Sull’affossamento dello ius soli
A 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione ci troviamo di fronte alla fine della XVII legislatura, a parere unanime di molti opinionisti di destra e di sinistra una delle peggiori se non la peggiore in assoluto.
Una legislatura iniziata con la celebre sentenza della Corte Costituzionale che dichiarò le Camere legittime soltanto per mantenere la “continuità dello Stato”. La ragion democratica avrebbe richiesto di procedere al voto seguendo il sistema elettorale che era venuto fuori dalla pronuncia.
Ovviamente le pressioni dell’UE e dei mercati internazionali non lo permisero e si procedette votando la fiducia a governi presieduti da politici nemmeno mai indicati come candidati a premier in campagna elettorale.
Nel Dieci Mani di questa settimana tenteremo un bilancio di questa legislatura appena conclusa e proveremo anche a delineare le prospettive politiche future in vista delle elezioni fissate il 4 marzo.
Nel numero 3/2013 della rivista Il Mulino, – particolarmente bello e interessante, con il disegno di una simpatica coturnice in copertina – in un articolo che fa parte della sezione monografica dedicata alle opinioni sul mandato dell’allora presidente Napolitano, il professor Cesare Pinelli scriveva “[…] Il 25 e 26 giugno 2006 si tenne un referendum costituzionale sulla riforma della Seconda Parte della Costituzione, che venne respinta dalla stragrande maggioranza della maggioranza assoluta del corpo elettorale. Con un Parlamento da tempo diviso tra forze politiche ostili o estranee alla Costituzione del 1948 e nipoti dei costituenti sempre incerti se far notare la discendenza, quel referendum segnalava che la legittimazione popolare della Costituzione repubblicana era meno precaria di quanto ritenessero partiti e commentatori”.
Parole che si potrebbero tranquillamente applicare ad uno degli sforzi legislativi maggiori della legislatura appena conclusa, la bocciata riforma Renzi-Boschi, un’operazione che ha compiuto il miracolo di dividere la maggioranza bulgara di forze “ostili o estranee alla Costituzione del 1948” per poi addirittura riunirne tronconi (M5S, Lega, estrema destra, estrema sinistra ostile al compromesso costituzionale) attorno alla difesa proprio di quella Carta. Seppellite per sempre nella caciara di una riforma pessima questioni serie e meritevoli come il monocameralismo, archiviato (più o meno) Matteo Renzi come leader politico, la legislatura si è trascinata per qualche altro mese.
Il bilancio non è granché positivo. Poche riforme di civiltà, in questi anni di staffetta Letta-Renzi-Gentiloni, come la legge sul “dopo di noi” o sul testamento biologico, o ancora sulle unioni civili, larghissimamente in ritardo e quindi sostanzialmente immeritevoli di lode, tanti punti assolutamente negativi, dal cosiddetto jobs act alla cosiddetta buona scuola alla promozione a ruoli di primo piano di personaggi squallidi come Minniti. Una legislatura il cui populismo razzistoide e reazionario (ottanta euro, la vergogna assoluta del patto libico antimigranti, ecc.) purtroppo con ogni probabilità troverà come erede un populismo al quadrato, a firma 5 stelle quanto marchiato centrodestra o PD, dopo le elezioni del prossimo marzo.
C’è solo da sperare che la legittimazione popolare di quella Carta del ’48 si riveli, ancora una volta, nel lungo periodo più forte della peggior politica dall’Unità ad oggi.
Il Presidente della Repubblica nella sua omelia di fine anno non riesce a far altro che augurarsi un’ampia partecipazione al voto, nonostante l’Italia sia il Paese europeo ad aver subito negli ultimi 10 anni il peggior incremento della povertà. I dati sull’impoverimento sono spaventosi, eppure si continua a voler spacciare una crescita semplicemente basata sull’incremento dei profitti. La politica continua a voler nascondere la testa sotto la sabbia cercando di lanciare proposte tampone, come il Rei lanciato neanche un mese prima dello scioglimento delle camere dal PD di governo. E ovviamente anche l’altra coalizione di centro-destra non si tira indietro al rilancio di operazioni di marketing elettorale sulla pelle dei più poveri. Il lancio del reddito di dignità è solo il rilancio al piatto da poker della campagna elettorale che sembra voler pagare il bluff migliore.
La dura realtà però ci riporta ad un popolo che proprio dall’ultima legislatura ha subito un vero e proprio voltafaccia da parte dei propri rappresentanti democraticamente eletti (vedi immagine). Alla faccia della volontà popolare su cui si fonda la tanto glorificata Costituzione. Il livello di trasformismo è talmente elevato che una vera proposta di sinistra chiederebbe l’inserimento del vincolo di mandato per garantire il rispetto del voto, ma le prospettive politiche delle varie formazioni di sinistra restano fossilizzate e fuori dalla realtà.
Da MdP a Liberi ed Eguali fino a Potere al Popolo le proposte politiche restano confinate in un recinto di conformismo e sottomissione al potere europeista.
Una novità rilevante potrebbe derivare dal cancellamento dallo Statuto del M5S del divieto di alleanze che potrebbe avere conseguenze notevoli nella capacità governativa di quella che è la più grande forza politica italiana, finora confinata all’opposizione.
Purtroppo come dato di fatto altrettanto fondamentale resta anche quello dell’esistenza di un’ampia fascia di sfiduciati che difficilmente si recherà alle urne, nonostante le omelie istituzionali. Questa è una sconfitta della democrazia gravissima che nessuno è ancora riuscito a sanare. Il trasformismo delle forze politiche e l’aggiramento delle regole costituzionali nella formazione degli ultimi governi certamente non aiuterà a recuperare il collante tra popolo e suoi rappresentanti, cioè tra cittadini e istituzioni. Le prospettive verso il 4 marzo non sono delle più rosee insomma e le istituzioni sembrano non voler accorgersene.
Il discorso di fine 2017 del Presidente Mattarella coincide con un 2018 che si apre con l’ufficializzazione di una lunga campagna elettorale, apertasi in modo confuso il 4 dicembre 2016, con l’esito di un referendum costituzionale rivelatosi fatale per Renzi (almeno fino ad ora). Il problema della politica (di cui i partiti sarebbero l’articolazione costituzionale in termini di partecipazione) è che ignora sistematicamente l’invito istituzionale a concentrarsi sull’orizzonte del futuro, dandosi come priorità la necessità di lavoro all’interno di ogni famiglia (per quanto la stessa forma-famiglia meriterebbe una riflessione articolata, distante in modo epocale dagli incentivi richiesti dall’area cattolica del Paese).
Tutto si fa emergenza e lo stesso disegno di riforma della Carta andava nella direzione di un rafforzamento dei poteri esecutivi del Governo, mentre il Parlamento continua a venire svilito nella sua dignità, specularmente alla mancata partecipazione delle classi lavoratrici alla vita della Repubblica. L’elettore non si sente vincolato e così può fare anche il suo rappresentante, scommettendo sul fatto che comunque sarà chiamato a rendere conto della sua collocazione solo a termine della legislatura (quindi si spera a distanza di cinque anni).
Il centrodestra sembrava virare a destra, ma obiettivamente su flussi migratori e sicurezza l’ultimo Governo (tra Minniti e Orlando) ha saputo mostrare un volto poco adatto alla retorica di Salvini e Meloni, facendo pagare il conto a migliaia di esseri umani sull’altra sponda del Mediterraneo. Berlusconi sembra quindi potersi permettere di non inseguire Lega Nord e Fratelli d’Italia, mentre rimangono in ombra i centristi variamente assortiti.
Il Movimento 5 Stelle continua la sua parabola di governo e di opposizione, senza coinvolgere realmente l’astensionismo, ma limitandosi a raccogliere l’evolversi del peggio che la Seconda Repubblica ha saputo produrre tra l’elettorato diffuso.
Il disastro è a sinistra. Quella in Parlamento era “di governo”, visto il deludente risultato di Rivoluzione Civile. Cinque anni non sono bastati per una ricomposizione effettivamente capace di costruirsi dall’opposizione in un programma di alternativa. Per l’ennesima volta i simboli elettorali sulla scheda elettorale (Liberi e Uguali, Potere al Popolo – dando per scontato che nessuna “falce e martello” riesca a raggiungere le firme necessarie per aggiungersi all’offerta elettorale di questa area) sono nati a poche settimane dal voto.
La politica non dovrebbe vivere solo nelle istituzioni e nelle urne. Lo chiederebbe la Costituzione (non quindi un programma rivoluzionario). Sarà sempliciotto ridurre tutti i problemi elencati in questa fase di bilanci parlamentari a una mancanza di analisi e pratica da parte di chi vorrebbe recuperare la tradizione inaugurata con l’opposizione alla monarchia e al fascismo, ma allo scrivente non viene in mente una diversa chiave di lettura altrettanto convincente.
Immagine liberamente tratta da www.camera.it
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.