Questa è la versione integrale di “Dogville”. Quasi 3 ore di film. È stato dedicato all’attrice Katrin Cartlidge, deceduta a soli 41 anni per una complicazione legata a una polmonite. Avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Vera (che poi andò a Patricia Clarkson).
Il regista danese Lars Von Trier è il genio del male più provocatore, nichilista, anticonformista e rivoluzionario del cinema mondiale. Ateo convinto, tanto che si compiace del male che trionfa sul (finto) buonismo della retorica e della (finta) morale cattolica. Dapprima creò il “Dogma 95” con Thomas Vinterberg e altri colleghi connazionali: un decalogo di regole, espresse in un manifesto pubblicato nel 1995, per la creazione di film basati sui valori tradizionali della recitazione e del tema, escludendo l’uso di effetti speciali o tecnologie elaborate.
Ovvero l’antitesi di quello che stava accadendo a Hollywood.
Questo “delirante” regista è ovviamente anche quello degli eccessi: alcool, droghe a go-go, provocazioni, sesso, ipocondria, fobie. Ha raccontato di aver scritto “Dogville” in appena 12 giorni grazie agli effetti di alcool e stupefacenti.
A molti Von Trier non piace proprio perché per la sua innata capacità di provocatore. Come ai tempi de “Il grande capo” (memorabile satira sul marcio dei rapporti nel mondo del lavoro) o nel maggio 2011 al festival di Cannes. In concorso con “Melancholia”, alla conferenza stampa dichiara: “Cosa posso dire? Capisco Hitler. Ha fatto molte cose sbagliate, assolutamente, ma posso immaginarmelo seduto nel suo bunker, alla fine … mi immedesimo, sì, un po’. Noi nazisti siamo piuttosto bravi a fare le cose su larga scala”.
Apriti cielo. Il film era in lizza per la Palma d’Oro (per la cronaca vinse meritatamente “The Tree of Life” di Terrence Malick), ma venne indagato per apologia di nazismo e di fatto escluso dalla competizione. Il film doveva vincere qualche premio, ma lo scherzo gli costò caro. Le case di distribuzione mondiali strapparono i contratti del film per non finire nel tritacarne mediatico. Von Trier fu costretto a dire di non essere per nulla nazista o antisemita, ma che si trattava di uno scherzo fatto ai giornalisti, chiarendo dettagliatamente le ragioni del gesto.
Poi non possiamo dimenticare il dittico di “Nymphomaniac”, che scandalizzò il mondo intero con le avventure di una donna ninfomane.
Nel 2017 la cantante Bjork, protagonista di Dancer in the dark (2000), lo accusò di molestie sessuali sul set.
Nel 2018 tornò a Cannes con lo splendido “La casa di Jack” (trovate la recensione del film divisa in due parti qui e qui). Von Trier venne costretto a firmare dei contratti per non destabilizzare la manifestazione. Ma la vendetta non tardò a manifestarsi. Molti spettatori scapparono dalla sala prima della fine per la crudezza di alcune scene. Vi invito invece a vedere il film perché è un’opera di grandissima qualità, rarissima per il cinema europeo di oggi.
Nel 2003 realizzò “Dogville” coinvolgendo una decina di produttori prevalentemente europei. Il regista danese entrò nell’estremo: spettatori e personaggi “torturavano e si facevano torturare” per mostrare una visione cinica, spietata e animalesca della società in cui viviamo. Perfino Nicole Kidman e Ben Gazzara, dopo l’esperienza sul set, decisero di non lavorare mai più con Von Trier (anche se poi lei ritrattò girando una piccola parte in “Nymphomaniac”).
Vi sembrerà una follia ciò che dico, ma Dogville è un’opera di gran classe. È un incrocio tra cinema e teatro filmato senza compromessi, con notevoli influenze di Brecht e Nietzsche.
Al posto dei luoghi autentici e della luce naturale, siamo proprio su un palco teatrale con pochissime scenografie, gli spazi sono disegnati sul suolo e rappresentano simulazioni di ambienti (le case, la chiesa, la scuola, i negozi). Ovvero l’esatto contrario dell’iperrealismo del “Dogma”. Sull’esempio di Brecht, il film è diviso in nove capitoli e un prologo, come un romanzo, e raccontato dalla voce di un narratore ironico. La favolosa introduzione “i residenti di Dogville erano brave e oneste persone e amavano la loro cittadina”. Praticamente come quando i vicini dopo una strage familiare dicono alla televisione che “erano brave persone, deve essere successo qualcosa”.
America, anni 30. Dogville è il nome di un paesino periferico tra le rocce. Vanta ben 9 abitazioni e 15 abitanti: non esistono pareti e porte (non è un caso), linee e muri invisibili finalizzati a mostrare le azioni. Come nelle prove a teatro, dove ci sono i segni per terra per le posizioni degli attori e delle attrici o degli arredi per le scenografie. Sembra un’isola felice, ma niente è come sembra.
Non capita spesso di vedere film così. La situazione appare finta, irreale, ma Lars Von Trier ci vuole calare in un contesto senza maschere. Il messaggio arriva subito: la società deve uscire allo scoperto, abbandonare il capitalismo neoliberista, i nascondigli e abbracciare un nuovo umanesimo. La vita di questa cittadina viene scossa quando la misteriosa forestiera Grace (Nicole Kidman, mai così brava) si deve nascondere da misteriosi gangster. Scopriremo alla fine il perché.
Tom Edison jr (Paul Bettany) è uno scrittore ed è il primo che si interessa a lei. Soprattutto perché sotto sotto si è preso una sbandata per Grace. A Dogville le viene offerta protezione in cambio di un lavoro. Nel momento in cui Grace rifiorisce in questa nuova comunità, il regista danese si diverte continuamente a rompere, a scardinare ogni logica.
Ed ecco che gli abitanti di Dogville si manifestano come sono realmente: i “dogvilliani” sono pochi, schivi, abitudinari e piccolo borghesi. “C’è parecchio da fare qui a Dogville, considerando che nessuno ha bisogno di niente” – ammettono candidamente.
Grace è quel qualcosa che per forza scardinerà la loro routine. E’ la luce o, come suggerisce il nome, la Grazia. Incarna la bellezza, il coraggio, ma anche l’ingenuità. Lars Von Trier si ispira a “Viridiana” di Bunuel. Il filo conduttore che lega la comunità sono i tradizionali precetti cattolici (la carità, la compassione) che però all’occorrenza vengono usati dagli esseri umani per i propri scopi. Per costringere gli altri a fare lo stesso viene esercitato lo sfruttamento tramite la paura.
Così come con Grace: inizialmente il favore si trasforma in lavoro, poi diventa qualcos’altro. Dogville è impossibile da cambiare, con abitanti che vivono nei loro perenni paradossi, come nella Sicilia del “Gattopardo”. Tra questi ci sono il padre di Edison, Tom senior (Philip Baker Hall), che usa le sue facili filosofie “cercando” una malattia che non arriva, il cieco che non ammette di esserlo fingendo con Grace di vedere il tramonto dalla finestra, una donna sposata che non concepisce il tradimento, ma che non vede la frustrazione del marito (Stellan Skarsgard, come al solito magistrale) ingabbiato dal matrimonio.
Ogni abitante di Dogville ha il suo conflitto, ha eretto una sorta di muro che però chiaramente vediamo alla distanza con il passare dei minuti. Così avviene il più classico dei ribaltamenti: gli abitanti di Dogville diventano subdoli, avidi, viscidi ed egoisti, individualisti, gelosi e rancorosi. Presto Grace subirà violenze psichiche e fisiche atroci, verrà accusata di furto e di aver importunato gli uomini della cittadina. Le verrà addirittura messo al collo una corda legata a un sasso per renderla ancora più ridicola agli occhi di tutti. La realtà invece è del tutto opposta a quella che appare.
Il finale è straordinario, si coglie tutta l’essenza della poetica di Lars Von Trier e il senso di questa gigantesca operazione (considerate chi è il capo dei gangster e capirete). Nell’epilogo Grace risponde che «se c’è un paese senza il quale il mondo vivrebbe meglio, è proprio Dogville».
Come il paese immaginario creato da Lars Von Trier, il mondo occidentale va avanti in una grigia monotonia. La gente raramente sogna, ma spera che accada qualcosa. Ma è solo apparenza. Sono ormai piuttosto radicate un appiattimento della vita verso il basso, una diffusa ignoranza e una leggerezza che spesso sfocia nell’indifferenza generale.
Fonti: BadTaste, Comingsoon, Cinematografo, Movieplayer, MyMovies, Cinefacts, La scimmia pensa
Regia **** Interpretazioni **** Fotografia ***1/2 Sceneggiatura ****1/2
DOGVILLE (EDIZIONE INTEGRALE) ****
(Danimarca, Svezia, Francia, Norvegia, Italia, Paesi Bassi, Finlandia, Germania, USA, Regno Unito, Giappone 2003)
Genere: Drammatico
Regia: Lars Von Trier
Sceneggiatura: Lars Von Trier
Cast: Nicole Kidman, Stellan Slarsgard, Patricia Clarkson, Paul Bettany, Philip Baker Hall, Chloe Sevigny, James Caan, Ben Gazzara, Siobhan Fallon Hogan
Durata: 2h e 57 minuti (versione Integrale), 2h e 15 minuti (versione cinematografica)
Fotografia: Anthony DOD MANTLE
Produzione: Zentropa
Distribuzione: Medusa
Trailer Italiano qui
In concorso al 56° Festival di Cannes
La frase: Se questa è la città che tu ami allora hai veramente uno strano modo di dimostrarlo.
Immagine da www.wikipedia.org
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.