L’istruzione: una storia di tre Paesi
Una variabile che recentemente ha sempre più spiegato il comportamento elettorale della popolazione bianca è l’istruzione, con un crescente spostamento dei laureati in direzione del Partito Democratico e dei non laureati verso il Partito Repubblicano.[1]
Oltre che tra i bianchi, però, il livello di istruzione fornisce una chiave analitica anche presso la popolazione generale degli Stati Uniti se messo in relazione con i risultati elettorali.
Ad oggi non abbiamo ancora la disaggregazione del voto presidenziale 2020 per i 435 collegi elettorali della Camera, ma possiamo partire dal dato del 2016 suddividendo la popolazione in base a tre livelli di titolo di studio: inferiore al diploma, diploma, laurea.
1. Non diplomati
Sui 43 collegi della Camera (pari al 10% del plenum) con la maggior quota di popolazione non diplomata la Clinton vinse nel 2016 in 40 di essi, con un consenso aggregato del 71% contro il 25% di Trump; nei 3 andati a Trump, invece, la percentuale di voto aggregata fu rispettivamente di 33% e 63%.
Osservando la dislocazione geografica (confini meridionali, Valle di San Joaquin, alcuni collegi estremamente urbanizzati di Los Angeles, Chicago e New York City) possiamo ipotizzare che i collegi clintoniani siano composti perlopiù di proletariato ispanico, con l’eccezione delle zone pesantemente afroamericane nei centri urbani del Texas orientale e nel Delta del Mississippi. Per quanto riguarda i tre collegi trumpisti, invece, notiamo la comunità cubana nella Florida meridionale, i bianchi poveri nel Kentucky orientale e una zona mista di ispanici e bianchi nello stato di Washignton.
L’impressione è confermata dai dati sull’etnia e sulle origini nazionali.
Risultano in particolare sovrarappresentate[2] le nazionalità dominicana e messicana (3,8x), salvadoregna (3,1x), cubana e guatemalteca (2,7x) e portoricana (1,7x). Queste, che costituiscono complessivamente il 15,2% della popolazione statunitense, ammontano al 52,4% della popolazione dei 43 collegi presi in esame.
Si tratta con ogni evidenza di proletariato di recente immigrazione, impiegato in mansioni non qualificate (ipoteticamente, l’edilizia e la logistica per gli uomini e mansioni di cura o di pulizia per le donne).
Quanto e cosa è cambiato dal 2016 al 2020 potremo saperlo con certezza di dati solo nelle prossime settimane, ma è utile uno sguardo a una prima mappa compilata dal New York Times[3]:
A prima vista si notano soprattutto forti spostamenti pro-Trump nelle punte meridionali di Florida e Texas. Per la Florida la spiegazione sta nel successo con cui Trump ha dipinto Biden come un socialista d’assalto: resta celebre un tweet che a noi europei illuminati avrà fatto ridere, ma che sembra essere stato preso molto sul serio nell’estremità sud della costa atlantica: «Joe Biden è un FANTOCCIO di CASTRO-CHAVISTI come Bernie Pazzo, AOC e la filo-castrista Karen Bass. Biden è sostenuto dal socialista Gustavo Petro, un grande PERDENTE ed ex leader guerrigliero dell’M-19. Biden è debole contro il socialismo e tradirà la Colombia. Io sto con voi!».[4]
La contea di Miami-Dade, in cui la Clinton vinse 63% a 34% nel 2016, è andata a Biden con un risultato ben più ravvicinato: 53% a 46%. In termini assoluti, mentre Biden ha aggiunto solo 7000 voti a quelli della Clinton, Trump ne ha guadagnati 199.000. Vale la pena notare che si tratta della contea che in tutti gli Stati Uniti presenta la maggior quota di popolazione di origine cubana (34%), colombiana (4,5%) o venezuelana (2,5%). Il pericolo di un forte scivolamento qui era già stato segnalato dagli operativi della campagna democratica[5], ma neppure una vittoria con margine clintoniano sarebbe stata sufficiente a Biden per vincere lo stato della Florida, anche se avrebbe ridotto da 372.000 a 116.000 il distacco da Trump. Questo perché Trump ha recuperato molto anche nella contea di Osceola[6], nel centro della Florida, quella con la maggior quota di popolazione portoricana (28,8%) in tutto il Paese, aggiungendo 23.000 voti al proprio carniere del 2016, mentre Biden ne ha guadagnati solo 12.000 sulla Clinton.
Sono state fatte diverse ipotesi sul perché di questi spostamenti. Riguardo il caso particolare dei cubani può valere ovviamente una spiegazione di antisocialismo e si può anzi sostenere che l’eccezione sia stata il 2016, quando la Clinton può aver beneficiato della combinazione occasionale tra le proprie credenziali di falco in politica estera e l’aura di isolazionista e “burattino di Putin” che gravava allora su Trump. Per quanto riguarda i portoricani della contea di Osceola, che fa parte dell’area metropolitana di Orlando, è stata avanzata l’ipotesi che l’opposizione di Trump a nuovi lockdown anti-Covid sia stata gradita nelle aree con forte peso economico del turismo. Questa spiegazione renderebbe ragione anche dello spostamento a destra, rispetto alla media nazionale e al 2016, di stati turistici come il Nevada e le Hawaii.
Tuttavia queste spiegazioni parziali da sole non colgono un fenomeno assai più ampio.
Caduta la contea di Elliott in Kentucky nel 2016, la contea con la più lunga serie di ininterrotte vittorie democratiche alle presidenziali è quella di Starr, sul confine messicano in Texas, che vota democratico dal 1892 compreso. Questa contea è quella con maggior quota di popolazione di origine messicana (94,9%) in tutto il Paese e ha votato democratico anche stavolta, ma il differenziale su Trump si è drammaticamente accorciato dai +60 punti del 2016 ai +5 del 2020. Le prime spiegazioni raccolte sul campo dal New York Times parlano di un’ostilità verso Biden considerato il “candidato dei neri” (per la vicinanza mostrata ai movimenti di protesta a seguito dell’omicidio di George Floyd a giugno) e delle persone transgender, che costituiscono anatema per il forte conservatorismo religioso – cattolico o evangelico – delle comunità latinos.[7]
È utile infine notare che l’ultimo candidato repubblicano ad avere un tale livello di sostegno fra gli ispanici fu George W. Bush nel 2004, elezione che è stata anche l’ultima – e l’unica dopo il 1988 – in cui un repubblicano ha vinto il voto popolare. Se si crede all’antica profezia di Reagan (“gli ispanici sono repubblicani, aspettano solo qualcuno che glielo faccia capire”) si può ipotizzare che le comunità ispaniche siano uno dei bacini naturali di espansione del voto repubblicano.
2. Diplomati
Passando ai 43 collegi della Camera con la maggior quota di popolazione diplomata ma non laureata, osserviamo che la Clinton vinse nel 2016 in soli 4 di essi, con un consenso aggregato del 58% contro il 38% di Trump; nei 39 vinti da Trump, invece, la percentuale di voto aggregata fu rispettivamente di 33% e 62%.
Geograficamente i collegi corrispondono a quelli maggiormente rurali del Midwest, con alcune appendici nelle Grandi Pianure e lungo il corso del Mississippi, alcune regioni desertiche del Sud-Ovest, le aree fortemente boscose del Maine e alcune zone della Florida a fortissima vocazione di buen retiro per pensionati.
Le statistiche su etnia e origini nazionali confermano ciò che questo volo d’uccello può far sospettare: una sovrarappresentazione dei bianchi e, in particolare, di originari dell’Europa centro-settentrionale.
Le nazionalità più sovrarappresentate rispetto alla media nazionale risultano infatti norvegesi e tedeschi (1,8x), olandesi (1,6x), svedesi e polacchi (1,5x).
Degne di nota anche le nazionalità più fringe, molto minoritarie, ma che presentano una sovrarappresentazione ancora maggiore: slovacchi (2x), lussemburghesi (2,2x), finlandesi (2,5x), belgi (3x), tedeschi della Pennsylvania (3,2x). Quest’ultima identificazione è particolarmente forte nelle aree mennonite e amish della Pennsylvania centrale che, nelle parole di un veterano clintoniano come Jim Carville, dal punto di vista dell’orientamento politico «è l’Alabama senza i neri».[8]
Le isole clintoniane riguardano del resto o aree con una forte popolazione nera (Gary in Indiana, Detroit e Flint in Michigan) o con una forte presenza di operai sindacalizzati (Saginaw in Michigan, Akron e Youngstown in Ohio). Nei collegi trumpisti è invece ipotizzabile la presenza, più che di operai – con l’eccezione di quel settore particolare che sono i minatori –, di agricoltori e di piccoli imprenditori.
Se si torna alla figura 6 non si osservano a colpo d’occhio grandi modifiche nel 2020, con alcune eccezioni: un’accentuazione conservatrice nelle zone socialmente più arretrate (Missouri del sud, Arkansas, Oklahoma orientale, Appalachi) e un recupero dei democratici nello stato del Michigan. Il Michigan sembra però essere soprattutto un’eccezione positiva per Biden, laddove negli altri stati del Midwest continua lo spostamento verso destra della classe operaia bianca (dicitura invalsa nell’uso, ma, come prima segnalato, probabilmente composta soprattutto di agricoltori e piccoli imprenditori).
Una buona misura empirica del posizionamento politico di uno stato è la differenza tra il margine di distacco in quello stato e quello registrato a livello nazionale. Ad esempio, in Michigan Biden ha un margine su Trump di 2,78 punti percentuali, mentre a livello nazionale ha un margine di 4 punti: il Michigan è quindi 1,22 punti più a destra della nazione (in altri termini, il margine relativo di Biden in Michigan è -1,22).
A sua volta, la distanza che separa i margini relativi di uno stato in diverse elezioni presidenziali fornisce una misura dello spostamento verso destra o verso sinistra.
Sebbene lo scivolamento del Midwest verso destra fosse un processo già in atto da anni, esso fu inizialmente mascherato dall’eccezionale risultato, in tutta la nazione, di Obama nel 2008, ed è esploso in tutta evidenza soltanto nel 2016.
In quell’anno, infatti, il Wisconsin si trovò a destra della media nazionale per la prima volta dopo il 2000, ma con il dato peggiore dopo il 1968. Il Michigan si trovò a destra della media nazionale per la prima volta dopo il 1988, e con il dato più alto dopo il 1976 (dopo il 1948, se si considera il 1976 un’eccezione dovuta alla candidatura repubblicana di Gerald Ford, proveniente appunto dal Michigan). La Pennsylvania fu a destra della media nazionale per la prima volta dopo il 1948; il Minnesota per la prima volta dopo il 1952 e con il dato peggiore dopo il 1944. L’Iowa fece registrare il margine relativo peggiore, per i democratici, dopo il 1960; l’Ohio il peggiore dopo il 1932.
Quest’anno la situazione appare mista:
Tenendo comunque conto che i dati nazionali sono in costante aggiornamento, e che Iowa e Wisconsin non hanno ancora certificato i propri risultati, osserviamo comunque che Biden torna sulle posizioni di Obama in Minnesota e recupera qualcosa anche in Michigan, restando stabile in Pennsylvania e continuando invece l’arretramento in Iowa, Ohio e Wisconsin.
Ma anche nel Minnesota la realtà è meno rosea di quanto appare, almeno per ciò che riguarda l’insediamento democratico nella classe operaia. I guadagni di Biden sono infatti tutti nell’area metropolitana delle cosiddette Twin Cities, Minneapolis e Saint Paul, che è invece una delle zone con la maggior quota di popolazione laureata. Nelle rispettive contee l’ex vicepresidente guadagna sul 2016 103.000 e 34.000 voti contro i 14.000 e 6.000 di Trump. Nel più vasto e spopolato collegio, invece, quello del Minnesota occidentale (uno dei 43 presi in esame in questa sezione), il deputato democratico Collin Peterson è stato sconfitto per la rielezione dopo trent’anni. Si tratta di un risultato tanto più eclatante in quanto Peterson non solo è un antiabortista che ha votato contro l’impeachment di Trump, ma è (era) anche il Presidente della Commissione Agricoltura della Camera, ruolo di estrema rilevanza per un collegio profondamente rurale. Si è cioè intensificata una divaricazione già pronunciata nel 2016.[9]
Gli exit poll CNN mostrano che sebbene nell’elettorato bianco Biden sia riuscito a recuperare 6 punti su Trump rispetto alla Clinton tra i maschi non laureati, tra le donne non laureate il margine è rimasto invariato; quel recupero, inoltre, è comunque inferiore a quelli di 2 punti tra le donne laureate e di 11 punti tra gli uomini laureati.[10]
3. Laureati
Passando ai 43 collegi della Camera con la maggior quota di popolazione laureata, osserviamo che la Clinton vinse nel 2016 in 34 di essi, con un consenso aggregato del 65% contro il 30% di Trump; nei 9 vinti da Trump, invece, la percentuale di voto aggregata fu rispettivamente di 45% e 51%.
Geograficamente si nota una pronunciata conformazione urbana e suburbana di questi collegi, specialmente in aree connotate dalla presenza di un’economia dinamica e con importanti centri di ricerca pubblica o privata (San Francisco, Denver, Atlanta, Raleigh-Durham-Chapel Hill, Washington, New York City, Boston…). È il genere di collegi in cui i democratici hanno fatto le maggiori avanzate negli ultimi quattro anni, specialmente in alcune zone: l’alto New Jersey, l’area metropolitana di Atlanta, il Texas centrale.
Non stupisce che le statistiche su etnie e origini nazionali mostrino una composizione più equilibrata tanto della media nazionale quanto degli altri segmenti di istruzione precedentemente presi in esame:
Si nota in particolare una maggior presenza di popolazione di origine asiatica; le nazionalità più sovrarappresentate rispetto alla media nazionale risultano in effetti cinesi e indiani (2,9x), coreani (2,4x), russi (2,2x), vietnamiti (1,9x), salvadoregni (1,8x) e filippini (1,6x).
Particolarmente sovrarappresentate anche altre nazionalità sia pure numericamente deboli in termini assoluti: iraniani (3,5x), taiwanesi (3,4x), pakistani (2,9x), israeliani (2,8x). Sembra cioè evidente l’impatto di immigrazione qualificata, per studio o per lavoro.
Gli stati con il maggior numero di laureati sono non sorprendentemente quelli che negli ultimi anni si sono maggiormente spostati verso sinistra; questo fenomeno è evidente soprattutto in due stati saldamente conservatori prima dell’elezione di Obama, poi considerati in bilico durante la sua Presidenza e nel 2020 considerati non realisticamente contendibili da Trump. Il Colorado[11] e la Virginia, che nell’agevole rielezione di Clinton nel 1996 gli votarono contro e risultarono entrambi 10 punti a destra della media nazionale, adesso sono rispettivamente 10 e 6 punti a sinistra di tale media. In Virginia, in particolare, negli ultimi due decenni si è potuto osservare un completo rovesciamento di fronti, con democratici e repubblicani che hanno strappato all’altro partito la posizione di egemonia rispettivamente nei ricchi sobborghi di Washington, Richmond e Virginia Beach e nella zona carbonifera occidentale.[12]
Per quanto a livello presidenziale Biden abbia incrementato il risultato di Hillary Clinton nelle aree con maggior presenza di laureati, e in particolare di bianchi laureati, il voto della Camera fornisce invece un’indicazione diversa, con i candidati democratici che rispetto al 2018 sono arretrati e non solo non hanno strappato possibili obiettivi (zone suburbane di Indianapolis, Saint Louis, Atlantic City…) ma hanno perso alcuni collegi storicamente conservatori (Charleston, Oklahoma City, Salt Lake City…).
Sembra cioè che lo zoccolo duro dell’elettorato repubblicano pre-Trump – i bianchi benestanti – si sia solo temporaneamente avvicinato ai democratici, addirittura tornando a votare per i candidati dell’elefante alla Camera in modo da tenere una Presidenza Biden sotto un maggiore controllo parlamentare.
[Continua nei prossimi giorni]
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https://www.ilbecco.it/tracce-dellopposizione-democratica-a-trump/ ↑
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Per questo e per successivi analoghi confronti prendiamo in esame, salvo ove diversamente indicato, solo le nazionalità che costituiscono almeno l’1% della popolazione del subaggregato di riferimento. ↑
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https://www.nytimes.com/interactive/2020/11/03/us/elections/results-president.html, Shift from 2016 ↑
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https://twitter.com/realdonaldtrump/status/1314998881126625280 ↑
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https://www.politico.com/news/2020/10/29/miami-voter-turnout-democrats-433643 ↑
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https://fivethirtyeight.com/features/what-we-know-about-how-white-and-latino-americans-voted-in-2020/ ↑
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https://www.nytimes.com/live/2020/11/03/us/election-day#in-south-texas-trump-sees-far-greater-support-than-in-2016 ↑
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https://www.washingtonpost.com/graphics/2020/politics/pennsylvania-political-geography/ ↑
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https://fivethirtyeight.com/features/why-minnesota-could-be-the-next-midwestern-state-to-go-red/ ↑
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https://edition.cnn.com/interactive/2020/11/politics/election-analysis-exit-polls-2016-2020/ ↑
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https://edition.cnn.com/2020/10/13/politics/southwest-swing-states-2020/index.html ↑
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https://www.dailykos.com/stories/2020/11/23/1997825/-Virginia-politics-have-changed-so-much-so-quickly-Our-new-data-shows-how ↑
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.