L’Assemblea nazionale di Francia ha adottato in prima lettura la proposta di legge sulla «sicurezza globale», che penalizza chi diffonde immagini (video e foto) della polizia in modo «dannoso».
Il testo è stato presentato dal partito di Macron (La République en marche) e ha ricevuto 388 voti a favore, rispetto ai 104 contrari e alle 66 astensioni. A gennaio la discussione si sposterà al Senato e un passaggio è previsto anche dal Consiglio costituzionale.Il tema sta attraversando il dibattito politico e istituzionale francese, mentre un movimento di protesta si muove sotto l’hashtag #StopLoiSécuritéGlobale. Alla discussione si legano una serie di episodi di polizia che vengono denunciati come violenti, in particolare a Parigi, compreso lo sgombero di un accampamento non autorizzato di migranti. Su questo ci confrontiamo nell’articolo a più mani di questa settimana.
Leonardo Croatto
L’esercizio della repressione caratterizza qualsiasi sistema di potere ordinato verticalmente, incluse le “democrazie” liberali. Quando lo stato si struttura all’interno del conflitto di classe, produce esso stesso tutti gli strumenti necessari per agirvi efficacemente.
Nello scontro che si produce nei sistemi capitalistici quando i soggetti più fragili si attivano per rivendicare il diritto ad un miglioramento delle proprie condizioni di vita si materializzano immediatamente tutti i meccanismi di contenimento delle spinte sovversive: se la società si dà una struttura ordinata e definita che riflette la stratificazione del potere, allora è anche necessario che si doti degli strumenti di repressione necessari per contenere chi cerca di modificarne l’ordinamento.
Sorveglianza e punizione sono strumenti connaturati alla strutturazione in forma di stato delle disparità sociali che caratterizzano le economie capitalistiche. Può essere diversa l’intensità con cui si realizzano i dispositivi per mettere in atto controllo e repressione (proporzionatamente al tasso di fascistizzazione della società), ma la direzione è sempre quella di un loro rafforzamento nel tempo.
Questo esercizio del potere dall’alto verso il basso è sempre caratterizzato da una fortissima autonarrazione volta a dare alla repressione l’aspetto della tutela della collettività ordinata dagli assalti di esternalità portatrici di disordine. La regolazione della società passa anche dalla costruzione di meccanismi di consenso nei confronti delle azioni repressive.
Anche il controllo delle narrazioni è, quindi, funzionale alla stabilizzazione della disposizione sociale. Nella società dello spettacolo il racconto del conflitto è strumento di conflitto al pari della forza fisica.
Se lo sviluppo tecnologico rende maggiormente accessibili gli strumenti utili a costruire e diffondere narrazioni e contronarrazioni, allora il possesso, la regolamentazione e il controllo di queste tecnologie è parte dello scontro per la conservazione dell’ordinamento sociale, mentre una loro liberazione può essere strumento per la sua sovversione.
Piergiorgio Desantis
La Francia, storicamente, sia nelle fasi monarchiche che in quelle repubblicane, ha sempre tenuto un profilo molto importante dal punto di vista della presenza statuale. Rimanendo sul piano storico, la Francia ha attraversato e attraversa fasi importanti di instabilità e/o trasformazione delle forme di rappresentanza e di aggregazione. Oggi (e da un po’ di anni a questa parte) sembra entrata in una fase di turbolenza di significativa portata. Ultimi tra gli altri eventi significativi sono i gilet juane e le rivolte delle banlieu. Sono, quindi, fenomeni di rivolta che vengono da lontano e di consolidate problematiche (purtroppo). Le scelte dello Stato dinanzi a queste “difficoltà”, a questo punto, ben al di là del merito “ideologico” dei governi che si succedono, si configurano sotto forma di restrizione e di contenimento delle modalità di manifestazione del dissenso. In questo senso, la scelta di Macron, di approvare una legge che punisce la diffusione di immagini che riprendono le forze dell’ordine, appare politicamente miope, perché la fase è estremamente delicata e difficile. Non sarà quindi questa la risposta che risolverà il problema, semmai potrebbe inasprire gli scontri e le rivolte così diffuse e, quasi, endemiche.
Francesca Giambi
Ammetto che per storia personale mi sono sentita sempre molto a disagio in presenza de la gendarmerie, soprattutto per averla vista in azione diverse volte in vari viaggi in terra francese.Ho ancora negli occhi le immagini terribili di violenza su anziani ubriachi, considerati “disturbanti”, presi a manganellate o di ragazzi (neri) francesi schierati faccia al muro in attesa di chissà che (le rivolte delle banlieu di fine 2005 erano ancora lontane)… o più recentemente (2019) un gruppo di gendarmi che irrompe con i cani all’interno del Flixbus su cui viaggiavo e ci fa scendere e aprire le valigie, anche in assenza di una frontiera (ero al confine tra Belgio e Francia).
Nonostante questo sembrano lontani anni luce le discussioni di solo 7 anni fa sulla necessità dei numeri identificativi della polizia che in Francia trovavano nel presidente Hollande e nel suo Ministro degli Interni Valls la legge per l’introduzione dell’obbligo di un codice per tutti gli agenti in servizio, compresi quelli in borghese (tra eccezioni ammesse le unità speciali antiterrorismo), che nei fatti tutelava chi subiva un abuso, ma anche il corpo della polizia stesso dalle cosiddette “mele marce”.
Cosa è cambiato in questi anni? Di sicuro la Francia ha risentito molto del fenomeno del terrorismo islamico, perché tra le nazioni più colpite, e di un progressivo impoverimento economico e sociale, che ha visto l’espandersi delle periferie, e questo ha comportato come conseguenza una grossa paura. La proposta di legge in esame sulla “sicurezza globale” è proprio figlia di questa paura: lo stato cerca di proteggere se stesso “mettendo avanti le mani” ed eliminando qualsiasi possibilità di contestazione, sia questa a ragione o a torto.Le conseguenze sono potenzialmente drammatiche, sia per i cittadini che per le forse dell’ordine stesse. Si rischia l’acuirsi dello scontro sociale anche in virtù dell’impunità acquisita, di mettere sullo stesso piano diverse tipologie di poliziotti e di incrementare quell’odio che nell’idea della legge doveva essere eliminato.
Dmitrij Palagi
Nel film *I Miserabili* di Ladj Ly, distribuito in Italia in questo difficile 2020 una delle vicende principali è legata proprio alla necessità dello stato di tutelare l’invisibilità nel suo esercizio della forza. Di più non è opportuno dire, per evitare spoiler.La Francia è attraversata dal movimento #StopLoiSécuritéGlobale, attorno al quale si concentrano interessanti denunce di diversa natura, di cui ha scritto recentemente anche l’edizione italiana di Jacobin.
Sabato 28 novembre è stata una giornata importante di mobilitazioni che ha raccolto anche l’indignazione diffusa per gli episodi di abusi registrati durante gli interventi delle forze dell’ordine francesi nella settimana precedente, tra cui quello ai danni del produttore Michel Zecler.
Larga parte del sistema di informazione dei paesi europei ha scelto di contestare apertamente l’articolo 24 della legge in questione e questo garantisce una importante visibilità al dibattito attorno alla legge sulla sicurezza globale, che ha portato Macron a essere definito come il Grande Fratello di turno.Anche a Firenze si sono registrati alcuni episodi di video in cui la Municipale veniva ripresa alle prese con delle persone prive di mascherina che rifiutavano di esibire i documenti. Le immagini sono diventate virali, con una polarizzazione tra le centinaia di commenti, tra chi auspicava che fossero utilizzati metodi più duri e chi finiva per minacciare di morte i cosiddetti “vigili”. Nonostante fosse assente l’elemento della discriminazione, è apparsa evidente l’incapacità del dibattito pubblico di andare oltre la dinamica della tifoseria, provando anche a chiedersi perché la polizia locale si ritrovi sempre di più a svolgere attività di repressione e di ordine pubblico. Nelle società si discute di abusi in divisa, non del sistema delle divise.
La costante videosorveglianza, inoltre, è funzionale a un modello estrattivo del capitalismo che non prevede la possibilità di “vedere” il funzionamento dello stato (e degli algoritmi o meglio di chi li scrive), che non deve essere percepito, se non in rare occasioni.
Il carcere, la repressione, al pari del dolore e della malattia, occorre che siano celati. Talvolta il conflitto però può trovare un suo spazio. Aiuta un modello di narrazione e un’estetica utilizzata per governare gli “scontri” di piazza, con un elemento di dramma che aiuta a togliere aria al breve respiro delle rivolte.Ovviamente la resistenza alla legge sulla sicurezza globale è una battaglia necessaria, ma occorre sperare che possa unirsi a una lettura più complessiva delle nostre società.Il controllo e la sorveglianza sono incompatibili con una reale forma di democrazia: lo è anche la categoria di trasparenza, per come viene intesa a novembre 2020 dall’opinione pubblica italiana.Vedere tutto può anche essere un modo per non vedere niente, se non si accettano i limiti della percezione soggettiva e non si ragiona del funzionamento del sistema, di cui le giornaliste e i giornalisti fanno parte, al pari di chi ritiene di poter fare informazione diretta e dal basso.Il rischio più grande del movimento contro la legge sulla sicurezza globale è quello di limitarsi a elogiare i suoi successi, che pure è bene augurarsi ci siano.
Jacopo Vannucchi
Le modalità con cui alcuni rifugiati senzatetto sono stati sgomberati a Saint-Denis ricalcano con una certa esattezza quelle con cui il 1° giugno scorso il Presidente Trump si aprì un varco tra i dimostranti antirazzisti per andare a farsi fotografare con una Bibbia in mano (al rovescio). Chissà se tra le libertà repubblicane non negoziabili che la Francia difenderà ad ogni costo rientra anche il diritto all’asilo.Fuor d’ironia, è innegabile che una vena autoritaria pulsi nella politica tipicamente francese dell’«estremo centro», che secondo una lettura storica garantì la continuità dello Stato fra i turbolenti cambi di regime nel periodo 1795-1820 e che, più prosaicamente, è stata dal 2017 ripercorsa da Macron.
Ma al di là dei condizionamenti storici per il Presidente francese esiste almeno un paio di più immediate motivazioni per un giro di vite nell’ordine pubblico.
In primo luogo, in vista delle presidenziali di primavera 2022 ha tutto l’interesse ad accreditarsi come uomo d’ordine per impedire alla retorica lepenista di dipingerlo come malvagio esponente dell’élite globalista dedito alla sostituzione etnica (o simili).Secondariamente, la Francia ha in tempi recenti dovuto fronteggiare gravi minacce all’ordine pubblico: non solo quelle del terrorismo islamista, ma anche quelle, si presume con un consenso sociale più largo, dei gilets gialli. La situazione socio-economica dopo quasi un anno di Covid-19 è tale che per accendere le polveri di un’ancora più grave ondata di violenze urbane basterebbe forse una piccola miccia.Risulta quindi vitale per Macron poter contare tanto su strumenti adeguati a fronteggiare situazioni ad alto rischio quanto sul consenso degli apparati di polizia.
Alessandro Zabban
Le contraddizioni sociali in Francia si manifestano in forme di conflittualità politica e sociale più accese che in altri Paesi europei. Da una parte abbiamo recentemente assistito al riesplodere delle tensioni religiose, alimentate da cellule islamiste o da semplici individui radicalizzati ma anche esacerbate da una visione ottusa e ristretta di cosa siano la libertà e la laicità. Dall’altra sembrano finalmente riaffacciarsi sul palcoscenico della storia le vecchie questioni di classe, che hanno innescato una ribellione portata avanti dai Gilet gialli che tarda ad esaurirsi e che è pronta a riaccendersi in ogni frangente.
In questo contesto, la legge sulla sicurezza che limita la possibilità di fotografare e filmare agenti di polizia in azione, ha riacceso la miccia della contestazione, portando in piazza decine di migliaia di persone che solo pochi giorni prima avevano accolto con orrore e turbamento le immagini dell’ennesimo atto di violenza poliziesca compiuto ai danni di un cittadino di colore.Macron sembra aver perso la bussola di una Francia che forse sperava di gestire come un’azienda e che si sta invece rivelando una polveriera di malcontento. Acclamato per le sue doti diplomatiche, l’enfant prodige della politica francese ha sbagliato i toni su tutti i fronti: nel dialogo interreligioso, nella mediazione con i Gilet gialli e ora nel capire un’opinione pubblica che dopo gli eventi americani si mostra più sensibile al tema della violenza indiscriminata perpetuata dalle forze dell’ordine. Di fronte a una società più conflittuale, Macron sembra più propenso a usare il bastone che la carota ma il risultato è quello di alimentare ancor più la fiamma del malcontento piuttosto che quello di raffreddare le tensioni sociali. Il futuro politico della Francia non è già scritto, ma sicuramente gran parte della popolazione è stanca del neoliberismo bonapartista dell’attuale Presidente.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.