I giovani che oggi vogliono fare cinema dovrebbero prendere spunto da Sydney Sibilia. Il regista salernitano, classe 1981, sa come trovare idee abbastanza originali attingendo dalla cronaca e dalla lettura dei giornali. Ha iniziato la carriera firmando numerosi cortometraggi che hanno attirato l’attenzione generale. Poi nel 2013 arriva la grande occasione: Rai Cinema, Fandango e Groenlandia (casa di produzione fondata da Matteo Rovere e dallo stesso Sibilia) lo lanciano nel cinema che conta.
Nel 2014 nelle sale italiane arriva “Smetto quando voglio”. Non propriamente una novità visto che ricalca le strutture di Breaking Bad e I soliti ignoti, ma lo diventa nel contesto italiano: per la prima volta si parla del tema del precariato con risvolti comici e agrodolci allo stesso tempo. Non è facile tradurre quella che dovrebbe essere considerata una tragedia nazionale in una commedia. Questa trilogia narrava la storia di un gruppo di ricercatori universitari che, per uscire dal problema, si inventano un’attività clandestina di produzione e di spaccio di “smart drugs”. Il nostro Samuele Staderini ne aveva parlato in questo pezzo, soprattutto nei risvolti della realtà universitaria.
Il trittico è diventato presto un cult, soprattutto tra i giovani che si sono finalmente sentiti chiamati in causa. Finalmente c’era qualcuno nel cinema italiano che parlava (bene) di loro e del problema, con ironia.
Il film fu un successone. La Rai allora affidò a Sibilia e al suo team creativo la produzione di due sequel che vennero girati in contemporanea tra il 2017 e il 2018 per risparmiare sui costi. I due film erano Smetto quando voglio masterclass e Smetto quando voglio ad honorem.
Considerando “Smetto quando voglio” come un unico film in tre atti, “L’incredibile storia dell’isola delle rose” è l’opera seconda di Sibilia. Doveva uscire in contemporanea sia al cinema sia su Netflix, per la produzione di Matteo Rovere (regista di Veloce come il vento e Il primo re). Il Dpcm di dicembre ha fatto saltare l’uscita nei cinema.
Sarò subito chiaro e diretto: il film è fatto bene, ma verrebbe da dire “Houston abbiamo un problema”. Il tasto dolente di quest’operazione è rappresentato dal romanzo “L’isola e le rose” (edito da Rizzoli), pubblicato nel 2019. Non perché il film è tratto dal romanzo, ma perché il consulente storico è lo stesso. Il titolo è importante: quella, apparentemente innocente, letterina chiamata congiunzione ci indica subito il problema del libro che intende unire due cose profondamente diverse. Vi spiego perché. Chi l’avrà scritto? Naturalmente l’onnipresente Walter Veltroni (basta non ne possiamo più!) che ha fatto la consulenza storica per Sibilia e il suo team. Massimo D’Alema ha scritto che il libro ha “il sapore della nostalgia e ci riporta in un tempo cruciale della nostra vita personale e della nostra storia collettiva”.
Bisogna però contraddire i due politici perchè la vera storia dell’Isola delle Rose non c’entra niente né con il romanzo di Veltroni né con il Sessantotto di D’Alema. Quello di Giorgio Rosa, il protagonista reale dell’intera vicenda, fu un anti-68, una secessione dallo statalismo italiano e dalle idee collettiviste dell’epoca. Oggi lo potremmo chiamare in maniera netta il sogno del paradiso (fiscale) di un ex fascista. Infatti Rosa era convinto che “i partigiani erano terroristi che si associarono in massa per avere i contributi Inps”. C’è un importante equivoco da considerare: Giorgio Rosa non era un sessantottino, ma un ex fascista che aderì entusiasticamente alla “Repubblica di Salò”. Non si è mai pentito della sua appartenenza. Chiaramente si dichiarava apolitico (vi ricorda qualcuno che dice di non essere né di destra né di sinistra?). Fu perfino condannato come disertore da un tribunale della RSI (Repubblica Sociale Italiana). Piano piano nella testa di Rosa maturò la convinzione di sottrarsi all’oppressione del paternalismo della Chiesa, dal maternalismo della Dc e l’anticapitalismo dei comunisti. “I preti volevano che non facessi nulla che a loro non garbasse – ha scritto l’ingegnere in memoriale redatto per una rivista inglese – i comunisti cercavano di combattere i signori e di portar via, con la terra, anche la loro ragione di esistere; solo i politici, asserviti ai russi o agli americani, avevano un futuro”.
In un’intervista al “Fatto Quotidiano” (leggi qui), il figlio di Giorgio Rosa dice apertamente che Veltroni la pensava come suo padre. Fu un caso che l’isola fosse stata costruita nel ’68. Non c’entrano niente gli ideali, la rivoluzione.
Detto questo, torniamo al film. La sceneggiatura, scritta a quattro mani da Sibilia con la collaboratrice storica Francesca Manieri, è articolata, ben sviluppata con ottimi spunti ironici. A livello di messa in scena c’è un connubio tra tradizione artigiana italiana e la moderna tecnologia. Questa pellicola però stavolta non prende spunto dal cinema italiano, bensì dallo splendido “I love radio rock” di Richard Curtis. Forse lo ricalca fin troppo. La storia è incredibilmente vera da non sembrare tale. Ed è ancora più incredibile che nessuno ancora l’abbia raccontata al cinema.
Accadde in Italia nel 1968, periodo ricco di ribellioni e di scontri.
A Strasburgo l’ingegner Giorgio Rosa (bolognese, classe 1925) chiede di esser ascoltato al Consiglio Europeo: aveva ideato, progettato e creato l’Isola delle Rose, una piattaforma artificiale di 400 m² che sorgeva nel Mare Adriatico, al di fuori delle acque territoriali italiane. L’Isola delle Rose è la risposta dell’ingegnere ad uno Stato che, negli anni, continua a tradirlo e deluderlo.
Uno stato indipendente a tutti gli effetti che il 1º maggio 1968 si autoproclamò tale con il nome di “Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose”. Come si può intuire dal nome, la Repubblica ha una lingua propria, l’Esperanto appunto. A questa si aggiungono dei francobolli e a breve, si spera, una moneta: il Mill, scambiato al pari della Lira.
Naturalmente solo Elio Germano, con spiccato accento bolognese, poteva interpretare un “folle sognatore” hippie irrequieto che riecheggia Marty McFly di “Ritorno al futuro”. Questo naturalmente è l’errore del film perché i fatti non furono questi.
Le linee temporali del film si intrecciano continuamente. Chiaramente quel paradiso fiscale a pochi chilometri dalla costa non piaceva alle istituzioni. C’è un lungo flashback che racconta come è nata quest’idea e perché c’era bisogno di tale indipendenza, ma c’è anche la parte di racconto dedicata al contrasto tra Rosa e le istituzioni, rappresentate dal presidente del Consiglio, Leone (Luca Zingaretti) e dal ministro dell’Interno, Restivo (Fabrizio Bentivoglio, ispirato). Entrambi esponenti dalla Democrazia Cristiana. Lo Stato Italiano chiaramente viene mostrato in maniera ridicola come il primo ministro inglese (interpretato da Kenneth Branagh) in “I love radio rock”. Nel cast spicca anche Francois Cluzet di “Quasi Amici” nei panni di Jean Baptiste Tomà, presidente del consiglio europeo.
Quello di Rosa chiaramente era un precedente pericoloso e doveva essere fermato. Stupendo in questo senso il contrasto tra il ministro Restivo e Giorgio Rosa che, come ricorda Gabriele Niola di “Bad Taste”, richiama alla memoria il film “The social network” di David Fincher. Lì Eduardo Saverin urlava all’ex compagno di università Jesse Eisenberg “fai il pieno di avvocati stronzo!”
Questo è un film che arriva a pennello in tempi di conformismo dilagante. Bisogna insegnare alla gente i valori della libertà, dell’indipendenza, dell’anticonformismo. Come faceva il prof. Keating de “L’attimo fuggente” quando insegnava ai suoi alunni “due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta, ed è per questo che sono diverso” (potete vedere la scena qui).
La potenza di questo film sta tutto nel conflitto tra le regole di una società e il libero arbitrio del singolo. La trilogia di Smetto quando voglio funzionava bene, ma il terzo capitolo cominciava a peccare di equilibrio. Cosa che qui invece non manca.
Il film funziona bene, ma trasforma Rimini in una sorta di happy hour coloratissimo in stile “The wolf of Wall Street”. L’idea generale diciamo che fa bene al cinema italiano, ma lasciamo fare la verità storica e il Sessantotto perché non c’entrano quasi niente. In più far diventare un ex repubblichino un sessantottino, è un errore da matita rossa.
“L’isola delle rose” è un invito a cercarsi il proprio spazio nel mondo e a non lasciarselo creare dagli altri. Più che l’isola delle rose è l’isola che non c’è. Come cantava Edoardo Bennato “e ti prendono in giro se continui a cercarla, ma non darti per vinto, perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle forse è ancora più pazzo di te”. Immaginare un’alternativa è possibile, basta volerlo. Giorgio Rosa rappresenta il potere della realizzazione personale. E quando succede bisogna stare attenti perché si può arrivare a volare alti e avere paura delle vertigini allo stesso tempo. Luis Sepulveda insegna: “vola solo chi osa farlo”.
FONTI: Cinematografo, Comingsoon, Mymovies, Il fatto quotidiano, Repubblica
L’INCREDIBILE STORIA DELL’ISOLA DELLE ROSE ***1/2
(Italia 2020)
Genere: Commedia, Drammatico
Regia: Sydney Sibilia
Sceneggiatura: Francesca Manieri e Sydney Sibilia
Fotografia: Valerio Azzali
Cast: Elio Germano, Francois Cluzet, Matilda De Angelis, Fabrizio Bentivoglio, Luca Zingaretti
Durata: 1h e 58 minuti
Distribuzione e Produzione: Netflix
Trailer Italiano: https://www.youtube.com/watch?v=RihzDA9rXn0&t=9s
Interviste e speciali sul film qui
La frase: Anche io ho fondato uno stato, ma il mio ha un arsenale bellico
Regia ***1/2 Interpretazioni ***1/2 Consulenza storica * Fotografia ***1/2 Sceneggiatura ***1/2
Immagine da style.corriere.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.