Questo film è dedicato a tutti quelli che, ancora oggi, stanno scappando. Soprattutto a quelli della mia generazione che non sono più giovanissimi, ma che sono entrati a pieno regime nell’età adulta. Siamo una generazione di mezzo: troppo vecchi per cambiare il mondo sul serio, troppo giovani per avere la leadership di un Paese ancorato a tradizionali plurisecolari e vizi antichi.
Trent’anni fa usciva in Italia “Mediterraneo”, terzo film della “trilogia della fuga” dopo Marrakech Express e Turnè. Salvatores prese spunto da una frase del filosofo francese Henri Laborit: «In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare». Ovviamente in senso ideale: dalle responsabilità e dai problemi della vita quotidiana, nell’ottica del disimpegno, oppure dalla delusione che nasce dalla consapevolezza di aver dato tutto e di non aver ottenuto nulla in cambio. Salvatores anticipò artisti del calibro di David Fincher e Danny Boyle che, rispettivamente con Fight Club e Trainspotting, parlarono dello stesso tema qualche anno dopo in maniera radicalmente diversa e assai coraggiosa. Un percorso artistico, quello di Salvatores e della sua banda di collaboratori, ricco di insidie.
Un film che dimostra che il cinema si può fare con semplicità, ma che ha bisogno della collettività, dell’unione di intenti. E’ una pellicola italiana a tutti gli effetti. Mai nessuno come Salvatores lo ha raccontato così bene. Tant’è che il regista girò “Mediterraneo” in fretta e furia e poi scappò in India. Aveva paura che la magia dei primi film fosse svanita e che il responso del botteghino fosse pesante. Invece grazie a questa storia la sua carriera decollò perché nel 1992 vinse l’Oscar per il miglior film straniero (potete vedere la premiazione qui). Un premio per molti esagerato. Dopo di lui, fra gli italiani, ci sono riusciti soltanto Tornatore (Nuovo Cinema Paradiso), Benigni (La vita è bella) e Sorrentino (La grande bellezza). Sembra strano, ma nel 1992 “Mediterraneo” agitò diverse polemiche. Soprattutto perché era l’anno di “Lanterne Rosse” di Z.Yomou. Oggi che sono nel mezzo tra i 30 e i 40 anni, sento particolarmente questa storia. Credo che sia parte di me. Chiunque si può sentire Montini, Noventa, Colasanti, Lo Russo o Farina, anche se non ha mai combattuto in guerra. “Avevamo tutti più o meno quell’età in cui non hai ancora deciso se mettere su famiglia o perderti per il mondo” – dice all’inizio il tenente Montini.
Da sempre noi italiani ci sentiamo impotenti di fronte agli eventi (prendiamo ad esempio i continui cambi di governo degli ultimi 10 anni). Finora questo film l’ho sempre vissuto bene, adesso inizio a sentire quella sensazione di amaro di cui la storia parla. Capisco l’urgenza del regista, classe 1951, di raccontare una storia del genere visto che ha vissuto la fase della ricostruzione dell’Italia, del boom economico, ma anche del Sessantotto e della “Milano da bere”.
Tanti dicevano che Salvatores stereotipizzava i trentenni italiani di allora. Invece non è vero. Molti non avevano capito che era il film era un grido d’aiuto come un “HELP” scritto su un’isola deserta, un atto di rivolta contro la società e quella vita stantia e ripetitiva che veniva offerta. La fuga era l’unica cosa che contava, che poteva salvarti, darti un’alternativa, purtroppo solo apparente, di fronte ad una prospettiva di vita veramente desolante. Stava maturando l’inizio della decadenza.
Nell’Italia di quegli anni iniziava a serpeggiare il tramonto degli ideali, mentre la febbre della “Milano da bere”, Tangentopoli e il delirio consumistico si propagavano per tutto lo stivale. Oggi in tempi di pandemia la cosa è ancora più visibile: infatti, soprattutto tra i giovani, l’indifferenza regna sovrana. Un brutto segnale. Il berlusconismo ha fatto il resto. Dietro le false promesse, dopo le Notti Magiche di Italia 90, Salvatores profetizzava il dramma che si stava per consumare con oltre 3 anni di anticipo. Il regista ci ha visto lungo. La contraddizione più stridente è che tra i produttori del film c’erano Cecchi Gori e lo stesso Berlusconi (la Penta Film era di loro proprietà).
La grandezza di questo film è rappresentata principalmente dal tempo in cui si svolge l’azione e dalla semplicità. Può accumunare un settantenne e un ventenne. Entrambi sentiranno il peso della questione perché parla delle loro vite. Se l’avessero ambientato negli anni Ottanta o Novanta, pochi l’avrebbero compreso. Sarebbe apparso peggio di un film fantascientifico alla “Nirvana”.
Infatti siamo nell’estate del 1941. La Seconda Guerra Mondiale è iniziata da due anni. L’Italia dal 10 giugno 1940 è entrata in guerra ed è alleata di Adolf Hitler. Un gruppo di giovani soldati italiani, capeggiati dal tenente Montini (Claudio Bigagli), arriva in un’isoletta greca dell’Egeo “che non conta un cazzo” (l’isola di Kastellorizo, Megisti in greco). Con lui ci sono Farina (Giuseppe Cederna), il sergente Lo Russo (Diego Abatantuono), Colasanti (Ugo Conti), il disertore Noventa (Claudio Bisio), i fratelli Muraron (Memo Dini e Vasco Mirandola) e Strazzabosco (Gigio Alberti).
Pochi mesi prima, il 18 novembre 1940 a piazza Venezia, Benito Mussolini aveva fatto un discorso contro le sanzioni all’Italia della Società delle Nazioni (conseguenti all’invasione coloniale dell’Abissinia). «Affermai cinque anni fa: spezzeremo le reni al Negus. Ora, con la stessa certezza assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia in due o dodici mesi poco importa, la guerra è appena cominciata!»
Il 23 febbraio 1941, a distanza di tre mesi dal primo discorso, Mussolini fece un annuncio sulle imminenti sorti della campagna di Grecia, affermando che “fra poco verrà il bello”. Sappiamo poi che arrivò la tragedia.
Tant’è che perfino Totò nel film “Totò contro Maciste” (1962) ironizzò il fatto con il famoso “Armiamoci e partite. Io vi raggiungo dopo”.
Molti di questi soldati sono disillusi da questa missione. L’ambientazione bellica è solo un pretesto. Tant’è che il sergente Lo Russo non ha problemi a dire che “noi dovremmo spezzare le reni alla Grecia con questi quattro deficienti qua?”
Francamente non si può dargli torto. Ed è proprio il personaggio di Abatantuono alla fine a dire il vero scopo del film: “Volevamo cambiare l’Italia e non siamo riusciti a cambiare niente”.
Il fascismo infatti è menzionato una volta sola, i soldati italiani sono persone disilluse e della storia gliene frega il giusto. Infatti quando arriverà l’armistizio dell’8 settembre 1943 (con il conseguente cambio di fronte), lo apprenderanno dal pilota Carmelo La Rosa (Antonio Catania). La sua entrata in scena con il ricognitore in avaria è una delle scene più iconiche del film, nel bel mezzo di un’improvvisata partita di calcio tra amici (vedi qui). Un’altra volta lo sport italico per eccellenza è usato come pretesto da Salvatores, dopo l’epico match Italia – Marocco di “Marrakech Express” (poi riutilizzato da Aldo, Giovanni e Giacomo in “Tre uomini e una gamba”).
Da quel momento l’isoletta greca si ripopola, i soldati fanno amicizia con la gente del posto. Tra queste c’è la prostituta Vassilissa (Vanna Barba) che fa l’amore con tutti, ma che si innamora del timido Farina.
Il film ricalca lo stato di degrado, di incuria, di abbandono in cui il cittadino italiano medio ancora oggi è vittima. Tutto ciò si contrappone alla splendida fotografia di Italo Petriccione che mostra tutta la bellezza delle isole greche (al ritmo del tema musicale di Bigazzi e Falagiani).
Quel viaggio avrebbe cambiato per sempre la vita di quei soldati, senza che loro stessi riuscissero ad accorgersene.
Francamente l’Italia di oggi sembra ancora peggio di quella descritta in “Mediterraneo”. C’è un’onnipresente sensazione di ansia e vuoto che porta le persone a credere che i loro sforzi siano inutili. Vedo ancora oggi molti giovani che cercano di scappare. Non per codardia, ma solo per ritrovare un benessere almeno temporaneo.
Io invece cerco ogni giorno di provare a lottare, ma alla fine della giornata mi rivedo in Lo Russo quando dice: “sai che ogni volta che vedo un tramonto mi girano i coglioni?”
L’Italia di oggi dopotutto non è meno fallimentare di quella del 1940 o di quella del 1991. Ecco perché “Mediterraneo” è ancora oggi attualissimo. E quello splendido finale (lo potete vedere qui https://www.youtube.com/watch?v=CLSkDT7LriI) ci riporta alla situazione attuale: meglio rimanere sperando che le cose cambino o darsi alla fuga?
FONTI: Bad Taste, Comingsoon.it, Mymovies.it, Cinemaniaco
Regia **** Interpretazioni **** Fotografia **** Sceneggiatura ****1/2
MEDITERRANEO ****
(Italia 1991)
Genere: Commedia, Drammatico
Regia: Gabriele Salvatores
Cast: Diego Abatantuono, Claudio Bisio, Giuseppe Cederna, Ugo Conti, Antonio Catania, Claudio Bigagli
Sceneggiatura: Enzo Montellone
Durata: 1h e 35 minuti
Fotografia: Italo Petriccione
Musiche: Giancarlo Bigazzi e Marco Falagiani
Prodotto da Cecchi Gori
Distribuito da Penta Film
Trailer qui
Vincitore dell’Oscar 1992 come Miglior Film Straniero
La frase: Volevamo cambiare l’Italia e non siamo riusciti a cambiare niente.
Immagine da www.wikipedia.org
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.