Il percorso di avvicinamento all’approvazione del recovery fund e la gestione delle risorse europee hanno aperto ulteriori crepe in una maggioranza. La disputa nasce intorno alla creazione di una “task force”, organo tecnico per il Presidente del Consiglio Conte contestato soprattutto dalla componente di Italia Viva, perché visto come aggiramento della centralità parlamentare. Di queste dispute e dei possibili sviluppi si occuperà il Dieci Mani di questa settimana.
Leonardo Croatto
Non è affatto una novità che ministeri e Presidenza del Consiglio dei Ministri nominino “esperti” a cui delegare mansioni varie, tra le quali, non di rado, la progettazione delle norme, di fatto assegnando piena efficacia politica alla loro azione.
Frugando sui siti web dei soggetti istituzionali è possibile (con grande difficoltà, va detto) recuperare una discreta messe di informazioni in tema di cessione di potere politico a soggetti non selezionate in base ad alcun percorso democratico, ma scelti anzi, nella generalità dei casi, con procedure piuttosto occulte. A queste figure viene attribuito il titolo di “esperti”, anche quando il loro curriculum vitae non ha mai intercettato le materie sulle quali saranno chiamati ad esercitare il loro potere di indirizzo.
E’ possibile immaginare che il ricorso alle collaborazioni con questi “esperti” sia dettato da tre possibili motivazioni: la prima è che l’Esperto sia davvero competente nella materia affidatagli (l’evento è raro, ma non dal tutto assente); la seconda è che l’Esperto sia sofferente dal punto di vista del proprio reddito e quindi necessiti di un aiuto su quel frangente; la terza è che la nomina di uno o più Esperti sia funzionale all’acquisizione di maggior credito presso gli elettori oppure presso specifiche categorie d’interesse.
Generalmente, solo nel terzo caso queste batterie di supposti esperti sono rese pubbliche, in modo che la loro capacità di generare consenso possa esprimersi a pieno.
Il ricorso a veri o presunti esperti per sostituire nello svolgimento dell’unica mansione che gli è propria i membri di Camera e Senato, cioè la direzione politica del paese, è figlia di quel pensiero antropologico contemporaneo che teorizza l’esistenza di amministratori della cosa pubblica più evoluti, definiti Tecnici, che dovrebbero superare in efficienza, quindi rendere darwinianamente obsoleti, i novecenteschi Politici.
Purtroppo la Politica ha, sempre per usare termini cari ai moderni, una sorprendente resilienza: i Tecnici a cui vengono affidate le magnifiche sorti e progressive del paese non sono mai riusciti a dimostrare quella superiore efficienza con cui vengono reclamizzati dalla stampa e dalla televisione. La loro azione, alla prova dei fatti, si rivela sempre assai scarsa come risultati prodotti, mentre il loro lavoro manifesta sin da subito il riconoscibilissimo marchio politico derivante dalla loro classe sociale di appartenenza.
Piergiorgio Desantis
Dopo gli Stati generali, luogo in cui si sarebbero sviluppate le idee per il rilancio dell’economia italiana e il superamento del periodo di crisi, ecco che il Presidente del Consiglio ha deciso di mettere su una “task force” di tecnici, più precisamente manager, evidenziando allo stesso tempo che verranno effettuati comunque tutti i passaggi parlamentari. Nonostante quest’ultimo aspetto, emerge, a più riprese, l’egemonia del personale tecnico sul politico, visto anche la figura dello stesso Conte. Nonostante l’esempio più recente, ovvero il governo Monti, venga ricordato come uno dei passaggi di tagli lineari da “lacrime e sangue” (vedasi riforma Fornero) la fascinazione per le competenze tecniche continua a alimentare le fantasie (o gli incubi) degli italiani e italiane. Si conferma una profonda crisi politica, perfino lessicale, di cui non sembra esserci, per il momento via d’uscita, mentre si fanno sempre più insistenti voci di un coinvolgimento dell’ex presidente BCE Mario Draghi, proprio al posto di Giuseppe Conte. Al di là della Costituzione scritta, che ci ricorda di essere in una democrazia parlamentare, avanza e si conferma (purtroppo) una Costituzione di fatto che riduce il ruolo di entrambi i due rami del Parlamento. Prenderne atto e provare a invertire la tendenza è già un passo avanti.
Francesca Giambi
L’iniziativa Next Generation EU, più comunemente chiamata Recovery Fund, pensata principalmente per fronteggiare l’emergenza economica causata dalla pandemia di Covid-19, è uno dei maggiori strumenti economici che l’Europa abbia mai messo in campo.Come ben sappiamo, da articoli, servizi e discussioni sui maggiori media, si tratta di fondi in parte “elargiti” in parte prestati con l’unico obiettivo di rilanciare le economie nazionali e provare a riparare ai danni economici e sociali subiti nell’ultimo anno. Sappiamo anche come l’Italia sia uno dei maggiori beneficiari di questo strumento con circa 200 (e poco più) miliardi di euro su un totale di 750.
Quello di cui però si parla un po’ meno sono i “paletti” messi da questi fondi o meglio di quelli che saranno gli argomenti dei progetti da presentare. Sebbene pensati infatti in un momento di emergenza e drammaticità, questi fondi non si discostano molto dalle linee guida che l’Europa intende perseguire nei prossimi anni. Ed è per questo, per esempio, che per la parte green e di lotta ai cambiamenti climatici si riserva più del 30% dei fondi totali, o che molti fondi riguarderanno l’innovazione digitale con tutte le diverse declinazioni.Ma a fronte di questa iniezione di “quasi ottimismo” economico, in Italia ci troviamo in presenza di un forte scontro politico circa questa misura. Non piace infatti la creazione di task force e organi tecnici che gestiscano i progetti da presentare, soprattutto perché depauperano il parlamento delle sue funzioni.Ci sono però da valutare un paio di punti fondamentali:
• l’Italia non “sa” spendere bene… è di poco tempo fa la notizia che nel 2019 l’Italia ha speso solamente il 30% dei fondi che l’Europa metteva a disposizione (leggi qui) e questo è dovuto spesso ad una mancanza strutturale di personale tecnico amministrativo che sappia muoversi nell’ambito dei bandi e delle rendicontazioni di fondi strutturali. Mentre infatti le nostre nazioni sorelle negli ultimi 30-40 anni, già dai primi programmi quadro per la ricerca, mettevano in atto la formazione di persone atte alla gestione di queste risorse, che si sapessero quindi muovere in ambiti trasversali tra scienza, legislazione ed economia, in Italia questa esigenza si è sentita forte negli ultimi anni, ed anche se vi sono diversi progetti e fondi dedicati alla creazione di figure di questo tipo, sono ancora troppo poche, soprattutto per la quantità di sfondi non solo a disposizione, ma di cui c’è necessità.
• troppo spesso nella nostra storia abbiamo assistito a fenomeni di “inquinamento” dei progetti di ricostruzione da parte non solo di mafie e malavita ma anche della politica stessa, con i suoi personali interessi economici, fatti da clientarismi e piccoli favori, per cui avere organismi “super partes” potrebbe portare all’abbattimento di questa caratteristica purtroppo dolorosamente nostra.Questo però non deve assolutamente giustificare una task force formata principalmente da imprenditori ed organi privati, perché, anche se probabilmente più esperti e rodati nella scrittura, sottomissione e gestione di progetti e fondi europei, in un momento come questo bisogna cercare di ripartire, in relazione alle risorse stanziate, tutti, sullo stesso piano, senza che nessuno ne tragga benefici personali.Mai come adesso il binomio soldi-politica si fa così stretto (e per certi versi “scivoloso”).
Jacopo Vannucchi
Nei partiti di maggioranza le critiche che si appuntano sul Presidente del Consiglio sono apparentemente di segno opposto: da un lato gli si rimprovera la proterva volontà accentratrice, dall’altro l’immobilismo su diverse questioni politiche.Queste critiche sono opposte soltanto, appunto, in apparenza: entrambe denunciano infatti l’assenza, o almeno il non utilizzo, di una competente e rodata macchina dello Stato per la gestione dei compiti politici e, sia detto non riduttivamente, amministrativi.Renzi ha detto a El País che la differenza tra Salvini e Conte è che il primo si presentava in costume da bagno e col mojito in mano, il secondo invece sta in ufficio in giacca e cravatta. Ma se si vuole l’aspetto grottesco del dramma risalta al massimo grado proprio nella gestione del Recovery Fund. Anche facendo la tara di tutti i possibili tatticismi e opportunismi nella sua maggioranza è intellettualmente raccapricciante il fatto che il Presidente del Consiglio, o per meglio dire qualche tecnico della Presidenza del Consiglio, decida l’allocazione di 200 miliardi di euro senza che il Parlamento abbia svolto o si ritenga possa svolgere l’effetitvo ruolo legiferativo che la Costituzione gli attribuisce.Conte sta beneficiando di una tempesta perfetta, nel cui occhio – dove egli si trova – tutto resta immobile: la pandemia e gli ostacoli politici e in parte sanitari a nuove elezioni costituiscono un campo di gravità che consente al Presidente del Consiglio di mantenersi in sella. Questa situazione, tuttavia, non durerà per sempre, e anzi: quanta più polvere sarà stata accumulata sotto il tappeto in questi mesi, tanto più essa salterà fuori in vere e proprie tempeste di sabbia quando dall’emergenza si inizierà a uscire e la società chiederà conto dei propri interessi (più o meno legittimi).
Alessandro Zabban
Il Recovery Fund, visto come la panacea di tutti i mali, per essere realmente efficace necessita di un’attenta organizzazione e progettazione. L’Italia non vanta buoni risultati nella gestione dei fondi europei, raramente ben spesi, molto spesso rimasti inutilizzati (vedi qui).Le forze politiche di governo hanno scommesso tutto su questi fondi per la ripresa del Paese e quindi anche per il rilancio dell’iniziativa di governo, ma sanno che è un azzardo: occorre chiedere comportamenti virtuosi a una macchina organizzativa che non ha mai funzionato a dovere e che nessuno si è realmente prodigato di far funzionare bene (spesso cercando di vendere dei banali tagli di spesa come riforme o “razionalizzazioni”). Non si tratta solo dei meccanismi farraginosi della Pubblica Amministrazione ma anche dei rapporti pubblico-privato nel nostro Paese che hanno spesso anteposto l’interesse del secondo all’utilità collettiva.
È forse per tutte queste debolezze strutturali accumulate che Conte vede ancora una volta nei manager la soluzione per provare ad aumentare l’efficacia e l’efficienza della gestione di queste risorse che, a torto o a ragione, sono ritenute vitali.Ma un meccanismo di gestione dei fondi così complesso dovrebbe essere rodato negli anni dall’esperienza e dalle buone pratiche, come avviene in altri Paesi europei. Pensare che un gruppo di esperti di gestione possa in breve tempo rilevare e correggere le storture di una struttura gestionale malconcia pare una pia illusione. Inoltre, la mentalità manageriale orientata al profitto cozza vistosamente con l’intento dei fondi, volti, almeno sulla carta, alla promozione del benessere collettivo in vari settori, dalla sanità, alla transizione ecologica, alle uguaglianze di genere.Un esempio paradigmatico è quello della sanità dove la sempre più massiccia entrata del privato e la logica manageriale ed economicistica che l’ha accompagnata, sono processi che hanno indebolito la capacità del sistema sanitario di prevenire e far fronte alla diffusione del Covid-19. Ma a quanto pare si vuole continuare a seguire la stessa logica distorta e perdente anche per risolvere i danni che proprio quella logica ha originalmente amplificato.
Immagine da www.pro.europeana.eu
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.