Le proteste contadine contro il governo di Modi hanno nuovamente mostrato la loro enorme forza lo scorso 26 gennaio, giorno della Festa della Repubblica Indiana. In una Nuova Delhi blindata, il contrasto fra le celebrazioni ufficiali e i tumulti che scoppiavano a pochi isolati di distanza è stato a dir poco straniante.
Da una parte un’ordinata e pulita parata militare accompagnata dai festosi e colorati carri folcloristici a simboleggiare la potenza militare e la diversità culturale dell’India, dall’altra i lacrimogeni, le barricate, le cariche della polizia, i blocchi stradali e gli scontri.
I contadini indiani stanno protestando dallo scorso settembre contro le nuove leggi agrarie volute dall’esecutivo di destra guidato dal Primo Ministro Narendra Modi e si sono accampati ai margini della Capitale indiana da mesi, portandosi con loro trattori, pentole, cibi e persino la paglia sulla quale poter dormire. Hanno intenzione di rimanere là fino a quando Modi e il suo governo non faranno marcia indietro sul pacchetto di liberalizzazioni agrarie fatto passare in Parlamento in tutta fretta e senza consultarsi preventivamente con le organizzazioni dei coltivatori e con i partiti delle opposizioni. Ma più che alla forma, i contadini indiani guardano preoccupati alla sostanza delle leggi di stampo liberista che rischiano di sconvolgere la loro già precaria esistenza. Ancora oggi in India i contadini costituiscono circa il 50% dell’intera forza lavoro ed hanno dunque un peso sociale e politico estremamente significativo.
Tradizionalmente, il comparto agricolo indiano è fortemente regolato. Il modello dell’APMC (Agriculture Produce Marketing Committee Act) introdotto nel 1964 obbliga i contadini a vendere i loro prodotti solo sui mercati regolati dal governo (i “mandis”) tramite degli intermediari che aiutano i contadini a vendere sia alle imprese statali che a quelle private. In questo sistema i principali cereali hanno un prezzo fisso (MSP – Minimum Support Price), che permette ai piccoli agricoltori un certo grado di stabilità economica rispetto alle fluttuazioni del mercato[1]. Il sistema, sebbene criticato perché eccessivamente rigido e poco capace di generare innovazione, ha però notevoli vantaggi. Non solo con questo sistema di tutele i piccoli contadini hanno potuto sopravvivere autonomamente (l’86% dei contadini indiani possiede meno di due ettari) ma il meccanismo dei mandis pubblici garantisce anche ai governi dei vari stati indiani un notevole flusso di entrate fiscali derivanti dalla compravendita. Inoltre, la supervisione pubblica aveva istituito la prassi virtuosa da parte degli organismi pubblici di accumulare scorte strategiche di derrate alimentari che venivano poi ridistribuite alla fascia più bisognosa della popolazione[2].
Il nuovo sistema permette invece alle grandi imprese dell’agroalimentare di comprare direttamente dai contadini, senza vincoli di prezzo e ponendosi in concorrenza con il vecchio modello. Le nuove leggi permettono inoltre ai privati di accumulare derrate alimentari per vendite future più redditizie (che è sostanzialmente il potere di speculare sui prodotti agricoli). Sebbene Modi abbia detto che non intende smantellare il sistema dei mandis né abolire il sistema dei prezzi stabiliti dallo Stato, di fatto il modello risulta fortemente indebolito lasciando ampio spazio alla sete di profitto dei giganti dell’industria agricola. Inoltre, molti temono che le liberalizzazioni siano solo il primo passo per trasformare il settore primario in un sistema di concorrenza pura, eliminando gradualmente tutte le sovvenzioni e le limitazioni statali. Il rischi concreto è dunque quello di un rapido passaggio a un sistema di contrattazioni private in cui i piccoli contadini non avrebbero alcun potere contrattuale di fronte alla strapotere dei grandi gruppi dell’impresa agricola[3].
L’intensità delle proteste contadine, partite dal Punjab, ma poi estesesi a macchia d’olio su tutto il territorio indiano, ha obbligato il governo di Delhi a ricercare il dialogo con le organizzazioni dei contadini che hanno però messo nero su bianco la loro volontà ferrea di continuare le manifestazioni fino a quando le leggi non saranno ritirate. Così, i primi round di negoziazioni si sono chiusi con un nulla di fatto.
Così la situazione resta tesa. Se da una parte il governo Modi si dice disposto al dialogo, dall’altra sta facendo di tutto per delegittimare, reprimere o silenziare le proteste, anche ricorrendo a mezzucci come quello di togliere la connessione internet nelle zone ai margini di Delhi dove gli agricoltori si sono radunati ed accampati in massa[4]. Le proteste, che hanno avuto solo qualche sporadico episodio di violenza, sono rimaste per lo più pacifiche. I leader contadini hanno intanto annunciato uno sciopero della fame per la giornata del 30 gennaio 1948, in concomitanza con l’anniversario dell’assassinio di Gandhi, a voler rimarcare il carattere pacifico ma tenace della protesta. Ma gli eventi dello scorso 26 novembre mettono in luce come la situazione possa esplodere in una rivolta violenta di dimensioni inimmaginabili da un momento all’altro.
Nerendra Modi dopo la vittoria elettorale del 2019 sta accelerando il processo di realizzazione della sua agenda neoliberista, ricercando lo scontro con la Cina e un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti. La sollevazione dei contadini indiani rischia di rappresentare però un ostacolo ai progetti del suo governo. Anche se riuscisse a stroncare le agitazioni contadine, rischierebbe comunque di perdere ampie fette di consenso nella fascia più estesa dell’elettorato indiano.
Immagine da commons.wikimedia.org
[1]Vedi https://www.bbc.com/news/world-asia-india-54233080 o https://www.aljazeera.com/news/2020/9/23/why-are-indian-farmers-protesting-against-new-farm-bills
[2] https://www.citystrike.org/2020/12/28/3818/
[3] https://www.aljazeera.com/economy/2020/12/1/why-are-thousands-of-indian-farmers-protesting
[4] https://www.theguardian.com/world/2021/jan/30/india-blocks-mobile-internet-at-sites-of-farmers-protest
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.