Dieci anni fa usciva “The social network”, uno dei più importanti e innovativi titoli della filmografia di David Fincher. Il prossimo 4 dicembre il regista tornerà, su Netflix, con “Mank”. Ve ne parlerò in occasione dell’uscita. Nell’attesa vi racconterò una delle sue opere più riuscite. Da sempre nei suoi film parla dei valori e della loro violazione.
Il serial killer di “Seven” si scagliava contro i peccati capitali, il Michael Douglas di “The Game” finiva in diversi guai per il suo arrivismo. Senza dimenticare la critica al consumismo di “Fight Club”. Senza dimenticare il remake di “Millennium – Uomini che odiano le donne” e “L’amore bugiardo”.
Tra il 2011 e il 2012 ho avuto modo di discutere questo film per ben due volte: una volta in mezzo al pubblico a casa di Andrea Bigalli e una volta al cineforum. In tutti e due i casi la partecipazione era notevole. Ma in entrambe le situazioni ricordo che la maggioranza del pubblico non aveva compreso del tutto il paradosso del film di Fincher. L’obbiettivo di “The social network” non è di mettere sullo schermo didascalicamente le tappe della nascita del celebre Facebook. Sullo sfondo c’è quello, ma in primo piano c’è altro. Mentre il social creato da Mark Zuckerberg pare ormai in declino, di questo film si continuerà a parlare. Si parla di un’America che ha perso la sua essenza, perfino del capitalismo che tanto le piace. L’umanità gli è andata dietro a ruota. Non a caso il titolo non è Facebook o Zuckerberg, ma the social network inteso come modo di comportarsi, come sistema. È lo specchio dell’ambizione del suo inventore (che vi ricordo è laureato in psicologia).
Merito soprattutto della tagliente sceneggiatura di Aaron Sorkin che, prendendo spunto dal libro di Ben Mezrich “Miliardari per caso – L’invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento” (casualmente oggi è fuori dal catalogo dell’editore Sperling & Kupfer), distrusse la figura di Mark Zuckerberg. Uno che non è cattivo, ma che fa di tutto per non stare simpatico alla gente. Una perfetta sintesi sublimata dal finale. Questo film non è la storia dell’ascesa di uno che non era nessuno ed è diventato uno dei più giovani miliardari al mondo. Fincher e Sorkin puntano i riflettori sui nuovi mostri della finanza globale contemporanea, un po’ come Oliver Stone nel sequel di “Wall Street- Il denaro non dorme mai” (2008).
Questo film, per certi versi, riprende quello che Gordon Gekko/Michael Douglas espone in questo splendido monologo all’Università.
Lo si capisce subito dalla prima scena in cui Zuckerberg (un ottimo Jesse Eisenberg) sta dialogando con Erica (Rooney Mara che fu voluta a tutti i costi da Fincher, tanto da richiamarla nell’ottimo Millennium – Uomini che odiano le donne) sul tavolino di un locale vicino ad Harvard. Mark non è interessato ai soldi, ma è ossessionato e divorato dal successo a ogni costo.
La giovane ragazza, che lui ama, lo molla subito per via della sua mancanza di empatia e della sua evidente sociopatia. Gli dà subito dello stronzo. Parola mai così vera, visto che Zuckerberg si sforza pure di esserlo (come gli dice l’avvocatessa alla fine). È straordinaria la prima scena: il duo Eisenberg-Mara funziona a meraviglia ed è il cuore pulsante del film. Potete vedere la scena qui.
Perché Zuckerberg inventerà Facebook proprio per capire i gusti segreti di Erica e poi degli altri studenti. Schifato dal mondo che gli sta attorno (comprese le elite borghesi e i canottieri che Erica invece apprezza), inventa il primo nucleo che darà poi vita al celebre social. È il sesso il vero motore del social network, quello che spinge la gente a cercare informazioni, foto e quant’altro. Possibilmente lontano dagli sguardi e dalle chiacchere altrui. Ed ecco che magicamente ciò che serviva a Mark per (tentare di) avvicinarsi a Erica, diventa comune anche agli altri che vengono fagocitati dal sistema. Una vera e propria droga, un ansiolitico potentissimo.
L’idea è importante perché permette di metter in contatto sulla rete tutti gli studenti di Harvard. È il modo sbagliato: usando la rete si perde l’importanza del confronto, del contatto diretto, dello scambio che poi ti arricchisce (alla lunga). È quello che succede a Zuckerberg nella scena di apertura del film. Lui crede di potersi avvicinare a Erica, in realtà però è sempre più lontano (l’ultima scena non ammette dubbi). Fincher è abilissimo a descriverci questo contraccolpo. È proprio così: realtà e apparenza non sono la stessa cosa. È la gente che crede che lo siano, come ha più volte sottolineato nei suoi film anche Matteo Garrone (su tutti Reality).
Ed ecco che Fincher e Sorkin fanno un interessante parallelo, importante per capire la società contemporanea: i giovani si comportano come si comportano perché sono assuefatti dai rapporti virtuali (infiniti, apparentemente), ma sempre più in difficoltà a stringere rapporti umani nella vita reale. Tale cosa è un ossimoro in sostanza, così come la vita di Zuckerberg: ha creato un social per metter in connessione più amici possibili e far business, ma lui è solo come un cane (ancora la scena finale). Su questo concetto si basa il perno del film: “non arrivi a 500 milioni di amici, senza farti qualche nemico”. Sono d’accordo con il critico Federico Pontiggia di “Cinematografo” che sostiene che “Fb non è altro che la banale creazione di un maschio, dei maschi, a uso sessuale e consumo globale”. Zuckerberg, consapevolmente, aveva creato un sistema sulla frustrazione sociale. E questo è il motivo per cui molta gente sui social si sente in dovere di insultare, deridere, minacciare. Una nuova imprenditoria basata non sulle capacità, ma su sfide estreme come la capacità di resistere maggior tempo all’alcool.
L’applicazione funziona dannatamente ma viola diverse regole: la privacy, il consenso di studenti e studentesse di mettere le foto online e soprattutto l’aggiramento dei sistemi di sicurezza di Harvard. Ma Zuckerberg è già diventato famoso. È considerato un genio, un salvatore. E le istituzioni, sostanzialmente, non lo possono toccare. È la società dello spettacolo, bellezza.
Nel febbraio 2004 venne lanciato “The facebook”. Nel frattempo i due gemelli Winklevoss (Armie Hammer), non casualmente eterni secondi alle gare di canottaggio, facenti parte di un importante club elitario dell’Università, contattano Zuckerberg per chiedergli di realizzare una loro idea. Ma lui il frustato ebreo proletario, miliardario per caso, la spuntò. Mark, in maniera spudorata, la usò per migliorare il suo Facebook. E qui iniziano i dolori: inizia una lunga battaglia legale da 600 milioni di dollari per furto di proprietà intellettuale. Facebook è diventato una macchina da soldi e tutti vogliono una fetta di torta più grande.
Nel 2007, all’età di 23 anni, Zuckerberg divenne miliardario a seguito del successo di Facebook. Nel 2012, in tutto il mondo, il numero di utenti registrati al social raggiunse il miliardo. Zuckerberg fu coinvolto in diverse azioni legali che furono intentate da altri membri del gruppo, i quali reclamavano una quota azionaria sulla base del loro coinvolgimento durante la fase di sviluppo di Facebook.
Oltre ai Winklevoss, infatti Zuckerberg dovrà vedersela anche con l’ex compagno di stanza e cofondatore di Facebook, Eduardo Saverin (Andrew Garfield che era in lizza per il ruolo di Zuckerberg fino all’ultimo), che divenne ben presto il direttore finanziario del social. In realtà anche lui rivendicava la sua importanza nel progetto. Tutti arrivarono secondi, alle spalle di Mark. Questa era la loro vera preoccupazione. E poi c’erano diverse frizioni tra Saverin e Sean Parker (il cantante Justin Timberlake in versione “figo da manuale 2.0”), cofondatore di Napster e fondamentale nello sviluppo del social. Zuckerberg e Parker vengono raffigurati come personaggi avvolti della stessa ossessione. Hanno creato, rispettivamente, Facebook e Napster per dimostrare a una donna che loro sono il massimo. Il momento in cui Sean ne parla a Mark è durante una serata in discoteca e l’audio è volutamente distorto per far capire che oggi il confronto e il dialogo sono optional. Ma c’è una forte differenza nel film: mentre Parker passa da una donna all’altra senza tanti problemi, per Zuckerberg l’ossessione per Erica è forte tanto che il finale si ricongiunge al prologo. Tant’è che Mark effettua continuamente il refresh della bacheca di lei, in attesa che lei gli scriva o che metta qualche aggiornamento. Sullo sfondo la splendida canzone dei Beatles “Baby, you’re a rich man”, scritta nel 1967 come b-side di All you need is love. Chiaramente Fincher è ironico: il brano fu scritto da Lennon e McCartney ed era una presa in giro ai danni di Brian Epstein, manager dei Beatles, che era ebreo e omossessuale. La canzone è utilizzata per rafforzare l’ossessione del personaggio di Jesse Eisenberg: quella di diventare il più giovane miliardario al mondo.
David Fincher e lo sceneggiatore Aaron Sorkin (che appare nella breve scena in cui Zuckerberg si appisola durante l’incontro tra lui, Saverin e l’Ad di una società) sembra che non diano la loro opinione, ma sotto sotto partecipano eccome diventando perfidi e cinici. Attingendo dalla realtà, chiedono allo spettatore: sarà questa la classe dirigente del futuro (e del presente)? C’è poco da stare allegri.
Ma tutti noi siamo colpevoli: abbiamo affidato ai vari Zuckerberg, Saverin, Parker le nostre vite, i nostri profili, le foto, i nostri segreti senza farsi grandi problemi. Scaricare amicizie o musica è lo stesso, basta sia gratis. All’apparenza perché nella realtà tutto ha un costo.
The social network è il Quarto Potere degli anni 2000: come nel film di Orson Welles, la storia viene scomposta temporalmente per creare ambiguità. Poi Fincher riesce perfino a farci capire che Internet è un illusorio mondo oscuro di vita (a)sociale. Proprio come Welles diceva dell’informazione manipolata nel 1940. Non è un caso che il prossimo film di David Fincher sia “Mank”, ovvero la storia dello sceneggiatore di Quarto Potere. Ve lo racconterò a dicembre. “The social network” è uno dei più importanti capolavori dei nostri tempi. Fincher ha avuto il coraggio di far decollare le carriere di numerosi attori giovani. Con l’eccezione di Andrew Garfield, che aveva girato da poco Parnassus di Terry Gilliam, e di Justin Timberlake, il resto del cast erano attori semi-sconosciuti. Questo film lanciò la carriera di Rooney Mara, Armie Hammer, Jesse Eisenberg, Max Minghella, Dakota Johnson e Caleb Landry Jones (Get Out). 3 Oscar sacrosanti, ma probabilmente anche il regista e Jesse Eisenberg avrebbero meritato qualcosa in più. Anche se erano in competizione con “Il discorso del re” e francamente non premiare il balbuziente Colin Firth sarebbe stato un errore imperdonabile.
Fonti: Mymovies, comingsoon, cinematografo, Wikipedia, movieplayer, onda cinema
THE SOCIAL NETWORK *****
(USA 2010)
Genere: Drammatico
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: Aaron Sorkin
Fotografia: Jeff Cronenwelth
Cast: Jesse Eisenberg, Justin Timberlake, Andrew Garfield, Rooney Mara, Armie Hammer, Max Minchella
Durata: 2h
Prodotto e distribuito da Sony Pictures
Trailer Italiano qui
Tratto dal romanzo di Ben Mezrich, “Miliardari per caso – L’invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento” (edito in Italia da Sperling & Kupfer).
3 premi Oscar (Montaggio, Colonna Sonora, Sceneggiatura non originale)
Budget: 40 milioni di dollari
La frase: Quando vai a pesca puoi prendere un sacco di pesci o puoi prendere un pesce grosso. Avete mai visto un pescatore farsi la foto accanto a 14 trote?
Regia ***** Interpretazioni ***** Musiche ***** Fotografia ***** Sceneggiatura ****
Immagine da www.movieblog.org
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.