È innegabile che l’Italia si può descrivere con il famoso verso del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.” Altrettanto è il primo capoverso sopra citato di “The ghost of Tom Joad”, capolavoro del 1995 di Bruce Springsteen, che descrive alla perfezione l’America e il “new world order”. Anche se, va detto, la canzone si ispira al romanzo “Furore” di John Steinbeck, pubblicato nel 1939. Tutto ciò si riflette nel film “Nomadland”, vincitore del Leone D’Oro a Venezia 2020. Un’edizione particolare, speciale, in piena emergenza Covid.
Ho avuto modo di vedere il film in lingua originale e voglio condividere con voi, come sempre, la mia opinione. Ma oltre a Venezia c’è anche un po’ di Firenze in questo exploit. Più precisamente una piccola casa editrice indipendente, altamente riconoscibile per i testi e per la scelta dei libri. Edizioni Clichy è il suo nome ed è stata fondata nell’ottobre 2012 a Firenze (sede in via Tripoli, a due passi dalla Biblioteca Nazionale) da Giovanna Ceccatelli, Franziska Peltenburg-Brechneff, Tobias Peltenburg-Brechneff e Tania Spagnoli. Nel catalogo “Nomadland” di Jessica Bruder è uno dei titoli di punta perché è materiale scottante. Bruder attinge dai classici americani (Cormac McCarthy, John Steinbeck), dal mito del western, dal cinema di John Ford (Ombre Rosse), le montagne di Anthony Mann, le strade di Jack Kerouac, ma anche dai testi delle canzoni di Bruce Springsteen. Su tutte ci sono diversi elementi di quel capolavoro chiamato The ghost of Tom Joad (1995) che riecheggia, a sua volta, le avventure del protagonista del romanzo “Furore” del già citato Steinbeck.
La scommessa della scrittrice di farne un soggetto cinematografico ha convinto una regista giovane americana, Chloe Zohe, a farne una sceneggiatura. Quest’ultima è un’immigrata di origini cinesi che si è formata tra Londra e New York. Si è fatta notare prima con l’indipendente “The Rider” e poi con “Songs my brother taught me” (presentato a Cannes 2015 nella sezione “Quinzaine”). Visto il successo di questo film, è stata chiamata dai Marvel Studios a dirigere il cinecomic “Eternals” (nel cast Angelina Jolie) che uscirà probabilmente tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022. Potete immaginare quanto la ami Donald Trump, da sempre amico delle minoranze e degli immigrati. Il progetto “Nomadland” ha convinto la leggendaria attrice Frances McDormand, da sempre attivissima nel sociale, a far parte del cast per attrarne finanziamenti e distribuzione. La Fox Searchlight, “costola” del cinema d’autore della Fox finita poi nel calderone di Walt Disney, ha comprato i diritti americani ed internazionali (Italia compresa). Al momento non sappiamo quando uscirà da noi, sicuramente non prima della primavera. La scrittrice Bruder ci ha messo del suo, infilandoci anche il tema dell’identità femminile, ma anche della dignità umana e di una società ormai in forte declino, a cui manca totalmente empatia e rispetto del prossimo.
Veniamo alla storia. Siamo a Empire, nel Nevada. Nel 1988 la fabbrica dove lavora Fern (Frances McDormand) ha chiuso i battenti, lasciando lei, il marito e tanti altri senza lavoro. E chiaramente senza reddito.
Poi la donna è rimasta sola. Il marito Bo è morto dopo una lunga malattia. La vita di Fern si divide tra un camper dove ha ammucchiato i suoi (pochi) averi e un garage dove tiene i ricordi di Bo. Proprio questa perdita fa scattare la scintilla: usare la strada come maestra di vita, per riempire un vuoto. “Non sono una senzatetto, ma una senza casa. È diverso” – dice Fern a chi la conosce sul cammino. La regista Zohe riempie le attese del film affidandosi a campi lunghi e agli elementi della natura: paesaggi assolati di un’America rurale e arida e la roccia, citando il libro Desert Solitaire di Edward Abbey: “Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e muoiono […] a volte penso, senz’altro in modo perverso, che l’uomo è un sogno, il pensiero un’illusione, e solo la roccia è reale. Roccia e sole”. Pare di rivedere sprazzi di Terrence Malick, che non a caso ha fornito la sua consulenza per realizzare questa lezione di cinema. E si vede.
Nomadland è un viaggio nell’America della deindustrializzazione e della crisi economica. I protagonisti sono persone autentiche, semplici e genuine che hanno perso tutto: il lavoro, il ruolo nella società, la giovinezza. Eppure ci dice la regista questa gente non molla mai, ha mille risorse insospettabili. Frances McDormand, nella vita reale moglie del regista e sceneggiatore Joel Coen, ancora una volta fa la differenza, come una vera fuoriclasse sa fare. Nei suoi occhi, nelle rughe è evidenziato il cuore pulsante del film.
A differenza però dei Joad del libro “Furore” di Steinbeck, le persone come Fern hanno accettato questo destino, ma hanno avuto la resilienza di riadattarsi. Tirando fuori il meglio da quello che possono avere. E’ una sorta di lotta non violenta, un “Into the wild” on the road per persone non più giovani, con la musica di Ludovico Einaudi a far da colonna sonora. Per Frances McDormand un ruolo davvero lontano dalla madre vendicativa di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” (con cui vinse l’Oscar). Alla prossima edizione degli Academy Awards, che straordinariamente si terrà il 25 aprile, probabilmente sarà ancora ancora protagonista.
Come loro Fern non ha diritto a sussidi statali, non ha l’età per trovare un lavoro decente. La cosa strana è che è disposta a far di tutto, perfino lavorare per Amazon. Perché pagano bene. Il colosso dell’e-commerce di Jeff Bezos è responsabile della situazione in cui Fern e suo marito sono precipitati: ha distrutto di fatto le economie locali (Italia inclusa), pagando tasse bassissime rispetto ai profitti realizzati. Fern decide di fare la nomade vivendo alla giornata con lavori saltuari, allontanandosi ogni volta che le viene prospettata una permanenza. Dopo averci battuto il capo una volta, inevitabilmente cambi. Ma alla base c’è una scelta, che i più non capiscono, che verrà svelata solo nel finale.
Dice perfettamente Gianluca Pisacane di Cinematografo: “Nomadland è il fantasma del capitalismo, l’ombra di un sogno che non si è mai concretizzato, l’immagine di una terra ricca di opportunità che si è dissolta”. Come neve al sole.
Il film della Zaho è un western senza armi, fatto di spazi e sguardi, ma ha il pregio di arrivare al cuore dello spettatore. E’ il tocco femminile (finalmente libero di esser rappresentato!) che fa la differenza. Zaho capovolge il clichè del western solo maschile con un raffinato esempio al femminile senza pistole e cappelli. La regista restituisce dignità alle persone, alla provincia, agli sforzi quotidiani di persone umiliate ed invisibili che non possono accumulare ricchezza. L’unico neo del film (non poteva essere altrimenti) è la lentezza della narrazione. Però finalmente non si parla di famiglie borghesi annoiate, ma degli ultimi, dei vinti. Il tema fondamentale è una rappresentazione umana delle persone e disumana del capitalismo (globale) che le esaspera. Infatti accanto a McDormand e Strathairn, ci sono i nomadi reali che interpretano se stessi. Il cinema italiano deve necessariamente prendere esempio da questo splendido film: basta guardare i volti dei personaggi secondari per capire che c’è qualcosa che rievoca il nostro passato. Si chiamava Neorealismo e questo movimento ha insegnato a tutti a fare cinema in tutto il mondo.
Fonti: Bad Taste, Comingsoon.it, Mymovies.it, Cinematografo.it, Cinematographe.it
Regia ***1/2 Interpretazioni ***1/2 Musiche ***1/2 Fotografia ****1/2 Sceneggiatura ***1/2
NOMADLAND ***1/2
(USA 2020)
Genere: Drammatico
Regia e Sceneggiatura: Chloe Zohe
Cast: Frances McDormand, David Strathairn, Bob Wells, Linda May
Durata: 1h e 49 minuti
Fotografia: Joshua James Richards
Musiche: Ludovico Einaudi
Distribuito da 20th Century Studios (Walt Disney)
Tratto dal libro “Nomadland” di Jessica Bruder – Edizioni Clichy
Trailer Italiano qui
Vincitore del Leone d’Oro al Festival di Venezia 2020
LA FRASE: Non sono una senzatetto, sono una senza casa. Non è la stessa cosa.
Men walkin’ ‘long the railroad tracks Uomini che camminano lungo i binari della ferrovia
Goin’ someplace there’s no goin’ back Diretti da qualche parte dove non c’è ritorno
Highway patrol choppers comin’ up over the ridge Elicotteri della stradale spuntano dalla collina
Hot soup on a campfire under the bridge Una zuppa bollente sul fuoco sotto un ponte
Shelter line stretchin’ round the corner La fila per un ricovero che fa il giro all’angolo
Welcome to the new world order Benvenuti nel nuovo ordine mondiale
Families sleepin’ in their cars in the southwest Famiglie che dormono nelle loro macchine nel Sud-Ovest
No home no job no peace no rest Niente casa, niente lavoro, niente pace, niente riposo
(da “The ghost of Tom Joad” – Bruce Springsteen – 1995)
Immagine da www.cinematographe.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.