Articolo pubblicato per la prima volta il 2 giugno 2015
Intervista ad Antonio Guerrero, uno dei cinque cubani incarcerati negli Stati Uniti e rilasciati nel dicembre 2014 dopo molti anni.
A cura di Alessandro Zabban e Diletta Gasparo
1- Immaginiamo che da quando sei stato scarcerato, tu abbia girato molti posti per raccontare la tua storia. Quale è stata l’accoglienza che hai ricevuto? Quanta solidarietà viene dimostrata, ancora oggi, a Cuba?
Non ho in realtà viaggiato molto: nel mese di maggio siamo stati una settimana in Venezuela e ora siamo arrivati in Italia per questo viaggio. Pensiamo che ci saranno altre opportunità per ringraziare direttamente i molti amici nel mondo che ci hanno dato la loro sincera solidarietà. Ci manca ancora da fare un bel giro a Cuba: personalmente ho girato solo tre province cubane dopo la scarcerazione. Ho fatto un viaggio di una settimana a Santiago di Cuba, a Cienfuegos per due giorni e a Matanzas per un giorno… Tutto il tempo rimanente lo ho trascorso a L’Avana. Cercheremo di portare il nostro messaggio a più persone possibili, del nostro popolo e dei popoli amici. Per questo vi ringraziamo molto per la visibilità e l’aiuto che ci state dando con questa intervista, aiutandoci a raggiungere gli amici di Cuba che ci hanno sostenuti nella battaglia per la nostra libertà.
2- Dicevi che hai avuto modo di ritornare a Cuba, anche senza girarla per intero. Quanto è cambiata Cuba da quando l’hai vista per l’ultima volta?
Io sono partito da Cuba nel 1991, sono passati ventiquattro anni e in questo periodo ci sono stati moltissimi cambiamenti che, per come li vedo io, sono molto positivi per Cuba. Soprattutto per il fatto che Cuba è uscita da una situazione economica molto critica e che oggi vede, di fatto, un’altra realtà. La vita cubana oggi non è più caratterizzata dai black out e dalle carenze degli anni ‘90, del periodo speciale. Questo è il risultato di un grande lavoro del popolo cubano, dell’assetto politico e della direzione politica del paese. Sono stato in Italia anche negli anni ’90: non ho avuto modo di girarla come adesso ma ho notato, e gli amici italiani me lo hanno confermato, che anche qui negli ultimi ventiquattro anni ci sono stati moltissimi cambiamenti. Il mondo si muove e secondo me noi cubani ci stiamo muovendo nella giusta direzione, con nuovi amici, con un’America diversa, con un’America latina differente, con un’unità nuova che rende Cuba più forte e ci fa sentire più sicuri del fatto che possiamo ancora andare avanti.
3- Volevamo farti una domanda a proposito dell’esperienza latino americana, di cui Cuba è uno dei cardini fondamentali. Le cose stanno cambiando e in America Latina si sta dimostrando che ci può essere un’alternativa al modello neo liberista affermato a livello mondiale. Che futuro vedi? Come credi si evolveranno le cose?
Quello che succede oggi in America Latina non è solo il risultato dell’esempio che ha dato Cuba con la rivoluzione. È il risultato della stessa storia dei nostri popoli, della storia che ha scritto Simon Bolivar, della storia che ha scritto José Martì. Quello che avviene oggi è quindi un punto fondamentale di quella storia che lega i nostri popoli e collega la storia della lotta per l’indipendenza dal colonialismo spagnolo. La possiamo anche unire alla colonizzazione sottile degli Usa nei confronti dei nostri popoli. C’è stato un risveglio generale, a cominciare dalle elezioni democratiche che hanno visto vincere come Presidente il comandante Hugo Chavez nel 1999: è iniziata una trasformazione che tutti i popoli hanno notato e che vede un tentativo generale di scrollarsi di dosso questa ingerenza degli Stati Uniti. In questo nuovo processo democratico e rivoluzionario hanno cominciato a nascere non solo movimenti ma anche governi che hanno adottato la linea dell’antimperialismo ed hanno intrapreso un cammino che viene definito da alcuni populista ma che è invece socialista. Abbiamo un processo di questo tipo in corso in Nicaragua con Daniel Ortega, in Ecuador con Rafael Correa, in Bolivia con Evo Morales, ma anche in Brasile con Lula e oggi con Dilma Roussef e in Argentina con Cristina Kirchner, che è andata più volte a Cuba a visitare Chavez. Abbiamo anche l’esempio del nostro amico Pepe Mujica e in Salvador c’è una nuova presidenza. C’è un risveglio generale, non solo dei nostri popoli ma anche di tutto il resto del mondo, che si sta smuovendo con l’esempio dell’America Latina. Però gli USA non restano certamente con le braccia incrociate, e tanto meno le oligarchie del paese, e così cominciano a creare problemi. Il primo problema che creano è quello dell’informazione, anzi, della disinformazione, controllando i mezzi di comunicazione e provando a creare un’immagine del mondo che sia utile ai loro interessi. È un tema di cui potremmo parlare per molte ore e preferirei che tu intervistassi qualsiasi cittadino di questi paesi. A Cuba andiamo avanti e piano piano stiamo risolvendo problemi molto importanti ma i rivoluzionari non si possono stancare. Devi essere quindi disposto ad affrontare qualsiasi problema in qualsiasi situazione: la battaglia generale resta quelle delle idee, va creata una coscienza di ciò che è giusto. L’egoismo seminato dal capitalismo porterà il mondo alla catastrofe, annunciata dai più grandi pensatori dei nostri tempi e tutti siamo importanti al fine di provare a fermarla. È evidente che il capitalismo non ha risolto e non risolverà i problemi dell’umanità: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. I conflitti invece di risolversi si moltiplicano e il motivo di ciò è l’essenza del capitalismo: lo sfruttamento dell’uomo di un altro uomo affinché in pochi accumulino più ricchezze. Questo non lo ha detto né Fidel né Chavez, ma furono Marx ed Engels quando svilupparono una teoria che non è cambiata in niente ancora oggi: continuano sfruttamento e disuguaglianza e questa situazione può essere risolta solo con un sistema differente. Questo è ciò che ha dimostrato Cuba e per questo il “vicino del Nord” continua a cercare di cambiare il sistema. Ma noi cubani continuiamo a difenderci.
4- Raul Costro è stato in visitia ufficiale dal Papa ed è stato proposto di cancellare Cuba dalla lista degli “stati canaglia”. In questo mondo che cambia possiamo dire che cambia anche la percezione di Cuba che hanno altri paesi?
Cuba è ancora oggi nella lista degli stati canaglia e sottoposto al “bloqueo”. I paesi del mondo hanno votato contro il blocco criminale imposto a Cuba. Sanno benissimo che se dovessero mettere un paese in cima alla lista dei paesi terroristi quel paese dovrebbe essere lo stesso che ha creato quella lista. Ma noi cubani vediamo in modo molto positivo che il governo statunitense finalmente faccia quello che avrebbe dovuto fare o corregga il suo errore di averci messo in questa lista. Loro puntano ovviamente al beneficio economico che può derivare da un’apertura con Cuba però allo stesso tempo continuano a finanziare altri canali nel tentativo di distruggere la rivoluzione.
Il governo cubano partecipa a dei colloqui con quello degli Stati Uniti ma lo fa tenendo ben presenti quelli che sono i nostri principi e la rivoluzione: chiediamo loro solo di comportarsi in modo franco e non opportunista. Ovviamente i media danno un’immagine dei negoziati che suggerisce l’idea che Cuba si stia allontanando, piano piano, dalla rivoluzione ma noi siamo convinti nel portarli avanti con dignità e rigore. Ogni cubano sa che il nostro governo saprà trattare questo argomento in modo giusto. Ci possono essere interessi elettorali o di altro tipo che spingono gli Stati Uniti ad aprire i negoziati: Cuba ha sempre detto di volere le migliori relazioni possibili con il “vicino del Nord” ma queste devono essere oneste e non si può pensare che esse possano cambiare la nostra posizione di fronte a qualsiasi ingiustizia commessa nel mondo né che possano far arretrare la rivoluzione.
5- Parlavamo appunto del primo stato canaglia al mondo. Spesso parlando di Stati Uniti si mettono in evidenza scandali ed ingiustizie commesse relativamente al sistema carcerario. Molti intellettuali raccontano e denunciano come di fatto questo sia utile nel riproporre le disuguaglianze e le discriminazioni razziali, piaga del paese. Ci racconteresti qualcosa della tua esperienza in carcere?
Gli Stati Uniti sono il paese che ha il rapporto tra carcerati e popolazione più alto al mondo. E la radice di ciò risiede nei problemi della loro società: problemi razziali, legati alla droga e alla violenza. Problemi nella gestione dell’immigrazione. Il riflesso di questa società si ripercuote anche nella visione delle prigioni: anche se viviamo nel XXI secolo gli USA non hanno risolto alcun problema razziale. Se accendiamo la tv, oggi lo vediamo con tutta la chiarezza possibile. Questa è quindi una prigione dove tutti devono convivere. Il sistema carcerario statunitense è molto lontano dall’avere la funzione di rieducazione di persone con molti problemi. Quello che passa è la frustrazione di queste persone e il fatto che la grande maggioranza di loro quando viene scarcerata in poco tempo torna in carcere. Questo l’ho vissuto molte volte durante i miei anni di prigione. Carcerati che non erano in grado capire cosa fosse la libertà condizionata, che fosse un momento antecedente alla libertà vera. Quando tornavano per strada finivano nuovamente nel vortice della violenza, della droga. È un problema che va combattuto alla radice, molto profondo. Le carceri federali non possono essere comparate con la maggior parte della prigioni del mondo, per quanto riguarda le condizioni materiali. Ma il materiale non risolve il problema spirituale degli uomini che perdono di vista la loro ragione di essere al mondo. Non serve quindi a nulla avere una prigione con tanti televisori se quello che tu vedi ti fa desiderare un tipo di macchina che non ti puoi permettere o ti fa desiderare di essere famoso come un cantante che guadagna molti soldi. Entri nuovamente in un circolo vizioso perché fanno di te un essere umano egoista. Non si possono quindi risolvere questi problemi anche avendo la migliore prigione del mondo. Nelle prigioni il contatto con le famiglie, ad esempio, è molto limitato quando in realtà questo è essenziale per riabilitare un uomo, per farlo sentire circondato di affetto. Non serve a nulla stare in una prigione dove si mangia bene, dove c’è l’aria condizionata quando non puoi fare progressi, quando non riesci a cambiare. Un essere umano deve essere capace di cambiare e riconoscer i propri errori.
6- L’ultima domanda riguarda una cosa che ci sta molto a cuore. Tutti i media occidentali, anche quelli meno imparziali, sono costretti a riconoscere i progressi fatti a Cuba nel campo della sanità e dell’istruzione. La malnutrizione infantile è stata debellata e le università del paese formano i migliori medici al mondo. Ciò è dovuto ad una precisa scelta politica di investire in questi campi. E riesce a farlo un paese come Cuba con grossi problemi economici, mentre nelle democrazie europee abbiamo un processo inverso, sempre meno soldi per questo tipo di programmi. Cosa c’è all’origine di questa scelta?
Dobbiamo fare un po’ di storia. Prima del 1959 avevamo un altissimo livello di analfabetismo, le cure sanitarie erano limitate alle classi più abbienti, col potere. Il programma rivoluzionario e la lotta di Fidel promisero al popolo di Cuba che avrebbero debellato l’analfabetismo e che tutti avrebbero avuto accesso alla cure sanitarie. Con molto sforzo la rivoluzione è riuscita a garantire a tutti l’accesso a due dei diritti fondamentali di ogni uomo, dalla nascita alla morte. Molti dei medici che c’erano a Cuba prima della rivoluzione se ne sono andati dal paese ma si cominciò a creare nuovi dottori e si costruirono nuove scuole. I quartier generali dei militari batistiani furono convertiti in scuole e lì iniziò una trasformazione. In tutta Cuba c’era una solo università a L’Avana, dove andavano solo quelli con i soldi. Oggi ci sono università in tutto il paese e non ci studiano solo i cubani ma giovani da tutto il mondo. Non solo è stato sviluppato un efficiente sistema sanitario a Cuba ma abbiamo aiutato molti paesi in difficoltà negli anni, anche quando avevamo pochi medici. I medici cubani sono stati in zone in cui nessun altro aveva mandato aiuti: l’esempio più recente è quello della Sierra Leone spezzata dall’ebola. Ovunque ci siano problemi di salute ci sono migliaia di medici cubani disposti a partire ed aiutare il paese. Abbiamo anche una brigata internazionale altamente specializzata. Ci sentiamo orgogliosi di essere figli di un paese così. Non significa che abbiamo tutti i problemi risolti in: se non avessimo avuto il blocco, avremmo potuto fare un salto importante in molti campi sanitari. Il punto è che molte attrezzature e medicinali si fabbricano negli Stati Uniti: se non ci fossero stati il blocco e leggi ingiuste, avremmo potuto lavorare molto meglio in queste azioni di solidarietà internazionale. Ma se c’è una cosa che i cubani sanno è che dobbiamo difendere la grandezza del sistema sanitario e di istruzione costruiti con la rivoluzione. Quanti nel mondo hanno recuperato la salute e sono stati istruiti grazie al lavoro dei medici e degli insegnanti cubani? Siamo un paese piccolo con poche risorse ma la risorsa più grande è l’uomo, che è una risorsa molto importante. Allo stesso tempo ringraziamo i paesi amici che hanno più risorse che aiutano Cuba: la loro solidarietà ci motiva. Sono impressionato dal fatto che voi, così giovani, sappiate così tante cose della realtà di Cuba. Perché io posso sapere quella che è la realtà a Cuba ma in una società come questa vedere giovani con gli occhi aperti dà forza ad un rivoluzionario. Fa capire che ci sono molte persone al mondo che sanno quale è il cammino per arrivare ad un mondo differente, migliore e che, come voi, quando guardano a Cuba, sentono di non essere soli nelle idee e nelle battaglie. Quando noi vediamo voi abbiamo più forza.
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