Il ritorno del corpo di un re italiano…
Vittorio Emanuele III è stato re d’Italia in un periodo (dal 1900 al 1946) relativamente lungo e sicuramente intenso. Due conflitti mondiali, il fascismo e alla fine l’abdicazione, a cui seguì l’ultima parte della sua vita passata ad Alessandria d’Egitto, dove era rimasto il suo corpo.
La scelta di riportare la salma nella Penisola ha creato molte polemiche: sul piano storico, rispetto all’opportunità politica (e alle risorse spese dello Stato) e anche il luogo che pareva essere stato ipotizzato per la ricollocazione (la Comunità Ebraica ha evidenziato il valore simbolico del Pantheon rispetto alle persecuzioni perpetuate nel Novecento italiano). Di questa discussa scelta scrivono questa settimana le nostre dieci mani.
Molte polemiche ha scatenato il ritorno delle spoglie di Vittorio Emanuele III in Italia, sembra con l’interessamento della diplomazia e dell’apparato militare della Repubblica. Al di là delle valutazioni nel merito della figura, condannata inequivocabilmente e meritatamente dalla storia, l’evento è in sé ascrivibile alla macrocategoria dei conflitti sui simboli e sulla memoria che si sono diffusi negli ultimi anni, e che hanno portato una positiva ventata critica su elementi troppo spesso ritenuti “neutrali” in passato: dalla toponomastica ai monumenti ai rituali memorialistici. Rimane difficile, data la vergognosa storia coloniale e fascista che ha visto l’allora Re d’Italia in prima fila, accettare che gli apparati dello stato si interessino dei resti dell’uomo che simboleggia quella pagina nera.
La melassa dei buoni sentimenti d’accatto di sicuro coprirà anche la storia tragica delle ultime convulsioni della inetta monarchia sabauda, che invece bisognerebbe cogliere l’occasione per ricordare, così come la melma patriottarda ha coperto l’anniversario di Caporetto, che non ha potuto non essere vissuto con fastidio da chiunque ripudi certi toni da “radioso maggio” e la narrazione grondante sangue che alimentano. L’anno dell’anniversario 1918-2018 probabilmente farà la stessa fine, tra una pagliacciata militaristica, magari nelle regioni in cui le ferite di quella storia ancora fanno male, e un commosso ricordo della “bontà” della guerra. Intanto di monumenti fascisti, colonialisti e monarchici è piena l’Italia, e i benpensanti insorgono alla benché minima prospettiva di contestualizzazione e risemantizzazione, al grido di “la storia non va cancellata!”, quando è piuttosto la celebrazione monumentale di personaggi squallidi ed idee aberranti a cancellare la loro reale, tragica storia. Viene da pensare che il problema non sia tanto un cadavere, ma la puzza di morte che una certa memoria dominante emana.
La degenerazione della politica ormai ci travolge anche in quanto Repubblica. Il dettato costituzionale è ormai un guscio vuoto evirato da ogni principio e ora il cuore nero di questo Paese torna per prendersi le sue rivincite e a sbaragliare definitivamente ogni elemento critico della storia italiana. Il revisionismo storico ha vinto e ci troviamo davanti alla riabilitazione nazionale di casa Savoia come legittimi regnanti d’Italia, che è l’esatto opposto di ciò che sta scritto nel nostro ordinamento.
Siamo oltre il postfascismo e il neofascismo: l’opinione pubblica resta anestetizzata, la memoria storica cancellata, la Costituzione sovvertita nei suoi elementi fondanti. Direi non resti più molto da commentare.
Saper fare i conti con il proprio passato vuol dire avviare un processo, non alzare le spalle di fronte a una scelta inattesa a livello di opinione pubblica. La “pietà” si può mostrare quando c’è trasparenza rispetto al contesto in cui si dovrebbe manifestarla, mentre sui meccanismi dello Stato dal secondo dopoguerra a oggi qualche dubbio lo si può sollevare. “La monarchia ha fatto anche cose buone” dice qualcuno, offrendo il terreno a cui ancorarsi a coloro che si ritengono “vittime” della Repubblica (categoria data per scontata tra la maggioranza della cittadinanza ma non così tra le élite del secolo scorso).
I dati sulla ricchezza e sui privilegi dell’Italia sono spesso comunicati in forma generica e di percentuali, mentre il fuoco di indignazione si scatena sulla “casta politica” e sui funzionari pubblici, che non possono nascondere molto in virtù di una tradizione che li ha visti al potere.
La retorica del politicamente corretto e dei buoni sentimenti umani svilisce la stessa storia della monarchia. Il problema non è se ci stanno simpatici o antipatici i Savoia (per fortuna loro), la questione è se abbiamo saputo fare i conti con la nostra storia. No. Dare per scontato che non sia importante è l’errore politico più grave delle attuali istituzioni.
L’esempio più eclatante? “Ma ci ha fatto vincere la Prima Guerra mondiale”. Affermarlo in una fase di centenario di quel conflitto, alle soglie degli 80 anni dalle leggi razziali, suscita disperazione intellettuale in chi ascolta.
Gli argomenti in voga quindici-vent’anni fa per chiedere la revoca dell’esilio alla linea maschile diretta di Casa Savoia erano che non vi fossero più da temere trame golpiste di carattere monarchico e che, essendo gli esponenti compromessi con il regime fascista ormai deceduti, non si potessero punire i figli per le colpe dei padri.
Stupisce quindi ancora di più la decisione di far tornare sul suolo italiano le spoglie di chi schierò la Corona a sostegno di tutti gli atti criminosi compiuti dal fascismo: la soppressione delle libertà costituzionali, le guerre di aggressione all’Etiopia e all’Albania, l’intervento a sostegno della sedizione franchista contro la Spagna, l’alleanza con il regime nazista, la promulgazione delle leggi razziali contro gli ebrei, l’ingresso nella Seconda guerra mondiale con le campagne disastrose in Grecia e in Russia. Questi sono solo i principali e anche il ridicolo tentativo di liquidare Mussolini e svicolare dalla guerra si risolse nello sfacelo delle istituzioni italiane e nella liberazione del dittatore stesso per mano tedesca.
Dulcis in fundo, l’ultimo tradimento del re fu quello del patto con i partiti antifascisti siglato nell’aprile 1944: il Cln aveva accettato di rinviare la questione istituzionale a un referendum postbellico, in attesa del quale Vittorio Emanuele III sarebbe rimasto re cedendo però tutte le proprie funzioni al figlio Umberto quale luogotenente. Il re spezzò quel patto abdicando tre settimane prima del referendum, in un estremo intento di salvare l’istituzione da lui stesso screditata in decenni di ignominie.
Pietro Grasso ha definito il ritorno dei resti di Vittorio Emanuele “atto di umanità”: la medesima motivazione con cui le potenze occidentali chiesero fino all’ultimo la grazia per Rudolf Hess, il fu delfino di Hitler, ergastolano a Spandau. Hess si uccise in carcere nel 1987, ma la sua tomba divenne luogo di pellegrinaggio per neonazisti e per questa ragione il governo tedesco l’ha fatta distruggere nel 2011.
Il ministro Franceschini, invece, ha detto che la traslazione della salma dell’ex re “chiude una pagina”. La pagina in realtà è stata già chiusa molti decenni fa dal popolo italiano con la sua scelta referendaria.
Grasso e Franceschini, e come loro molti altri politici intervenuti nel dibattito, si sono affrettati a chiarire che storia e memoria impediscono la sepoltura di Vittorio Emanuele III al Pantheon. L’impressione, in realtà, è che questa pagina più che definitivamente chiusa sia stata riaperta, e che la crescente riabilitazione dei Savoia possa conoscere in futuro una nuova tappa. D’Alema, che oggi storce il naso davanti al volo di Stato per il re fascista, era nel 2002 presidente di un partito che intruppò i propri parlamentari a sostegno della revoca dell’esilio con l’esplicita motivazione di raggiungere la maggioranza dei due terzi ed evitare un referendum confermativo.
L’operato di Vittorio Emanuele III non è, come sostiene qualcuno, controverso, bensì inequivocabilmente negativo. Pietro Grasso ha affermato che “un Paese maturo e democratico deve saper fare i conti con il proprio passato”: in realtà non sarà una salma che permetterà all’Italia di maturare una identità storica più raffinata. Basta fare una breve rassegna stampa degli articoli usciti negli ultimi giorni per rendersi conto che le ricostruzioni storiche riguardanti la figura di Vittorio Emanuele III sono decisamente discordanti. Se è vero che complessivamente – con l’eccezione di qualche improbabile invasato monarchico – il giudizio storico risulta trasversalmente negativo, è anche vero che cambia in maniera netta il motivo per cui si reputa il suo operato come tale.
Credo che una lettura storica di buon senso debba imputare al defunto sovrano le gravissime responsabilità di aver condotto nella carneficina insensata della Prima Guerra Mondiale il Paese, di averlo poi messo nella mani di Mussolini al quale si è piegato senza esitazioni, promulgando tutte le leggi e le decisioni disastrose compiute dal fascismo fino all’ignominia delle leggi razziali e dell’entrata nella Seconda Guerra Mondiale. Alcuni giornali di destra si sono invece prodigati in questi giorni in una goffa operazione di rivalutazione della prima parte del regno di Vittorio Emanuele III, celebrando la sua sagacia e acume nella scelta di entrare nella Prima Guerra Mondiale, nelle sue scelte coraggiose e nel suo temperamento, legato al mito del “re soldato” che avrebbero contribuito alla vittoria finale, come se ci fosse qualcosa di glorioso nell’aver mandato il Paese incontro all’ inutile strage consumatasi in tutto il continente.
Non mancano neppure le apologie riguardanti il suo rifiuto di proclamare lo stato di assedio in occasione della Marcia su Roma, per alcuni visto come necessario per evitare una guerra civile. Insomma per molti ancora oggi, i demeriti più vistosi del sovrano deposto coincidono con quelli che avrebbero messo in discredito la Nazione, come ad esempio le vicende relative all’8-9 Settembre 1943 (armistizio e fuga a Brindisi), mentre su pagine drammatiche della nostra storia come la Prima Guerra Mondiale e l’ascesa del fascismo si continua, in tanti, troppi ambienti, ancora a tergiversare o a proporre ricostruzioni improbabili. Se è forse esagerato affermare che il ritorno della salma di Vittorio Emanuele III possa rappresentare una ulteriore macchia nella reputazione della storia della Repubblica, sicuramente però non la aiuterà a fare pace col suo passato: per quello servirebbe un giudizio storico libero dalle strumentalizzazioni nazionalistiche.
Immagine liberamente tratta da www.nbcnews.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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