In questa sede finora ho presentato problematiche scientifiche che non studio personalmente, o comunque casi di studio affrontati da altri colleghi. Questa volta voglio parlare di uno studio cui ho collaborato, anche se non come principale autore, e questo per tre motivi. Il primo è che lo studio è bello e interessante – so che, essendo tra gli autori, potrei non essere la persona più imparziale, ma chi mi conosce un po’ meglio sa che non sono mai contento degli articoli che pubblico, e questo è bello davvero. Il secondo è che si tratta di uno studio complesso ed articolato sviluppato su un sistema che ci troviamo praticamente sotto casa: una foresta (in miniatura) di alghe ad Antignano, poco a sud del porto di Livorno. Il terzo è che mostra bene come sia necessario avere accesso a diversi tipi di dati per ricostruire correttamente le relazioni tra diversi organismi e l’ambiente in cui vivono – in breve, per studiare la loro ecologia.
Tutta la storia inizia qualche anno fa, quando, nel corso di ricerche su altri popolamenti, la dr. Chiara Ravaglioli e il prof. Fabio Bulleri (rispettivamente primo e ultimo autore dello studio recentemente pubblicato sul Journal of Ecology) hanno notato che il fondale roccioso subito al di fuori del porticciolo di Antignano era coperto, tra uno e dieci metri di profondità, da una densa foresta praticamente monospecifica, formata dall’alga rossa Halopithys incurva, un’alga ramificata ed eretta, alta in genere tra 10 e 15 centimetri.
Negli ambienti superficiali Halopithys era praticamente coperta da un’altra alga, la corallinacea Jania rubens. Le corallinacee sono anch’esse alghe rosse, ma sono caratterizzate da pareti cellulari calcificate, che danno loro una consistenza pietrosa ed hanno incidentalmente causato tra fine XVIII e inizio XIX Secolo una confusione con i veri e propri coralli, con una lunga e a tratti acida diatriba su dove fossero i polipi delle corallinacee (prima di accorgersi che, essendo alghe, i polipi proprio non ce li avevano). Nel caso delle corallinacee articolate, cui Jania appartiene, l’alternanza tra lunghi segmenti calcificati, duri, e brevi segmenti non calcificati, in corrispondenza dei quali l’alga può piegarsi, permette all’alga di essere al tempo stesso indigesta ad eventuali consumatori e resistente nei confronti del moto ondoso, che alla lunga finirebbe per spezzare una struttura completamente rigida.
Il fatto che abbia sviluppato la biologia di Jania e mi sia limitato a dire che Halopithys è un’alga rossa a portamento arborescente non è casuale: nonostante Halopithys incurva sia stata descritta nel 1762, e sia una specie molto comune in tutto il Mediterraneo, le informazioni disponibili al riguardo sono estremamente scarse. Verosimilmente ha un ciclo vitale non differente da quello di altre alghe rosse (e quindi abbastanza complicato, con tre generazioni invece delle due che tipicamente si osservano in quasi tutti gli organismi), sappiamo quale sia la sua distribuzione, ma di come interagisce con gli altri organismi e l’ambiente in cui si trova non sappiamo praticamente niente. E in questo caso, una possibilità di indagare questi aspetti ci arriva proprio dalla stretta associazione con Jania rubens, che può essere trovata anche su altri substrati, ma mai con le biomasse che raggiunge quando cresce sopra Halopithys.
A partire da questa osservazione, abbiamo ipotizzato che l’associazione tra Jania e Halopithys abbia effetti positivi su Jania (che utilizza l’alga arborescente come substrato) ma negativi su Halopithys (che in acque più basse è spesso completamente coperta da Jania, e riceve pochissima luce per fare la fotosintesi). Inoltre, dato che Jania ha una struttura completamente diversa da quella di Halopithys, con strutture molto più sottili e fitte, abbiamo ipotizzato che la presenza di Jania cambi le caratteristiche della fauna associata, e in particolare possa favorire organismi che si nutrono di detrito, cioè di sostanza organica particolata, formata sostanzialmente da scarti di cibo di altri organismi e microrganismi che vi vivono associati, che rimarrebbe intrappolata tra le sottili fronde di Jania.
Per testare queste ipotesi abbiamo impostato un esperimento in realtà abbastanza semplice. A livello superficiale (circa un metro di profondità) abbiamo marcato in maniera differente tre gruppi da dieci talli di Halopithys. Un gruppo (di controllo) è stato lasciato in condizioni naturali; a un gruppo è stata rimossa completamente la copertura di Jania; il terzo gruppo rappresenta un controllo procedurale, in cui Jania non è stata rimossa, ma che è stato “maltrattato” in modo da simulare eventuali effetti dovuti alla manipolazione. Analogamente, a livello profondo (a circa nove metri di profondità), le alghe sono state divise in tre gruppi: come sopra, il gruppo di controllo è stato lasciato in condizioni naturali, il gruppo di controllo artefatto è stato manipolato ma non sottoposto al trattamento sperimentale, al gruppo di trattamento è stata aggiunta della Jania raccolta nella profondità più superficiale.
L’esperimento è andato avanti per circa un mese, con un intervento di “manutenzione” ogni dieci giorni circa, volto in particolare ad eliminare la ricrescita di Jania dai trattamenti più superficiali. Alla fine dell’esperimento sono state valutate le variazioni su una serie di parametri, alcuni relativi allo stato di salute di Halopithys (qui discuterò brevemente le variazioni di efficienza fotosintetica, metaboliti secondari e strutture riproduttive) ed altri alla struttura del popolamento ad invertebrati associato (in particolare, la ricchezza di specie, l’abbondanza e la ripartizione in categorie trofiche che insistono su differenti risorse). I risultati sono stati interessanti e in buona parte inaspettati.
Se ci aspettavamo che Halopithys in ambienti superficiali ci fosse grata di essere liberata dell’ingombrante presenza di Jania, siamo stati delusi: l’efficienza fotosintetica, infatti, crolla nelle Halopithys private della copertura di Jania, che iniziano invece a produrre metaboliti secondari, in particolare fenoli, che sono generalmente associati alla protezione delle strutture fotosintetiche da vari tipi di stress. Sembra, quindi, che le Halopithys scoperte a bassa profondità stiano risentendo dell’eccessiva esposizione alla luce del sole, e questo è confermato dal numero drammaticamente più basso di strutture riproduttive in queste Halopithys.
Andando all’esperimento in profondità, l’aggiunta di Jania ha effetti meno marcati sullo stato di salute di Halopithys: l’efficienza fotosintetica in effetti diminuisce (questa volta non perché la luce solare danneggia i fotosistemi ma, al contrario, perché non ne arriva abbastanza), e prevedibilmente, la produzione di fenoli diminuisce (di fatto non c’è bisogno nemmeno di quel poco che l’alga produce in condizioni normali), ma il numero di strutture riproduttive non risulta alterato. In generale, peraltro, le strutture riproduttive di Halopithys sono molto più abbondanti in profondità che in superficie, anche negli individui di controllo.
Nel complesso, quindi, Halopithys sembra essere un’alga fortemente adattata a condizioni di bassa luminosità, ed è in grado di avere una vita “normale” anche quando, in profondità, viene ulteriormente schermata; ma, per contro, è molto sensibile ad alte intensità luminose, e molto verosimilmente riesce a colonizzare ambienti superficiali solo grazie a Jania, che svolge un effetto di protezione. La simbiosi che si sviluppa tra queste due alghe, quindi, non è come ci aspettavamo un parassitismo, in cui un organismo trae dei vantaggi a discapito dell’altro, ma un mutualismo, in cui entrambi gli organismi ricavano dei vantaggi.
Per quanto i singoli individui abbiano un’altezza di circa 10-15 centimetri, l’associazione tra Halopithys e Jania rappresenta una vera e propria foresta per il popolamento ad invertebrati che vi è associato, e le manipolazioni sperimentali hanno un effetto a cascata anche su di esso.
In ambienti superficiali, la rimozione di Jania causa una variazione molto forte nell’abbondanza (cioè nel numero di individui), cui però non è associata una variazione paragonabile nella ricchezza specifica (cioè nel numero di specie presenti). Concentrandoci sulle categorie trofiche, ci siamo resi conto che questa variazione è sostanzialmente dovuta a un drastico crollo dell’abbondanza dei detritivori, esattamente come ci aspettavamo, dato che abbiamo rimosso la struttura che trattiene la sostanza organica particolata. Per contro i filtratori, che si nutrono sempre di sostanza organica particolata, ma la rimuovono direttamente dalla colonna d’acqua, pur essendo nel complesso meno numerosi non risentono minimamente del trattamento sperimentale.
In profondità l’aggiunta di Jania, che come abbiamo visto ha effetti blandamente negativi su Halopithys, causa un netto aumento nell’abbondanza degli invertebrati, ma in maniera ancora più marcata che in superficie, la ricchezza specifica risulta inalterata. Di nuovo, i responsabili della differenza nell’abbondanza tra trattamenti sperimentali sono i detritivori; e di nuovo ai filtratori il nostro trattamento sperimentale non fa né caldo né freddo.
La presenza di Jania sopra Halopithys, quindi, non si limita a permettere a quest’ultima di colonizzare ambienti più superficiali, in cui da sola vivrebbe decisamente male, ma ha effetti a cascata sul popolamento ad invertebrati associato, causando un significativo aumento degli organismi associati al detrito, e sostenendo abbondanze – e biomasse – decisamente maggiori. Questo fenomeno, pochissimo studiato negli ambienti marini, è più conosciuto in ambienti terrestri e prende il nome di cascata di facilitazione: una specie fondatrice (Halopithys) fornisce un substrato per la crescita di un’altra specie (Jania), che a sua volta altera l’ambiente, consentendone la colonizzazione da parte di un numero maggiore e talora specie diverse di organismi, con conseguenze anche a livello della trofia del sistema.
Tutto bene quindi? Mica tanto. Le corallinacee, come detto in precedenza, sono organismi che calcificano, e l’acidificazione delle acque marine, in gran parte dovuta alle attività industriali umane, tende a sbilanciare l’equilibrio di solubilità dei carbonati, facilitando la dissoluzione di strutture calcaree e rendendole più instabili. Differenti organismi con scheletri calcarei reagiscono in maniera diversa a condizioni acidificate: alcuni, come alcuni policheti, non variano il loro tasso di crescita, ma costruiscono strutture più fragili e sottili; altri, come, per appunto le corallinacee, riescono a costruire strutture di resistenza paragonabile a quelle costruite in condizioni normali, ma al prezzo di un tasso di crescita fortemente rallentato.
Una crescita rallentata renderebbe Jania più suscettibile ad eventi estremi, e più lenta a recuperare, con effetti a cascata sia su Halopithys, che si troverebbe svantaggiata nella parte più superficiale della sua distribuzione, sia sugli invertebrati associati a queste alghe, che a loro volta rappresentano le prede di numerosi altri organismi, tra cui i giovani di numerosi pesci, anche specie di interesse gastronomico e commerciale.
Al di là del fascino del sistema studiato, che è qualcosa di profondamente soggettivo, questo studio esemplifica bene tre concetti che sono normale amministrazione per gli addetti ai lavori, ma di solito non vengono granché presi in considerazione dal grande pubblico. Il primo è che per trovare ambienti, associazioni, organismi praticamente sconosciuti nella loro biologia e nelle loro interazioni con altri organismi non è necessario andare in Papuasia o negli abissi oceanici: qualcosa di nuovo, affascinante e non studiato si può trovare anche ad Antignano (sì, anche delle specie nuove, c’erano anche loro, anche se non ne abbiamo parlato in questo articolo).
Il secondo è che lo studio delle interazioni tra gli organismi e l’ambiente ottiene risultati tanto più chiari e completi quanti più tipi diversi di dato tiene in considerazione: in questo studio abbiamo avuto bisogno di unire dati relativi alla biochimica, all’efficienza fotosintetica, alla riproduzione, alla biodiversità e alle caratteristiche trofiche degli organismi per avere un’idea di come funziona il sistema formato da Halopithys, Jania e gli invertebrati ad esse associati.
Il terzo è che anche ambienti apparentemente insignificanti possono avere un ruolo chiave nel funzionamento degli ecosistemi marini e possono essere esposti a minacce che li possono compromettere gravemente, con effetti a cascata su altri ambienti e altri organismi. Nel momento in cui andiamo a considerare le minacce cui sono sottoposti gli ambienti naturali, ed eventuali politiche volte a ridurle, nessun sistema può essere considerato irrilevante.
In copertina: Amblyosyllis spectabilis, foto di J. Langeneck (dettaglio)
Joachim Langeneck, assegnista di ricerca in biologia presso l’Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell’ambito dell’etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.