Le culture occidentali hanno sempre mostrato una forte fascinazione per un certo “medioevo leggendario”. Ma, mentre per larga parte dei fruitori della narrativa eroica e fantastica il medievalismo nella narrativa, nel cinema e nel gioco, rappresenta solo una forma di evasione dalla realtà, per le destre il medioevo fantastico rappresenta una connotazione identitaria tanto forte da confondersi con la realtà e farsi discorso politico.
Leonardo Croatto
I riferimenti a un certo fantasioso passato mitico sono una costante dell’estrema destra. Il fenomeno è trasversale a tutte le destre vecchie e nuove, dal Giappone alla Russia, dalle nazioni europee agli Stati Uniti. Seppur in declinazioni del tutto locali, il nazionalismo mitologico è un tratto costitutivo di ogni destra conosciuta; i fascisti d’ogni tempo e d’ogni paese traggono dal processo di costruzione del proprio passato mitizzato la convinzione d’appartenere ad un’aristocrazia esoterica schiacciata dalla decadenza scatenata dalla modernità.
Nella descrizione di Furio Jesi, la storia, per la destra, è materia amorfa che viene modellata secondo necessità, è un contenitore disordinato di fatti e persone da cui pescare quanto necessario per costruire la propria fantasiosa autonarrazione. Per la destra la propria storia inventata, il proprio perduto passato mitizzato servono a riempire di valori, di spiritualità, di comunità e di appartenenza un’esistenza presente fatta di miseria culturale e di disagio: la nostra società era una volta – quando era giudata dall’aristocrazia spiritualmente illuminata di cui si ritiene essere gli eredi – ordinata e armoniosa, la modernità ha portato al decadimento di quei valori di cui quell’aristocrazia era custode e ha consentito agli estranei di inquinarne la purezza primigenia. Il posto degli “estranei” può comodamente essere assegnato a seconda del contesto storico: ebrei, immigrati, zingari, messicani… quello che è a portata di mano.
Ognuno di questi “miti tecnicizzati” ha una sua rappresentazione caratteristica collocata nello spazio e nel tempo, ma sottende processi cognitivi omologhi caratterizzati dalla similitudine del linguaggio: il culto della violenza e della morte, i valori unificanti, l’obbedienza e l’appartenenza, la terminologia guerresca. Simile è, di conseguenza, anche modello di società che questo pensiero sottende.
Le teorie del complotto rappresentano l’espressione più pop di questo processo mitopoietico, ma tutte le ridicole messinscene della destra obbediscono alle stesse dinamiche che costituiscono il legame sotterraneo tra l’elmo vichingo di Borghezio, il costume da sciamano di Jake Angeli, il richiamo ai crociati del Ku Klux Klan, la passione di Himmler per il Graal e portano indietro fino alle primissime reazioni contro l’illuminismo da parte della nobiltà europea terrorizzata dagli ideali di uguaglianza promossi dalla Rivoluzione.
Le invenzioni pseudo-storiche della destra, anche quando appaiono come ridicole pagliacciate, hanno però una enorme capacità di fascinazione. Tutte queste costruzioni narrative, che non di rado si rafforzano attraverso la spericolata appropriazione di produzioni culturali di autori che niente hanno a che fare con la destra, risuonano con immaginari e archetipi profondamente radicati nella nostra cultura; per questo motivo la demistificazione, lo smascheramento, la narrazione e la rinarrazione sono azioni fortemente politiche che deve essere agite con costanza e determinazione.
Silvia D’Amato Avanzi
Ogniqualvolta si ricorda che la fiaba di Rumpelstiltskin è un veicolo di stereotipi antisemiti, una parte di pubblico cade dalle nuvole; una parte addirittura corre alla ricerca “storica” online per negare l’ovvio a suon di “ma esistevano versioni fin dall’antichità” e simili.
Quando parliamo di fascinazione delle destre per il Medioevo parliamo in realtà dell’epifenomeno di un immaginario ampiamente egemone, lo stesso che filtra nelle opere narrative e nelle rappresentazioni cinematografiche. Anzitutto è utile ricordare che non si tratta del Medioevo così come restituito dallo studio della storia, ma di un Medioevo “fantastico” immobile (malgrado i dieci secoli di durata!) su un immaginario confezionato dal Romanticismo e perdurato nella cultura europea successiva, non dissimilmente da altri costrutti romantici (un esempio su tutti, la codifica dei ruoli di genere), forse perché parallelamente alla filosofia si imponeva la classe che la incarnava: la borghesia. Il recupero del Medioevo è per i romanticismi europei la riscoperta/invenzione di miti di fondazione su cui radicare gli idealismi nazionali: un Medioevo che ben poco ha a che fare con la storia, non per inadeguatezza degli approcci storiografici quanto perché l’intento non era affatto storiografico; un Medioevo mitico che rappresenti esemplarmente (ma anche insindacabilmente, in virtù della sua distanza temporale) i valori condivisi dal popolo-nazione. È il Medioevo evocato, ad esempio, per il popolo tedesco dalle fiabe dei fratelli Grimm: quali che fossero le versioni preesistenti, la presunta raccolta di “folktales” è risemantizzata su misura per insegnare ruoli sociali e condividere un’appartenenza culturale presunta radicata nel passato.
Non sorprende che questo Medioevo fantastico di ordine sociale, identità nazionali innate, rapporto mistico di reciproco riconoscimento con la terra risuoni con le rivendicazioni delle destre estreme attuali. Sorprende piuttosto la difficoltà da parte delle sinistre di tracciare l’ascendenza di certe categorie di immaginario, continuando invece a sorprendersi quando le destre “usurpano” una storia che in realtà non è mai stata storia, ma mitologia di parte. Lì è definito l’immaginario che ancora oggi fa da sfondo a tanta narrativa, anche fantasy “di cappa e spada”, tanta poetica del singolo eroe predestinato che incarna le aspirazioni e i diritti di un popolo e salva la terra di appartenenza – anche quando scritta con l’intento di trasmettere messaggi di sinistra, mai emancipata da simboli che trovano il loro posto nella narrazione di destra.
Senza negarci l’aspetto di intrattenimento, è fondamentale fruire criticamente di questo immaginario. Se non riusciamo a riconoscere l’antisemitismo in Rumpelstiltskin, infatti, c’è da temere che non riusciamo a riconoscerlo neanche quando si presenta nel quotidiano.
Francesca Giambi
Il ritorno al medioevo, come possiamo vedere anche nella letteratura dell’800, per noi italiani, è stato quello di distaccarsi dalla matrice classica e di attingere ad una “fantasia” mai forse utilizzata in modo sistematico (esempio il nostro Berchet).
Diverso è il romanticismo tedesco con il recupero dei miti popolari e del paganesimo barbaro… Da Wagner inizia un recupero di tutti i simboli e divinità del Walhalla, poi ripreso ed alimentato nei primi del ‘900 da Von List.
Ma questo recupero del Medioevo come è possibile che sia diventato esaltazione del nazismo?
Qui vorrei diversificare le due linee: in Italia la Lega (Nord, di Bossi) recuperava la figura di Alberto da Giussano in funzione di una libertà dei lombardi dall’Imperatore Federico I (vedi il film “Barbarossa” del 2009, finanziato dalla stessa Lega Nord del super destrorso regista Martinelli) ma oggi il ritrovo a Pontida non vede più tutto questo, i lombardi hanno le corna celtiche e sembrano abbandonare una matrice territoriale sposando le più distanti e vergognose simbologie norrene. Questo è successo proprio perché la destra si è sempre di più “fascistizzata” e, purtroppo, accoglie parte dei neo-nazisti.In ogni campo, compreso la musica folk, dal recupero delle usanze si è passati a riprendere in modo scellerato tutto ciò che appartiene ad un mondo nazista… penso alla fine degli anni ’80 quando i Blind Guardian pubblicavano Valhalla, non certo con intenti di recuperare il mondo hitleriano, ma solo di riprendere il mondo “fantasy” di Elric di Michael John Moorcock.Negli anni ’90-2000 questo mondo si è esteso e ampliato mettendo insieme in una subcultura nazionalista un pantheon pagano, la bibbia, il rock black metal, etc…
Pensiamo alle accuse al gruppo metal Týr per l’uso del runico e della scrittura neogotica nazista; nel 2011 il gruppo pubblica una canzone, “Shadow of the Swastika”, con un testo volutamente giocato sulla doppia lettura anti nazista e anti BIFFF (Berliner Institut für Faschismus-Forschung und Antifaschistische Aktion, Istituto di Berlino per la ricerca sul fascismo e l’azione antifascista) contro cioè la strumentalizzazione della loro musica da parte di qualunque ideologia.Rimane comunque quell’ambiguità che lega misticismo scandinavo e neofascismo, e che deriva da quelle che Wu Ming chiama “strategie interpretative della destra”.
Che si tratti effettivamente di interpretazioni può essere anche confermato dalla reticenza e negazione violenta di alcuni gruppi delle destre estreme che non accettano fatti storici reali, com ad esempio la recente scoperta, tramite DNA, di una donna a capo di truppe vichinghe o di rapporti e contatti con l’Islam, come evidenziato da scavi archeologici.
Dmitrij Palagi
Il medioevo è un periodo storico fortemente legato al fantasy. Molto è stato scritto in merito a una presunta irrazionalità di un intero millennio della storia europea, semplificato con giudizi storici schematizzabili tra la condanna (età oscura) e un mito positivo (la natura umana non ancora schiacciata dalla finanza e dalle regole del profitto). Il dibattito accademico e inellettuale è però distante dal mercato culturale, in cui tanto i fumetti, quanto le serie televisive non hanno ragione di rinunciare a un archetipo di successo.
L’uso della storia e della memoria vive a prescindere dal riconoscimento politico che se ne vuole dare. Il punto è decidere se le organizzazioni della sinistra vogliono affrontare il tema e, nel caso, come.Una lettura utile di partenza può essere il libro di Tommaso Di Carpegna Falconieri, “Medioevo militante”, in cui si scrive di “medievalismo” come di invenzione delle tradizioni e come pratica diffusa in realtà anche a sinistra, ma in modo meno sistematico.
L’immaginario per l’estrema destra occidentale è fondamentale. Non ci si può dichiarare fascisti o nazisti e pensare di trovare agibilità nella società. Come recentemente affermato da Giovanni Baldini (ANPI e Patria Indipendente), occorre avere conoscenza della necessità di questa area politica di trovare altre suggestioni per ottenere visibilità. Per questo il mito dell’identità profonda e monolitica diventa un’importante occasione, come già scritto anche negli altri contributi di questo articolo.Forse per la sinistra è stato difficile relazionarsi con alcune epoche storiche anche per una superficiale lettura di Marx e della visione “progressiva” della storia.
Anche se con il medioevo non c’entra direttamente, mi permetto un ultimo collegamento. La scorsa settimana cadeva il centenario della nascita del Partito Comunista d’Italia. Scendendo dal treno, a Livorno, con tutte le compagne e i compagni, appartenenti alle diverse realtà che in distinti momenti orari si sono recati all’ex Teatro San Marco, ho avuto 30 terribili secondi di sensazione analoga a quella provata scendendo alla stazione di Lucca, durante il Comics & Games. La sinistra, specialmente quella ancora impegnata a immaginare un mondo diverso e migliore, è bene che si apra a un rapporto consapevole con memoria e storia, evitando però di trasformare Gramsci in un personaggio della stessa sostanza del sempre caro Tom Bombadil.
Jacopo Vannucchi
La fascinazione della destra estrema per il Medioevo è indissolubile dalla caratteristica, dell’estrema destra stessa, di avere come propria base di massa la piccola borghesia. Il riferimento al Medioevo consente infatti al fascismo – che di per sé è un governo terroristico della società nell’interesse dell’alta borghesia – di spacciare alla piccola borghesia alcuni miti fondamentali.Un primo mito è quello della concezione organicamente popolare di Stato e società. Il Medioevo, sulla scorta del tradizionale irrazionalismo di matrice romantica, viene letto come il periodo storico di identità fra tradizioni nazionali e popolari da un lato e organizzazione sociale dall’altro. Ciò consente di (tentare di) esorcizzare, tramite il richiamo a tradizioni immutabili, il continuo cambiamento e sconvolgimento imposto dall’accelerazione capitalistica, la quale per sua natura spazza via la tradizionale organizzazione del lavoro e le attività autonome piccolo-borghesi (artigianato, piccolo commercio, ecc.). La supposta omogeneità etnica delle formazioni sociali medievali è anche molto funzionale alla perorazione di un’Europa bianca, razzista, islamofoba e antisemita.
Un secondo mito è l’organizzazione cetuale della società. A differenza del capitalismo, che produce una pronunciata mobilità sociale verso il basso, l’ordinamento feudale si ispira al principio del ceto, in cui la posizione sociale deriva da uno status valoriale eterno e immutabile e non da una mutevole misura economica. Per la piccola borghesia terrorizzata di scivolare nel proletariato, ciò significa una irremovibile rete di salvezza.Infine, poiché il Medioevo era generalmente privo di ciò che oggi chiamiamo diritti umani, consente di immaginare una società governata per mezzo della violenza indiscriminata (ad esempio, del capofamiglia sulla moglie) e in cui il delitto viene punito in modo spettacolarmente violento (ad esempio con la gogna, l’ordalia o lo squartamento). Si tratta con tutta evidenza di valvole di sfogo interne alla riproduzione di un sistema oppressivo.
L’immagine idealizzata del Medioevo tratteggiata da Hitler nel «Mein Kampf» (“Il fabbro sta di nuovo all’incudine, il contadino incede dietro l’aratro, il dotto siede nel suo studiolo, tutti con uguale lavoro e uguale dedizione al proprio dovere”) è ritagliata su due feticci ideologici della piccola borghesia: l’eternità e naturalità della separazione fra proprietari e proletari; il mito di un sistema economico perfettamente concorrenziale i cui esiti sono basati sulla mera fatica personale.La contraddizione, ovviamente, è che la piccola borghesia sogna un mondo odierno fondato sul profitto ma che abbia le caratteristiche di un mondo arcaico non fondato sul profitto. Lenin osservò che era molto più facile sgominare il grande capitale centralizzato che cambiare il modo di pensare di milioni di piccoli produttori. Il prepotente radicamento di questi miti, nonché la loro costitutiva ipocrisia, devono essere tenuti a mente per qualsiasi progetto politico di sinistra che intenda porsi il problema di costruire un consenso popolare maggioritario.
Immagine da www.wikipedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.