L’assessore alla sicurezza del Comune di Voghera ha ucciso un uomo con un colpo di pistola. La vittima pare avesse colpito il suo assassino con un pugno e si stanno ancora ricostruendo le dinamiche che hanno portato all’omicidio. Nel frattempo il Sindaco di questa realtà ha parlato di strumentalizzazioni, mentre Matteo Salvini parla di un episodio che è certo si configurerà come “legittima difesa”.
Sabato si è tenuta una manifestazione di protesta, per chiedere giustizia per Youns El Boussettaoui, mentre a livello nazionale ha ripreso spazio il dibattito sulla detenzione delle armi.
A partire da questa vicenda si sviluppa il Dieci Mani di questa settimana
Piergiorgio Desantis
Dalla casalinga di Voghera allo sceriffo di Voghera. Potrebbe essere il titolo di un giallo di Carlotto o Lucarelli, invece, trattasi di realtà e, tra l’altro, di una realtà che non si vorrebbe davvero aver necessità di parlare. Ci pareva che l’uso delle armi fosse un fatto relegato negli Usa, invece ce l’abbiamo già in casa e, forse, già da un bel pezzo. In questo caso, però, è un’esponente di una forza politica che, aldilà dello sviluppo delle indagini della magistratura, utilizza le armi su un uomo che, comunque, è disarmato. Si direbbe che siamo da un bel pezzo oltre la distruzione del concetto di comunità che affronta anche le problematicità degli individui che ne fanno in un qualche modo parte. Sarebbe stato giusto, forse, l’intervento dello stesso Presidente della Repubblica teso a ristabilire il patto tra persone e lo Stato stesso, secondo il principio della separazione dei poteri. A noi non ci rimane altro che continuare a provare a costruire una realtà che sia profondamente dissimile da tutto ciò.
Dmitrij Palagi
Il candidato sindaco del centrodestra a Milano ha ammesso di recarsi nell’ospedale in cui lavora con un’arma, che però – garantisce – non viene portata «in corsia, in mezzo ai bambini». Ovviamente la detenzione è regolare, giustificata dal fatto che nei turni notturni ha subito minacce.Prima della pandemia erano arrivate numerose richieste da parte di chi lavora nelle strutture sanitarie, per riaprire presidi di forze dell’ordine al loro interno, a seguito di alcuni episodi di aggressione registrati nei confronti del personale che ci lavora.
Ciclicamente si rinnovano le richieste di sistemi di videosorveglianza sui mezzi di trasporto e in altri luoghi, richiesti da chi percepisce forte insicurezza nello svolgere le proprie mansioni.
Il dibattito nato attorno all’omicidio di Voghera incrocia gli elementi più ampi legati al tema della legittima difesa, su cui da molti anni il centrosinistra dimostra di subire l’egemonia culturale delle destre, senza che nel Paese riesca a imporsi una visione strutturale che sappia proporre un’alternativa alla retorica del decoro e della repressione, con una teorizzazione della sicurezza e delle sicurezze radicalmente incompatibile con la Lega e Fratelli d’Italia.
La vittima dell’assessore sceriffo era un invisibile. Una persona di cui si preferisce dimenticare l’esistenza. Perché ci infastidisce l’idea che ci siano persone completamente abbandonate dalle nostre comunità, che non ci piace ammettere essere imperfette e devastate dal modello di sviluppo del capitalismo del XXI secolo, in cui siamo tutte e tutti merce da una parte e consumatori e consumatrici dall’altra.
Ci si sente insicure e insicuri? Allora è lecito armarsi. Si subisce un’aggressione? Il tipo di risposta e di reazione deve essere proporzionato alla paura che si prova, non ci sono altri parametri, in alcuni dibattiti pubblici, con una costante declinazione dei discorsi alla prima personale singolare, intrisi di vittimismo più o meno fondato.
Chiunque non provi rabbia e orrore per quanto avvenuto a Voghera ha perso un pezzo di umanità, che deve recuperare il prima possibile, innanzitutto per se stesso.
Jacopo Vannucchi
Il caso di Voghera possiede ahimè tutti i requisiti per essere letto come un evento simbolo, con una vasta portata sociale e nazionale. Non è soltanto un caso di cronaca nera, arricchito dalla coloritura politica.Partiamo dal dato di base: un uomo con problemi psichici è stato ucciso dall’assessore alla sicurezza della città. L’assessore alla sicurezza ha ucciso un uomo con problemi psichici.Perché quest’uomo aveva problemi psichici? Youns El Boussettaoui era un immigrato irregolare e senzatetto. L’esperienza del viaggio per l’Italia e ancor di più la legislazione italiana sull’immigrazione sono tali da costringere i migranti in uno stato parte criminale e parte fantasmatico, con evidenti ricadute negative sulla salute mentale. Provati dalla durezza della traversata, considerati criminali non appena pongono piede sul suolo italiano, gli immigrati sono bollati da un marchio legale che da un lato li sospinge giocoforza verso la criminalità e l’emarginazione, dall’altro li blocca in un disumano limbo: lo stesso El Boussettaoui era destinatario di due ordini di espulsione, farseschi perché ovviamente ineseguibili e infatti non eseguiti.
Risultando assente qualsiasi preoccupazione di inserimento sociale e lavorativo nel tessuto italiano, tantomeno lo Stato si preoccupa della salute mentale di questi esseri umani che vivono sul suo territorio. Le conseguenze sociali sono evidenti: la creazione di un imponente esercito industriale di riserva che fornisca manodopera a bassissimo costo e che tenga alta la tensione razziale nelle classi deboli della società italiana.
Veniamo all’uccisore. Che la routine di un assessore alla sicurezza sia quella di girare armato per la città è già un controsenso, perché lo stato di eccezione è il contrario di una condizione di sicurezza. Ma è ancor più rivelatore che quando l’assessore spara lo fa contro un malato mentale: un asociale, avrebbero detto i teorici del Partito nazista. Ovviamente l’assessore tiene alla sicurezza – la propria, come evidente dalla richiesta (sacrosanta) di scontare i domiciliari in località segreta dopo la pubblicazione dell’indirizzo di residenza.
Ma ancor più interessante è l’aspetto sociale. Nel lessico italiano Voghera è la tipica città di provincia, e in particolare della provincia settentrionale. È qui che si concentrano maggiormente gli aspetti che rendono tipico anche il caso di cronaca: la presenza di larga manodopera irregolare, la tensione razziale, la deliberata assenza dello Stato sulla salute mentale, la diffusione delle armi, la repressione degli “asociali”, la concezione privatistica dell’esercizio della violenza (ricordiamo anche il caso recente dei due rapinatori assassinati a Grinzane Cavour). Si tratta di degenerazioni da lungo tempo favorite dallo Stato, tramite la legislazione sull’immigrazione (2002) e sulla legittima difesa (2006, 2019). Tutte degenerazioni prodotte da governi di destra e mai smantellate.
Alessandro Zabban
Al di là del caso giudiziario di Voghera, servirebbe un dibattito serio su cosa implichi avere un’arma e su cosa significhi portarsela in giro. C’è purtroppo una cultura politica diffusa del “se l’è cercata”, che tende a giustificare indiscriminatamente l’uso di armi da fuoco contro presunti delinquenti, come se ci fossero vite di serie A e di serie B. È invece fondamentale ribadire che l’arma è innanzitutto un oggetto pericoloso e che dunque, sebbene il singolo si possa sentire più protetto, la sua proliferazione rende la società complessivamente meno sicura.
Ovviamente ci sono certe categorie di lavoratori, oltre ad una serie di individui, come quelli che hanno subito gravi manacce, che hanno tutto il diritto ad avere un’arma. Ma ci sono troppe persone che non hanno nessuna motivazione seria e realistica per possederla e soprattutto per andare in giro armati. Se un’applicazione estesa del Green Pass ha fatto capire che il bene collettivo è più importante della libertà individuale, il governo dovrebbe coerentemente applicare lo stesso principio al possesso di armi che va limitato il più possibile per evitare che queste finiscano nelle mani di chi non è in grado di custodirle in sicurezza e di chi vorrebbe portarle indiscriminatamente in qualsiasi posto, rendendolo meno sicuro per tutti.
Immagine da pixabay.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.