Dopo il gioiello di Charlie Kaufman “Sto pensando di finirla qui”, il catalogo Netflix si amplia. Per il colosso dello streaming la pandemia è stata una benedizione. A novembre uscirà il nuovo film di Ron Howard, “Elegia americana”, e ai primi di dicembre uscirà l’atteso “Mank” di David Fincher. Intanto ha piazzato un altro colpo: il processo ai Chicago 7. Il film in origine doveva esser diretto da Steven Spielberg (che è anche produttore con Dreamworks) e sceneggiato dal brillante Aaron Sorkin. Quest’ultimo è noto in tutto il mondo per aver scritto film come Codice d’onore, L’arte di vincere, Steve Jobs e soprattutto The social network. Film diretto da David Fincher sulla nascita di Facebook, uscito 10 anni fa (a metà novembre ve lo racconterò). Poi Sorkin, non contento, si è fatto apprezzare per “Molly’s game” che ha visto anche il suo esordio alla regia.
“Il processo ai Chicago 7” era stato annunciato nel lontano 2007, ma poi a causa di varie vicissitudini e di problemi di budget, è stato più volte rimandato. Spielberg prima e Greengrass (Jason Bourne) poi, ne sono usciti. Sorkin nel 2018 ha annunciato la riesumazione del progetto. La Paramount, che aveva in mano la distribuzione, ha poi venduto il film per 56 milioni di dollari a Netflix. La colpa è sempre della pandemia, naturalmente. Il film doveva uscire in tempo prima delle elezioni presidenziali americane (che saranno a novembre) perché richiama la responsabilità nazionale in vista del voto. Francamente bisogna dire che Spielberg sarebbe stato il regista ideale per raccontare una storia del genere. Dopo lo straordinario “The Post”, questo sembrava nelle sue corde. Ricordate il finale in cui le rotative fanno vibrare il palazzo del Washington Post? La diffusione della verità portò infatti al Watergate e alla conseguente caduta di Nixon. In questo film si parla invece dell’avvento del presidente repubblicano.
Tuttavia il punto di partenza di Sorkin è notevole. «Non ho mai voluto che il film fosse sul 1968, che fosse un esercizio di nostalgia o una lezione di storia. L’ho sempre inteso come un film sul presente. Quello che non sapevo è quanto il presente sarebbe stato come il 1968». Infatti il film è ambientato proprio in quel periodo, ma si apre con immagini di oggi. Sul Manifesto giustamente sottolineano che non è Minneapolis, Portland, Seattle o New York di oggi (le ultime tre definite ufficialmente «città anarchiche» da Trump qualche giorno fa), ma si parla di fatti avvenuti nella Chicago degli anni 60. Per intendersi poco dopo gli omicidi di J.F. Kennedy e Martin Luther King.
I Chicago Seven erano un gruppo di attivisti della controcultura giovanile (prevalentemente di sinistra) che manifestarono apertamente contro la guerra del Vietnam. Furono accusati di cospirazione, incitamento alla sommossa per i fatti del 28 agosto a Chicago alla convention del Partito Democratico.Il Congresso sancì di fatto la candidatura di Hubert Humphrey, vice di Lyndon Johnson, alle elezioni presidenziali spianando di fatto la strada alla vittoria del repubblicano Richard Nixon. L’obbiettivo dei “Chicago 7” era quello di protestare contro la candidatura di Humphrey perché “tutto il mondo ci guarda”. Dobbiamo dare delle risposte.
Che arrivarono puntuali, ma non furono quelle sperate. Nixon, come detto, vinse e rimase in carica dal 1969 fino al 1974. Il processo ai Chicago 7 è ricordato come un’enorme falla della giustizia americana. Naturalmente non vi posso dire come andò a finire la vicenda.
I sette attivisti erano Tom Hayden (Eddie Redmayne di “The danish girl”), Abbie Hoffman (Sacha Baron Cohen), Jerry Rubin (Jeremy Strong), David Dellinger (John Carrol Lynch), Rennie Davis (Alex Sharp), Lee Weimer, John Froines.
Nel film notiamo che tra gli imputati non c’erano solo i “Chicago 7”, ma è coinvolto anche l’afroamericano Bobby Seal, capo delle “Pantere Nere”. La cosa buffa è che il suo avvocato aveva avuto dei problemi di salute e non poteva essere in aula. Seal rifiutò di avere lo stesso avvocato degli altri attivisti (tutti bianchi) e progressivamente fu estromesso. Non poteva difendersi (emblematica la scena in cui viene imbavagliato in aula). Le Black Panthers sono il primo nucleo del movimento “Black Lives Matter” di oggi. Oltre a loro era in corso un processo politico, pilotato contro gli anarchici, i comunisti, gli attivisti moderati (incarnati da Hayden). In pratica tutti i (possibili) dissidenti di Nixon e dell’establishment del partito democratico furono messi alla berlina. Dentro le vicende del film ci sono riflessioni non banali sulla natura della sinistra da allora a oggi. Cose di cui si parla, fin troppo o troppo poco (a seconda dei punti di vista), anche in Italia. Nel film è tutto nella contrapposizione tra il radicale Hoffman (Baron Cohen) e il moderato Tom Hayden. Nonostante abbiano lo stesso obbiettivo, non riescono sempre a trovare una sintesi.
La sceneggiatura di Sorkin, come al solito martellante con dialoghi ficcanti buttati a raffica, trita tutti: dal procuratore rampante Schutzland (Joseph Gordon Levitt) con scrupoli di coscienza al giudice Hoffman (Frank Langella) che ha lo stesso sguardo di disprezzo che ha Donald Trump verso gli avversari. Come lui ci sono altri personaggi secondari che rappresentano i repubblicani fanatici di Nixon (oggi sarebbero i sostenitori accaniti di Trump).
E poi c’è l’avvocato difensore Kunster (un grandissimo Mark Rylance – Ready player one, Il ponte delle spie e il GGG di Spielberg) che ricorda a tutti che “i processi sono civili o penali, non politici”. È un classico film di Hollywood, un po’ retorico (specie nel finale), ma interessante perché analizza il riverbero della storia sul presente. Potrebbe essere protagonista agli Oscar del 2021. Il cast allestito merita più di una lode: Mark Rylance (premio Oscar per “Il ponte delle spie”) e Frank Langella sono due fuoriclasse assoluti, Baron Cohen dà un tocco di humour che non guasta, Eddie Redmayne emerge alla distanza, Michael Keaton ha una piccola parte nel ruolo del testimone chiave. Più addomesticato, per esigenze di copione, Joseph Gordon Levitt.
Il film è sicuramente da vedere, è attuale, ma mette tantissima carne al fuoco a velocità supersonica. Tanti temi sono appena accennati (la convivenza tra tante anime politiche diverse che lottano per lo stesso obbiettivo), ma era veramente difficilissimo riuscire in circa 2 ore a metterci tutta questa roba. Non ha giovato a Sorkin il travaglio produttivo e soprattutto l’uscita di scena prima dalla cabina di regia prima di Spielberg e poi di Paul Greengrass. Se avesse mantenuto la sceneggiatura, affidando ad altri la direzione il film ne avrebbe probabilmente tratto un beneficio. Tuttavia ci sono alti momenti di cinema: su tutti c’è la splendida scena in cui Abbie Hoffman (Baron Cohen) ricorda al giudice che hanno lo stesso cognome, ma suo nonno era un ebreo russo e lo avevano “americanizzato”. E’ innegabile che il film andava fatto visto quello che sta succedendo. La verità è che l’America sta imbarbarendo, sta tornando indietro. Conoscere la storia può far comprendere i fatti di oggi. Sorkin però fa di più: si sbilancia e dice la sua. Si indigna come Sidney Pollack, Nanni Moretti, Ken Loach, Michael Moore, Oliver Stone, Costa Gavras o Spielberg. Tuttavia Sorkin è della scuola liberal. C’è il richiamo alla giustizia, all’etica e alla morale che ricordano temi già affrontati dal regista/sceneggiatore in “The newsroom”. Pur amando l’America, i suoi valori, ammette che “le istituzioni della nostra democrazia sono straordinarie, ma in questo momento sono in mano a persone orribili”.
Specie se rivincerà Trump, la democrazia rischia di non esserci più.
Come ricorda il film V per Vendetta, “il palazzo [del Parlamento] è un simbolo, come lo è l’atto di distruggerlo. Sono gli uomini che conferiscono potere ai simboli. Da solo un simbolo è privo di significato, ma con un bel numero di persone alle spalle, fare saltare un palazzo può cambiare il mondo”. La stessa vale per la democrazia.
FONTI: Mymovies, cinematografo, bad taste, comingsoon, ondacinema, manifesto
IL PROCESSO AI CHICAGO 7 ***1/2
(USA 2020)
Genere: Drammatico, Storico, legal thriller
Regia e Sceneggiatura: Aaron Sorkin
Fotografia: Phedon Papamichael
Cast: Eddie Redmayne, Michael Keaton, Sacha Baron Cohen, Mark Rylance, Frank Langella, Joseph Gordon Levitt
Durata: 2 ore e 9 minuti
Uscita Italiana: dal 30 Settembre al cinema, dal 16 Ottobre su Netflix
Distribuzione: Lucky Red (cinema), Netflix
BUDGET: 35 milioni di dollari
Trailer Italiano qui
La frase: le istituzioni della nostra democrazia sono straordinarie, ma in questo momento sono in mano a persone orribili
Regia ***1/2 Interpretazioni **** Fotografia ***1/2 Sceneggiatura ****
Immagine da www.rollingstone.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.