dialettico dello Spirito nel movimento reale del comunismo, il «risolto enigma della storia»[25]. Questo assoluto non «c’era già» nella preistoria; tuttavia ciò che c’era nella preistoria è in esso tolto e conservato: l’immediatezza.
Nella preistoria, nella vita immediatamente animale, l’uomo è una mera manifestazione della natura, al modo in cui lo è uno scimpanzé o un batterio. Solo con l’avvio del percorso storico l’uomo perde questa immediatezza ed entra nel regno della scissione, cioè della separazione e della mediazione. In questo senso la notte che «c’era già» non è l’assoluto che andiamo cercando mentre lo costruiamo, pure se esso ne preannunciava il carattere di immediatezza.
[Continua nei prossimi giorni]
-
F. A. Iannaco, Hegel in viaggio da Atene a Berlino. La crisi di ipocondria e la sua soluzione, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2021, p. 3. ↑
-
Ivi, p. 32. ↑
-
Ivi, p. 33. ↑
-
Ivi, p. 71. ↑
-
G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817, 1827, 1830), a cura di F. Alderisio, A. Rondinella, Napoli 1932, cit. in F. A. Iannaco, Op. cit., p. 251. ↑
-
Ibidem. ↑
-
F. A. Iannaco, Op. cit., p. 114. ↑
-
Ivi, p. 129. ↑
-
Ivi, p. 197. ↑
-
Ivi, p. 29. ↑
-
Ivi, p. 117. ↑
-
Ivi, p. 118 (nota 13). ↑
-
Cfr. ivi, p. 84. ↑
-
Ivi, p. 28 (nota 20). ↑
-
Ivi, p. 167 (nota 20). ↑
-
S. Žižek, Meno di niente. Hegel e l’ombra del materialismo dialettico. Libro primo. Contiene: Il drink prima, La cosa stessa: Hegel, tr. it. Adriano Salani Editore, Milano 2013. ↑
-
Ivi, p. 10. ↑
-
Ivi, p. 25. ↑
-
Ivi, pp. 16-17. ↑
-
G. W. F. Hegel, Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schelling, in R. Bodei, a cura di, Primi scritti critici, Mursia, Milano 1990. ↑
-
Ivi, p. 17. ↑
-
Ibidem. ↑
-
Id., Filosofia dello spirito jenese, a cura di G. Cantillo, Laterza, Bari 1971. ↑
-
Ivi, p. 107 (corsivo nel testo). ↑
-
K. Marx, “Proprietà privata e comunismo” in Id., Manoscritti economico-filosofici del 1844, a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino 2004, p. 106. ↑
Immagine in apertura: Hegel con studenti (dettaglio), litografia di F. Kugler, 1828
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.