Macerata: dopo l’attentato e la manifestazione
I fatti di Macerata hanno profondamente scosso il dibattito pubblico e acceso i toni di una campagna elettorale già rovente. La polemica imperversa su praticamente ogni aspetto della vicenda.
La tentata strage da parte di Luca Traini è stata interpretata in modo molto diverso dalle varie forze politiche: per alcuni si è trattato di terrorismo di matrice razzista e neofascista, per altri del gesto isolato di un pazzo, senza alcun mandante morale alle spalle.
C’è chi ha denunciato il gesto con forza e chi lo ha fatto invitando alla calma, chi ha esaltato Traini come un eroe e chi ha preso le distanze con tanti “ma”, insistendo sulla connessione con l’orribile omicidio qualche giorno prima sempre a Macerata di Pamela Mastropietro e più in generale sulla questione della sicurezza legata all’immigrazione.
Le polemiche non sono mancate neppure riguardo alla manifestazione antirazzista dello scorso sabato. Da una parte infatti si è assistito alla rinuncia di molte realtà della politica e della società civile che accogliendo l’appello del sindaco di Macerata Carancini hanno ritenuto preferibile non accendere troppo gli animi in una situazione potenzialmente esplosiva, dall’altra un altro pezzo di politica e società ha ritenuto invece doveroso e urgente riportare in piazza i valori antifascisti e antirazzisti in un Italia in cui i sentimenti xenofobi e neofascisti sembrano riaccendersi a dei livelli allarmanti.
I fatti di Macerata hanno del torbido fin dalle vicende della povera ragazza smembrata.
La giustizia poi è sempre molto brava a giustiziare e quindi ci ritroviamo con una bomba sociale innescata a quindici giorni dalle elezioni.
Chi cerca di ricavare voti dalla vicenda è semplicemente ripugnante.
Il Traini si è spinto a compiere il suo atto terroristico con la consapevolezza di avere un forte sostegno nell’opinione pubblica, inferocita e pronta ad essere aizzata.
La vera questione è se nessuno degli antifascisti si è forse domandato da dove provenisse quel consenso di fondo che Traini andava ad esaltare col suo gesto. Perché sarebbe molto più utile capire chi e perché fomenta e sostiene il terrorismo fascista, anziché limitarsi a esercitare una solidarietà che rischia di essere vana se manca del reale sostegno dell’opinione pubblica che preferisce barricarsi in casa.
Manca un vero approfondimento su cosa scateni il razzismo diffuso nel nostro paese (come viene fatto notare qui) e ancora una volta ci dimentichiamo di analizzare marxianamente prima la struttura e passiamo direttamente alla sovrastruttura ideologica.
I tassi di disoccupazione nel maceratese sono paragonabili a quelli della Grecia dove il fascismo è tornato con episodi ben più gravi. L’esodo dei giovani costretti a emigrare mentre si promuove un’integrazione forzata è un’altra possibile causa.
Insomma, preferiamo seguire Norberto Bobbio che diceva “finché ci sarà un solo fascista in Italia, non potremo considerarci un Paese civile”, dimenticandoci però che i fenomeni sociali sono ben più complessi dei nostri desiderata ideologici.
Abbiamo davanti a noi una forte contrapposizione tra chi fomenta il disagio degli autoctoni che è radicato nelle contraddizioni del modo di produzione capitalistico e una sinistra che si aggrappa alla Costituzione antifascista come ultimo baluardo di una civiltà che sta andando in pezzi.
Invece di interrogarci per ripensare l’antifascismo in modo da essere veramente in grado di dare una risposta a chi si trova a combattere per la sopravvivenza nell’esercito industriale di riserva, ci perdiamo spesso in proclami e sfilate solidali che finiscono esattamente laddove cominciano, cioè nelle periferie che stanno finendo in mano a Casapound.
Insomma, il problema non è Macerata. Il problema non è il singolo attentato terroristico in sé, semmai il non riuscire ad arginare il fenomeno fascista che prende piede nelle periferie.
Una persona ieri mi ha suggerito di accendere la televisione “immediatamente” perché era in corso una discussione sul film Lui è tornato, di cui ho avuto modo di scrivere sul Becco. L’intento era certamente segnato da buona volontà. Il problema è che ho ancora i brividi per lo spettacolo a cui ho avuto modo di assistere su la 7, in uno dei programmi di punta (Non è l’Arena).
Tale Massimo Giletti, affiancato da Alessandra Mussolini e un giornalista vestito da lord inglese decaduto impegnato a denunciare la sinistra radical chic, che insieme a Vittorio Feltri accerchiavano un indifeso Pippo Civati, a cui in rinforzo è arrivata la pronuncia anglosassone di Alan Friedman (ascrivibile a quella classe di persone che in televisione negli USA ha regalato simpatie all’avversario Trump).
Un breve servizio ha seguito una ronda di Forza Nuova. In conclusione un militante ha rivendicato di avere il busto del duce in casa, come le opere di Hitler: che problema c’è a dichiararsi fascisti e farsi una “cultura autonoma da quella dominante”?
Finito questo spettacolo di orrore pure il direttore di Libero ha messo in campo la sua irritante e non divertente ironia per spiegare che non saprebbe a chi rivolgersi anche se volesse manifestare la sua simpatia per il fascismo (bastava rivedere il video subito prima), mentre nel Paese imperversa l’illegalità dei centri sociali, tacitamente tollerata dai progressisti (che ignorano le condizioni dei poveri per tutelare i figli della borghesia, potremmo aggiungere per completare il delirio).
Tutto questo non è più accettabile.
C’è un problema di sistema politico, evidente.
Mi spiace scrivere questo Dieci Mani in prima persona. Forse è la stanchezza, forse la rabbia… ma facendo due lavori per poter pagare l’affitto e studiare, praticando politica in ogni altro momento libero, non accetto più di sentirmi ridotto a salottiero, solo perché fermamente antifascista (senza se e senza ma).
C’è una parte progressista che ha sempre più tollerato i fascisti in questi anni, condannando gli altri come “paranoici”, raccontando che mentre la sinistra radicale parlava di diritti civili, i riformisti erano gli unici a pensare ai lavoratori.
Ora che è venuto fuori come si è pensato alla classe lavoratrice con i governi di centrosinistra, ci si indigna per la barbarie mai governata (e forse male affrontata da chi di dovere, in termini di costruzione dell’alternativa).
Ma sentire certe cose è ben oltre il limite dell’accettabile. Qui non c’è da votare PD contro il fascismo, o non votare PD contro il fascismo, o fare (solo) più militanza sociale nei quartieri.
Va fatto tutto ciò che è necessario per dare una risposta chiara, unidirezionale, che indaga le cause, rimuove le possibili conseguenze, sa coordinare le diverse prospettive.
Cosa non serve inoltre? Un Renzi che dice una frase del tipo: io la manifestazione l’avrei pure fatta, ma il sindaco di Macerata non ha avuto il coraggio…
Non pochi benpensanti di sinistra, genuinamente antirazzisti, si sono affannati a rilevare la diversa reazione per lo strazio di cadavere di Pamela Mastropietro, morta per una overdose fornita da uno spacciatore nigeriano, e di Nicoletta Diotallevi, assassinata e fatta a pezzi dal fratello italiano.
Peccato che quando Debora Serracchiani aveva posto la questione all’attenzione pubblica – «La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese» – gli stessi benpensanti di sinistra, genuinamente antirazzisti ma evidentemente a digiuno di vita nelle periferie, avevano levato gli scudi contro la presunta legittimazione del razzismo.
Fui costretto all’epoca a far loro presente che esiste una via di mezzo tra il guidare pogrom di proletari autoctoni contro gli immigrati (Partito comunista francese, fine anni ’70) e il fregarsene bellamente dell’impatto dell’immigrazione sulle periferie (dove i proletari ci vivono), fidando magari su una naturale inclinazione di persone con poco capitale, patrimoniale e sociale, a fraternizzare con un esercito industriale di riserva non infrequentemente reclutato anche nella criminalità.
La frase «Allora prendili in casa te!», con cui tutti noi ci siamo scontrati, esprime in modo cretino e in un italiano povero l’insofferenza verso un problema reale: chi lamenta di avere un immigrato “in casa” si riferisce all’immigrato che sta “sotto casa”, spacciando, ubriacandosi, urinando per strada, provocando risse.
Ma veniamo alla gestione del fenomeno migratorio. Ad agosto 2017 Minniti disse di aver temuto per la tenuta democratica dell’Italia, visto il caotico moltiplicarsi degli sbarchi e i problemi di gestione riscontrati e segnalatigli dai sindaci. In questi giorni ha confermato che era proprio un caso Traini quello che temeva; ma è appunto questo impegno nella normalizzazione dei flussi ad avergli fatto guadagnare l’epiteto di nazista (lui, mica Traini) da parte della piazza di Macerata.
E parliamo della piazza. L’orientamento del Pd, contrario a una manifestazione antirazzista che insistesse sul tessuto di Macerata, è del tutto coerente con la scelta a tutela dell’ordine pubblico e contro la guerra civile fatta dal Pci nel 1944 e riconfermata negli anni di piombo. All’epoca la prospettiva dello scontro di piazza o addirittura insurrezionale veniva ovviamente discussa ai massimi livelli del Partito, ma Togliatti prima e Berlinguer poi resero chiaro che i comunisti, pur pronti a difendersi con ogni mezzo da un golpe fascista, avrebbero in primo luogo battuto la via della costituzione di un largo fronte politico a tutela delle istituzioni. Per la decisione di non scendere in piazza a Macerata uomini inesperti di storia patria, o magari semplicemente in malafede, hanno gridato all’ennesimo snaturamento politico del Pd. Il problema è Renzi, il problema è Minniti, non Traini che spara alla sede locale del Pd (con l’evidente tentativo di scatenare una risposta emotiva alla provocazione armata).
Ezio Mauro piange per questo snaturamento, e rimpiange la defunta cultura politica della sinistra. Ma quale? Quella del Pci è esattamente quella nel cui solco si è mosso il Pd. In realtà proprio Mauro a ottobre 2016 lamentò il mancato bilancio del comunismo italiano, nulla curandosi di quattromila condannati dal Tribunale speciale e ventimila caduti nella Guerra di liberazione (per non parlare dell’immane contributo politico e sociale). Forse la sua cultura lo invitava più banalmente ad essere in piazza a Macerata a partecipare ai cori pro-foibe.
Di fronte a dati e statistiche difficilmente contestabili e che indicano delle chiare tendenze (non c’è nessuna significativa correlazione fra immigrazione e criminalità), non si può che rimanere costernati nel constatare una capillare diffusione di sentimenti xenofobi e di idee che associano la criminalità all’immigrazione.
Ma il modo migliore per alimentare questa tendenza sarebbe quello di continuare a fare quello che buona parte della sinistra ha fatto negli ultimi anni: approcciarsi con saccente disprezzo nei confronti di quelle fasce sociali dei “penultimi”, spesso impoverite dalla crisi, per le loro idee e visioni del mondo.
Se la percezione della minaccia dell’immigrazione esiste ed è diffusa, non si può ignorarla e la sinistra non può mancare nella sua missione storica di stare dalla parte dei deboli.
Ma non si può nemmeno seguire la filosofia securitaria dei vari Minniti che rappresenta l’idealtipo di una politica che piuttosto che orientare l’opinione pubblica tenda ad adattarvisi.
Un conto è il rispetto per chi esprime del disagio e delle preoccupazioni nonostante le riconduca erroneamente all’immigrazione e allo straniero, altro discorso è assecondare queste associazioni semplicistiche di idee (immigrazione = più criminalità e meno lavoro) perché portano voti.
Non è così che la sinistra può ritrovare un legame solido con quel popolo che dovrebbe rappresentare. Per questo scendere in piazza a Macerata è stato doveroso e necessario. Nascondersi per paura che una parte consistente dell’elettorato non avrebbe appoggiato e condiviso quella manifestazione, con la scusa di non voler surriscaldare il clima politico, è vigliacco e nel lungo termine controproducente.
In un contesto storico preoccupante, segnato dall’avanzata di concezioni e sentimenti neofascisti e criptofascisti, chiunque si riconosca come antifascista non dovrebbe tergiversare nel manifestare i propri principi solo per paura di perdere voti.
Una sinistra che rinuncia ai suoi valori fondativi è in ogni caso destinata alla sconfitta.
Immagine di copertina liberamente ripresa da www.reteantifamc.it
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.